Posts written by sandy

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    Appena sono al PC inserisco in firma. Spero k ti fidi sks
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    VesperxCaryss real ship, te lo dico.
    CIAONE VARG fai troppo il marpione (tvb bel faccino)
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    Si conclude il tempo disponibile per il ritiro premi!

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    Enith
    Le cose non potevano finire bene.
    Enith lo pensò nel preciso istante in cui vide Kryston parlare con Relina.
    Non aveva idea di cosa si fossero detti, né di cosa questo avrebbe comportato.
    Le mogli di Rodner non aspettavano che un pretesto per addossarle una qualsiasi colpa che l’avrebbe fatta apparire immeritevole agli occhi del capo clan.
    Enith sarebbe stata più che felice di apparire immeritevole ai suoi occhi, ammesso che questo non significasse morte, in tal caso si sarebbe fatta andar bene Rodner e perfino le sue mogli, come stava facendo da quando ne aveva memoria.
    Relina era forse quella che temeva di più, tanto bella quanto subdola.
    Ognuna di loro tre era a suo modo meschina, ma ci sono molti modi di esserlo.
    Kyra era solo pazza, lo era sempre stata, il fatto che i suoi figli fossero morti non significava niente, era sempre stata instabile.
    Aniga amava invece piangersi addosso, buttando la sua crudeltà sulla cattiveria della vita nei suoi confronti, prendendosela poi con Enith per tutta una serie di motivi davvero difficili da comprendere.
    Relina… Relina quasi la ignorava, la trattava con disprezzo ma non faceva mai scenate nei suoi confronti.
    Questo la rendeva la peggiore tra tutte, perché sapeva odiare in maniera discreta.
    Relina le fece un gesto con la mano, chiamandola cara e dicendole di raggiungerla.
    Riluttante Enith si avvicinò, guardò brevemente Kryston e depositò le pellicce sul banco.
    "Kryston mi stava parlando di te e di come vi siete conosciuti”
    Beh, Enith sperava proprio che non avesse parlato più del dovuto.
    « Non ci siamo proprio conosciuti. » specificò la ragazza, osservando Relina, senza incrociare lo sguardo di Kryston.
    « Abbiamo scambiato due parole una volta sola. »
    Non era la verità, ma Enith sentiva il bisogno di nascondere quello che era realmente accaduto tra di loro.
    Non che ci fosse qualcosa, ma avevano parlato dei lupi e di cose che Relina non doveva assolutamente conoscere.
    Forse Kryston non aveva capito che tipo di persona fosse Enith, quindi forse non avrebbe compreso che il suo modo di dissimulare richiedesse tacitamente collaborazione da parte sua.
    Magari era abbastanza intelligente da capirlo, rivelandosi uno dei pochi esemplari maschili dotati di cervello e capacità di ragionamento.
    Non erano cose nelle quali i Cacciatori eccellevano, ma comunque…
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    Gi melin
    Phobos e Velkan | Radura | 10 agosto 552 M.d.R.

    ectQCIx
    Phobos Vhalar
    « I HAVE WALKED THERE SOMETIMES, BEYOND THE FOREST AND UP INTO THE NIGHT. I HAVE SEEN THE WORLD FALL AWAY AND THE WHITE LIGHT FOREVER FILL THE AIR. IT IS MEMORY, PRECIOUS AND PURE. »
    Phobos si trovava in una piccola radura.
    Il suo clan non era molto distante – non lo era mai. Quella sera aveva deciso di allontanarsi per poter incontrare in segreto quella che era, a tutti gli effetti, la persona più importante per lui.
    Un piccolo stagno, non più grande di una quindicina di metri, si apriva al centro di quello spiazzo incontaminato, nascosto in una fitta foresta del nord, non ancora toccava dalle nevi dell'inverno, ma abbastanza fredda perché fosse richiesto un piccolo falò acceso, che scoppiettava calmo, facendo vorticare in aria scintille rossastre.
    Gli alberi si aprivano lasciando intravedere un'ovale di cielo talmente ampio da poter osservare tranquillamente la volta celeste.
    Non troppo distante dallo stagno e dalla piccola cascata gorgogliante, che lo teneva sempre fresco e limpido, erano deposte delle coperte di pelli molto calde e comode sulle quali adagiarsi.
    Quel posto era familiare all'elfo, si trovava sul percorso che con il suo clan affrontava da quando ne aveva memoria. Per altri, invece, era un angolo di paradiso nel bel mezzo del nulla, introvabile se non se ne conosceva la strada.
    C'erano candidi fiori azzurri che crescevano tra gli steli d'erba verdi, così come piccoli funghi dai particolari colori violetti che si arrampicavano sui tronchi degli alberi, nati sotto il muschio.
    Phobos aveva portato con sé uno dei migliori vini del quale il suo clan era in possesso, così come quelle coppe che sembravano fatte di cristallo, adagiate vicino alla sua mano, il palmo aperto a contatto con la pelliccia bianca sulla quale si era seduto.
    L'elfo aveva la schiena appoggiata al tronco spezzato alle sue spalle, ed il capo reclinato all'indietro.
    Era intento ad osservare ciò che accadeva sopra di lui, con una meraviglia sconfinata. Non importava che vedesse la stessa pioggia di stelle da trecento anni. Sarebbe sempre stato bellissimo ai suoi occhi.
    I capelli argentei erano sciolti, come sempre del resto, e gli abiti che indossavano erano tra i più eleganti che si potessero vedere indosso a uno della sua razza.
    La seta d'argento sembrava brillare, là dove il filo aveva ricamato degli elaborati motivi elfici. I lunghi stivali gli arrivavano fino al ginocchio e anch'essi non mancavano certo di eleganza. Erano in pelle morbida ma stretta, gli fasciavano le lunghe gambe snelle e agili. I gioielli che portava, d'altra parte, non facevano invidia alle pregiate sete nelle quali era avvolto.
    Bisognava riconoscere che Phobos Vhalar non era un elfo come tanti, ma questo era in grado di capirlo chiunque. Bastava uno sguardo per notare l'eleganza e la regalità che lo contraddistingueva. Un Re che Re non era affatto. Perché non c'erano più Re degli elfi né mai ci sarebbero più stati, e lui, comunque, non ne era degno.
    Phobos era convinto di essere uno tra i tanti, anche se forse, per una sola persona, era più, semplicemente più di tutto, tanto quanto quella persona lo era per lui.
    E questo era abbastanza per lui, in una maniera a dir poco spaventosa.
    Un suono leggero e il capo dell'elfo si raddrizzò, i suoi occhi saettarono davanti a lui, alla ricerca di quel profilo familiare che ormai aveva imparato a riconoscere tra milioni.
    « Velkan... » anche quel nome aveva un sapore familiare, la lingua e le labbra dell'elfo l'avevano saggiato diverse volte nel corso del tempo, da quando l'aveva raccolto in fin di vita quella notte... la notte che gli aveva cambiato la vita per sempre.
    Gli occhi argentati di Phobos brillavano come le stelle che fioccavano già dal cielo, tingendo la notte di colori bellissimi di pura luce stellare.
    Non sorrideva mai, lo definivano il Principe triste quando era un bambino, ma in quel momento le sue labbra erano piegate in un gioioso e limpido sorriso, due fossette deliziose gli si erano formate sulle guance, e le sopracciglia severe non erano più piatte ma sollevate, facendo apparire i suoi occhi più grandi e luminosi... il potere che Velkan aveva su di lui era senza confini.
    Ma non si trattava di un potere derivante dal suo status di mago, affatto. Tuttavia, non per questo era meno intenso. Forse lo era anche di più, andando oltre l'umana concezione, o quella di una creatura vecchia centinaia di anni.
    elfo (Sangue puro)
    305 anni
    principe
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    Velkan
    « MY HEAD IS FULL OF DREAMS AND DEMONS. »
    Umano - 34 anni
    Mago



    Velkan si muoveva piano tra gli arbusti e gli steli d'erba, quasi temesse di disturbare la natura rigogliosa che cresceva in quella foresta.
    Ne aveva viste tante, di boscaglie dalla bellezza incantevole, ma quella possedeva qualcosa che il mago non aveva mai visto. Era diversa da tutte le altre, e non solo perché in essa crescevano piante e foglie che altrove non esistevano e, anzi, erano persino difficili da immaginare. Il poeta dall'immaginazione più fervida e l'animo più sensibile non sarebbe riuscito a ricreare niente del genere.
    C'era qualcosa che pulsava, in quella foresta. Una luce innata, che proveniva dalle viscere della terra, serpeggiava lungo le radici degli alberi e si arrampicava sulla loro corteccia. Un'antichità che avvolgeva e permeava ogni cosa, dando a qualunque visitatore la sensazione di essere così piccolo di fronte alle querce secolari o alla terra nata quando nacque il mondo.
    Non era la prima volta che Velkan si recava in quel luogo. La prima volta era stato quasi per caso, poi lo aveva memorizzato e adesso non aveva bisogno che di aprire un portale e pensare intensamente alla meta che voleva raggiungere. Era un modo molto comodo di spostarsi, quello: gli consentiva di raggiungere facilmente i luoghi più impervi e persino quelli proibiti. C'erano dei posti a cui non poteva accedere, perché non era previsto che piede umano li calpestasse, ma Velkan non era mai stato bravo a seguire le regole e, soprattutto in quel caso, infrangeva quella tradizione senza troppe remore. In fondo il mago non si tirava indietro dall'aggirare qualche ordine, se ne valeva la pena, e in casi come quello ne valeva davvero la pena.
    Avrebbe potuto aprire il portale esattamente nel punto che desiderava raggiungere, ma non lo aveva fatto. Si era mantenuto un po' distante, così da dover incedere per qualche centinaio di metri a piedi prima di arrivare. In questo modo avrebbe potuto godere della bellezza della foresta che lo ospitava, ma non solo. Avrebbe potuto anche gustare l'attesa di ciò che lo attendeva di lì a poco, così che l'aspettativa dell'incontro potesse accrescerne il piacere.
    I piedi del mago calzavano degli stivali di cuoio ormai graffiati e consumati in più punti, le cui suole sparivano quasi completamente a ogni passo, ingoiate dal muschio che copriva la terra. Ne avrebbe dovuti comprare di nuovi, questi erano ormai vecchi e brutti a vedersi, ma Velkan non era così ricco da potersi concedere di rinnovare il vestiario ogni volta che ne aveva voglia. Avrebbe dovuto attendere, pensò, ma comunque gli sembrava di infangare la foresta a ogni passo.
    L'aria intorno a lui era estremamente piacevole. Calda ma non torrida, brillava dei raggi lunari che perforavano il fogliame degli alberi e inargentavano il pulviscolo.
    Velkan sapeva di non dover avanzare ancora molto, perché oltre il fitto degli ultimi rami il bosco si sarebbe aperto nella radura che era la sua meta, e lì avrebbe incontrato Phobos.
    Il mago era un collezionista di cose belle, e Phobos era la cosa più splendente che avesse mai visto. Ma in quel caso non era stato l'uomo a raccoglierlo e tenerlo per sé, bensì era stato l'elfo a conquistarlo completamente. Con quel volto affilato, eppure armonioso, i lunghi capelli argentei e gli occhi tristi. C'era qualcosa di quello sguardo, sempre latente anche quando Phobos sembrava di buon umore, di perfetto e insieme infinitamente struggente. Velkan non riusciva a smettere di guardarlo, con l'occhio di un artista disperato che sa che il suo ritratto non sarà mai all'altezza del modello. Oppure lo guardava come se dovesse interpretare, attraverso lo sguardo, ciò che c'era nel suo cuore. Ci provava, ma non sempre ci riusciva. Phobos rimaneva un bellissimo enigma.
    Il sentiero naturale che il mago stava seguendo piegò e, come previsto, gli alberi si diradarono ulteriormente, rivelando la radura. Con la schiena appoggiata a un tronco, il capo gettato all'indietro e gli occhi irraggiungibili, l'elfo ingannava l'attesa scrutando il cielo. Ma quando udì i passi di Velkan si voltò in fretta verso di lui e fece il suo nome.
    C'era qualcosa di ancora più struggente quando sorrideva, e in quel momento l'uomo seppe di amarlo.
    "Spero di non averti fatto aspettare troppo" disse raggiungendolo.
    Si sedette sulla pelliccia che ricopriva il terreno, accanto a lui, e incrociò le gambe.

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    Phobos Vhalar
    « I HAVE WALKED THERE SOMETIMES, BEYOND THE FOREST AND UP INTO THE NIGHT. I HAVE SEEN THE WORLD FALL AWAY AND THE WHITE LIGHT FOREVER FILL THE AIR. IT IS MEMORY, PRECIOUS AND PURE. »
    Phobos non poteva non riconoscere il suono leggero dei passi di Velkan.
    Ogni volta che si separavano il mondo sembrava crollare in pezzi e le stelle perdevano la loro luce brillante... ma quando Velkan faceva ritorno da lui, era tutta un'esplosione accecante di luce, sia fuori che dentro Phobos.
    Sentiva un calore nascere al centro del suo petto e irradiarsi per tutto il corpo, fino alla punta delle dita, smaniose di instaurare un contatto con il mago.
    Gli stivali logori che battevano sul terreno avevano il suono di casa, sebbene Phobos una casa non l'avesse mai realmente avuta. Non un luogo fisso almeno, ma Velkan sarebbe stato la sua casa, il porto sicuro in cui attraccare e nascondersi quando imperversavano tempeste apparentemente inaffrontabili.
    Diviso da lui si sentiva così debole, vicino invece più forte che mai.
    L'amore era uno sciocco e folle sentimento, ancora acerbo nella perfetta concezione che ne aveva Phobos, perché l'amore è tutto fuorché perfetto.
    "Spero di non averti fatto aspettare troppo"
    Velkan gli si avvicinò, con tranquillità e un'intimità che ormai Phobos aveva imparato a conoscere ed amare. Come ogni cosa di lui: i capelli lunghi e scuri, la figura slanciata, le mani ed il modo in cui si muovevano, il volto così bello e particolare, la linea dei suoi occhi ed il nero profondo che sembrava nascondere abissi senza fine.
    Lo amava con disperazione, come se fosse consapevole della tragicità della loro condizione futura, come se dentro il suo cuore fosse a conoscenza della distruzione che avrebbe portato nella loro vita... Ma in quel momento, la sola idea di recare danno a una cosa così bella come Velkan, era assurda.
    Il mago incrociò le gambe, sedendosi sulla pelliccia vicino a Phobos e lui si morse un labbro, come se stesse cercando di arginare quel sorriso che gli faceva dolere le guance, tanto era avvezzo a non sorridere mai troppo.
    Lo definivano triste, ma tutti quelli che lo avevano appellato in quel modo non lo avevano mai visto in compagnia di Velkan.
    Quel mago ci aveva impiegato davvero molto tempo a nascere e incrociare la strada di Phobos Vhalar: tre secoli, quasi tutta la vita che un elfo ha a disposizione.
    Ma era valsa la pena attendere, come per tutte le cose dotate di una sconfinata bellezza.
    « Solo trecento anni... » gli rispose quindi Phobos con biasimo, come se quello di Velkan fosse stato un comportamento davvero orribile, sebbene ci fosse un chiaro sollievo nella sua voce, perché alla fine era arrivato.
    Phobos sapeva benissimo che non era quello che intendeva Velkan con le sue parole, ma era quello che intendeva lui.
    La sua vita sembrava essere stata solo una lunga attesa di quel momento, un tendersi infinito di non esistenza per poi arrivare al giorno in cui lo aveva incontrato. E voleva che lo sapesse, che era la cosa migliore che gli fosse capitata.
    « Sai... Sono nato in una notte stellata come questa, con una cometa argentata che squarciava il cielo. » spiegò Phobos a Velkan, consapevole di non avergli mai raccontato troppo sul suo passato. Non perché non volesse, ma perché con lui vicino era impossibile restare imbrigliati a ciò che era stato, era molto più facile vivere il momento e pensare al futuro. Insieme.
    Phobos si strinse nelle spalle, come a dover motivare la sua sfrenata passione per tutto ciò che riguardava i fenomeni astrali. Così come il suo parlarne fino alla noia.
    « Per la mia famiglia le stelle e la loro luce sono sacre. » i suoi occhi si abbassarono e le sue folte sopracciglia scure si aggrottarono, chiedendosi come quei discorsi sulle stelle potessero suonare alle orecchie del mago.
    « Pensi che sia stupido? »
    elfo (Sangue puro)
    305 anni
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    Velkan
    « MY HEAD IS FULL OF DREAMS AND DEMONS. »
    Umano - 34 anni
    Mago



    I capelli di Phobos, sciolti sulla sua schiena, avevano la stessa luce delle stelle che punteggiavano il cielo. La risata di Velkan ebbe lo stesso colore e consistenza: argentina, lieve come un soffio di vento o una palla di gas a diversi anni luce di distanza.
    "Solo trecento anni..." aveva risposto l'elfo.
    E pensare che, quando si erano incontrati per la prima volta, Velkan non avrebbe scommesso un soldo bucato sul fatto che gli elfi potessero ridere o scherzare. O almeno la sua prima impressione era che quell'elfo in particolare non ne fosse capace o le sue corde vocali non fossero mai state sollecitate in quel senso.
    Le volte in cui Phobos stirava le labbra sembravano più sorrisi di circostanza, che non raggiungevano mai gli occhi, espressioni misurate, richieste dalla situazione, fin troppo tiepide, mai espansive. Phobos era sempre stato un astro troppo lontano perché qualche emozione potesse toccarlo, o così almeno credeva Velkan.
    Sembrava non avere tempo per occuparsi di provare qualcosa: c'era sempre il suo popolo, le lotte con l'altro clan, qualsiasi altra cosa veniva prima di lui e dei suoi bisogni. Era sempre così serio nell'occuparsi del suo dovere che Velkan non poteva trattenersi dal punzecchiarlo e prendere bonariamente in giro il suo sussiego. In realtà una parte di lui era ammirata per la capacità di Phobos di sobbarcarsi tutto il peso del mondo o quasi; se le parti fossero state invertite Velkan dubitava che sarebbe riuscito a fare lo stesso. Semplicemente non faceva per lui, che preferiva starsene per conto suo pur di non avere responsabilità addosso. Phobos era, invece, la persona adatta per quel ruolo. Tuttavia tanto sussiego, rigidamente costruito come un'armatura, era una tentazione troppo forte perché il mago non cercasse di penetrarla e smantellarla.
    Aveva intravisto un altro uomo sotto quella scorza opaca. Un uomo che sapeva ridere e gioire e respirare il vento tiepido senza aspettarsi sempre la tempesta. Velkan aveva desiderato tanto conoscere quell'uomo, e riteneva di esserci riuscito.
    Lui era lì, sedeva contro quel tronco e lo aspettava da trecento anni. A volte sembrava che esistesse solo lui, perché quando era in compagnia del mago, l'elfo lasciava fuori dalla porta i doveri e le responsabilità legate al suo ruolo.
    "Allora spero che l'attesa sia valsa la pena" rispose Velkan con la voce ancora sporca dell'ultima risata.
    "Sai... Sono nato in una notte stellata come questa, con una cometa argentata che squarciava il cielo" spiegò Phobos, gli occhi ancora incollati al cielo.
    Il mago ascoltava quieto e interessato. L'elfo era sempre avido di dettagli sulla sua vita, ma a lui piaceva ascoltarlo quando ne parlava. Dal canto suo non aveva nemmeno idea di come si potesse fare per vivere tre secoli interi: probabilmente era un'altra cosa della quale Phobos era capace, ma che lui non sarebbe mai stato in grado di fare neanche se fosse stato possibile. Velkan era più simile a quelle falene che vivevano la loro vita in un giorno e poi bruciavano contro il sole.
    "Per la mia famiglia le stelle e la loro luce sono sacre. Pensi che sia stupido?" continuò il biondo.
    Phobos guardava il cielo, ma Velkan guardava lui.
    "Non credo" rispose. "E' difficile pensare che qualcosa di così bello non sia sacro o divino."
    Tese una mano e, con gesto distratto, ravviò una ciocca dei capelli di Phobos.

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    Phobos Vhalar
    « I HAVE WALKED THERE SOMETIMES, BEYOND THE FOREST AND UP INTO THE NIGHT. I HAVE SEEN THE WORLD FALL AWAY AND THE WHITE LIGHT FOREVER FILL THE AIR. IT IS MEMORY, PRECIOUS AND PURE. »
    Dal primo momento in cui lo aveva visto, Phobos aveva saputo con certezza incrollabile che Velkan gli avrebbe portato solo guai. Anche se bisognava ammettere che quei guai se li era cercati, visto che poteva lasciare il mago a cavarsela da solo, tra le montagne, voltandosi semplicemente dall'altra parte. Ma così come era certo che fosse un uomo capace di sconvolgere la sua vita fino a minarla nelle fondamenta, Phobos sapeva anche che non poteva lasciarlo nella neve nelle condizioni in cui era, e che quegli occhi scuri come carbone lo avevano ormai intrappolato.
    Così lo aveva aiutato e gli aveva permesso di vedere il suo clan e diventarne parte, seppure per poco tempo e senza esserlo davvero uno di loro. Era un ospite, sgradito. Agli altri elfi non piaceva, perché era una creatura umana e loro se ne stavano alla larga da quelli della sua razza.
    Gli umani erano crudeli, non avevano mai fatto niente di buono per il popolo elfico se non accentuarne la rovina e la decadenza, approfittavano della loro assenza di diritti e della loro debolezza.
    Tra umani ed elfi non scorreva buon sangue ma era difficile, per Phobos, tenere a mente che avrebbe dovuto disprezzare il mago che aveva aiutato, quando si ritrovava a parlare con lui.
    Velkan aveva quel fastidioso modo di fare capace di incrinare la sua sicurezza e la sua austerità. Più si sforzava di non lasciarsi influenzare da lui, di non eccedere nei sorrisi o nei comportamenti spensierati e anche un po' frivoli, e più finiva per dimenticarsi dei suoi propositi.
    Velkan lo metteva in difficoltà, ma senza realmente essere una seccatura. Era divertente dire di considerarlo tale, ma non lo era affatto.
    Era la sua più grande gioia.
    Alla fine Phobos si era abituato al suo modo di fare e aveva iniziato ad amarlo. Aveva iniziato ad amare lui, ogni singolo aspetto di lui.
    Non pensava che sarebbe mai riuscito a farsi coinvolgere da qualcuno, giunto al termine della sua vita... ma Velkan aveva fatto breccia nella sua anima come nessuno mai aveva o avrebbe più fatto.
    Phobos sentiva che quell'uomo gli apparteneva e che a sua volta lui apparteneva a Velkan, più di quanto appartenesse a se stesso o al suo clan... e questo era terrificante, per una creatura che viveva di senso del dovere, tradizioni e onore.
    La paura ed i dubbi che lo assalivano scomparivano ogni volta che si ricongiungeva con Velkan.
    Quando erano lontani i pensieri logoravano l'elfo come un tarlo, con insistenza e ferocia, ma quando finalmente tornavano insieme, ogni cosa veniva spazzata via e Phobos si sentiva più leggero e libero.
    Poteva perfino permettersi di essere dolce, di far crollare le sue difese con Velkan, perché vedesse le sue fragilità. Perché le amasse.
    Lui non lo avrebbe mai considerato meno uomo per ciò che era, o perché come tutti aveva delle debolezze... Velkan non era il suo clan.
    Velkan era la cosa più bella che aveva, la metà di sé stesso che pensava fosse ormai andata perduta, ma che invece era solo in attesa di essere trovata.
    Si sentì così libero di prenderlo bonariamente in giro, asserendo di averlo fatto attendere solo trecento anni.
    "Allora spero che l'attesa sia valsa la pena" rispose il mago, e Phobos ovviamente non si aspettava niente di diverso da lui.
    Sorrise, abbassando la testa e lasciandosi sfuggire dalle labbra parole forse malinconiche, ma vere: « Aspetterei altre cento vite pur di incontrarti di nuovo. » altre cento, duecento o trecento. Tutta l'eternità se l'avesse avuta.
    Avrebbe affrontato una solitudine sconfinata per la promessa che un giorno sarebbero stati di nuovo insieme. Ma se il destino fosse stato generoso, avrebbe lasciato che quei due finissero i loro giorni assieme.
    Parlò poi delle stelle – che come lui sembravano così sole e in perenne attesa –, domando a Velkan se trovasse stupido e banale il modo in cui il loro clan, e la famiglia di Phobos in particolare, guardava alla volta stellata.
    Quando l'elfo abbassò gli occhi, in attesa di una risposta da parte sua, si rese conto che Velkan non stava fissando il cielo, ma stava fissando lui.
    Quello sguardo lo faceva sempre sentire la cosa più interessante del mondo, più interessante della luce delle stelle.
    Ed era bellissimo che qualcuno lo guardasse come la cosa più preziosa che possedeva.
    "Non credo" gli rispose a quel punto "E' difficile pensare che qualcosa di così bello non sia sacro o divino."
    Velkan tese una mano, con un gesto distratto e familiare, andando a toccare una ciocca dei capelli argentati di Phobos, ravvivandola.
    Solo lui poteva permettersi certi gesti, solo lui poteva compierli con familiarità. Solo lui.
    Phobos prese la mano di Velkan nella sua, tirandolo lievemente verso di sé e allungandosi a sua volta verso di lui.
    L'incontro delle loro labbra fu dolce, ma capace di esprimere non solo l'amore che l'elfo provava per l'umano, ma anche il desiderio profondo che aveva di lui.
    Non si trattava puramente di un desiderio fisico, ma anche di un desiderio spirituale, perché Velkan era l'unico capace di sanare le ferite che Phobos si portava dentro e che nascondeva agli occhi di chiunque.
    Se prima di incontrarlo aveva pensato che senza il suo clan non fosse niente, che il suo popolo determinava ciò che era, adesso aveva capito che era senza Velkan che non valeva nulla, che non era nessuno.
    Senza di lui era solo un uomo triste che cercava di compiacere chi lo circondava, una creatura che aveva vissuto trecento anni senza vivere davvero un solo giorno.
    Avrebbe dovuto ricordarlo anche in altre circostanze, ma era facile dimenticare, attanagliati dalla paura.
    « Gi melin... Le melithon anuir, meleth e-guilen » (Traduzione: I love you. I will love you forever, love of my life.) sussurrò al mago con un sorriso, dopo essersi allontanato dalle sue labbra per qualche istante.
    Era consapevole che Velkan non avrebbe compreso il suo linguaggio, ma avrebbe compreso che gli aveva detto qualcosa di molto importante, visto il tono che aveva assunto la sua voce, ed il secondo bacio più intenso che gli rubò - perché non riusciva a stare troppo lontano delle sue labbra.
    elfo (Sangue puro)
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    Velkan
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    Velkan proveniva da una famiglia modesta, ma i suoi genitori sapevano cos'era l'educazione e avevano provato a impartirgliene una. Gli avevano spiegato, fin da quando era un bambino, che occorreva un certo garbo nel fare le cose e che non si potevano fare domande indiscrete o lanciare occhiate troppo dirette.
    Gli insegnamenti dei suoi genitori si erano fatti strada dentro di lui, ma non era sempre facile seguirli. A differenza di sua madre e di suo padre, abituati a guardare dritti davanti a sé, ad accontentarsi di ciò che ricevevano, Velkan non era mai appagato.
    Uno dei tratti distintivi del suo modo di essere era la sua grande curiosità, la sua incapacità di fermarsi in un posto e di accontentarsi di ciò che aveva. Il mago voleva sempre andare oltre, spingersi oltre il velo, capire cosa c'era dietro, indovinare i segreti del mondo.
    Spesso quindi la sua grande curiosità lo portava a fare le domande indiscrete che i suoi genitori gli avevano raccomandato di evitare, o a fissare intensamente qualsiasi cosa catturasse il suo interesse. Come Phobos in quel momento.
    L'elfo stava parlando, raccontando per altro qualcosa che al mago interessava moltissimo, esattamente come tutto ciò che riguardava il Vhalar. Eppure, anziché rovesciare la testa all'indietro e guardare il cielo stellato, gli occhi del mago erano per l'elfo. Così come il suo pensiero, le sue mani, il suo respiro e ogni altra cosa di lui.
    Gli piaceva guardarlo, sentirlo parlare. Gli piaceva quando gli diceva cose che non avrebbe mai osato rivolgere a nessun altro. Faceva sentire Velkan unico, proveniente da un'altra galassia.
    "Aspetterei altre cento vite pur di incontrarti di nuovo" disse Phobos.
    Il mago continuò a guardarlo, col sorriso negli occhi.
    "Ma adesso sono qui."
    Quando sfiorò i capelli di Phobos, ravviandoli dietro l'orecchio, l'elfo si accorse che Velkan lo stava guardano. Non perse tempo, ma intercettò quella stessa mano che lo aveva toccato lievemente, così da tirare a sé il suo proprietario, verso le sue labbra.
    Velkan lo baciò come se in quel contatto ci fosse la ragione ultima della sua vita, ed era così. In tutta la sua esistenza non aveva mai pensato di poter incontrare qualcuno come lui, qualcuno che lo facesse sentire come faceva Phobos, eppure era successo, e Velkan non avrebbe smesso di sentirsi incredulo per questo.
    Il sapore di Phobos era buono; il fatto di averlo assaggiato tante volte lo rendeva familiare, ma non per questo lo saziava. Quando si scostò appena, disse in un soffio:
    "Gi melin... Le melithon anuir, meleth e-guilen."
    Sembrava una voce ultraterrena, in quella lingua così elegante. Phobos sapeva bene che Velkan non la capiva: il suo soggiorno tra gli elfi era stato troppo breve. Eppure a volte la usava, come se fosse un gioco, come se volesse solleticarlo.
    "Che vuol dire?" domandò il mago, sapendo che probabilmente avrebbe dovuto penare per scoprirlo, e che Phobos avrebbe comunque potuto mentirgli. "Sembra importante."

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    Phobos Vhalar
    « I HAVE WALKED THERE SOMETIMES, BEYOND THE FOREST AND UP INTO THE NIGHT. I HAVE SEEN THE WORLD FALL AWAY AND THE WHITE LIGHT FOREVER FILL THE AIR. IT IS MEMORY, PRECIOUS AND PURE. »
    "Ma adesso sono qui."
    La presenza di Velkan era tangibile, come aveva appena detto a Phobos, ma l'elfo si scoprì a pensare invece a quando non c'era stato e a quando non ci sarebbe stato più.
    La paura era una costante della sua vita, così come l'incertezza e l'inadeguatezza. Sensazioni che si riflettevano anche sulla sua storia con Velkan, portandolo a domandarsi se non se ne sarebbe andato, un giorno, senza più fare ritorno da lui.
    Certo, era assurdo il solo pensarlo, ma quando Phobos era da solo la sua mente era la sua peggiore nemica. Creava scenari inattuabili, ma terrificanti.
    Così l'elfo si scopriva più concentrato sull'assenza di Velkan che sulla sua presenza.
    Le sue parole, però, sembrarono riportare la sua attenzione su di lui, come se gli avesse detto: guardami, sono qui, smettila di lamentarti.
    Avrebbe dovuto farlo. Velkan era un dono, era il suo capolinea e sinceramente Phobos non avrebbe voluto che fosse nessun altro se non lui.
    Lo amava moltissimo e voleva passare il tempo che gli restava in compagnia del mago. Voleva amarlo ogni giorno, scoprire il suo sorriso radioso e studiare con minuzia la linea dei suoi occhi, i particolari del suo viso che già conosceva a memoria.
    Velkan non l'avrebbe lasciato più da solo, doveva imprimerselo bene in mente, sarebbe rimasto al suo fianco e se fossero stati entrambi fortunati, avrebbero vissuto insieme fino alla fine dei loro giorni.
    Phobos mise nel loro bacio, tutto quello che provava, la disperazione e l'amore, la gioia e la paura ma soprattutto il desiderio che aveva di Velkan. Poi gli disse che lo amava, una dichiarazione importante di cui gli umani non potevano cogliere i significati, ma certamente il modo in cui l'aveva detto parlava da sé.
    "Che vuol dire?" domandò Velkan, facendo sorridere Phobos con la sua ignoranza in fatto di lingua elfica "Sembra importante."
    Importante era dir poco.
    Phobos aveva messo a nudo la sua anima, aveva mostrato il suo cuore al mago. Quando gli elfi parlavano, non si trattava di frasi come quelle degli umani, basate sull'incertezza. Le loro parole erano permeate di un certo grado d'importanza, nascondevano sempre promesse destinate a durare in eterno. Più di loro stessi.
    Velkan sapeva, in cuor suo, cosa Phobos gli aveva detto. Poteva leggerlo nei suoi occhi argentati, che ardevano della luce delle stelle solo per lui.
    « Che è giunto il momento di comprare dei nuovi stivali. » lo prese bonariamente in giro, lanciando uno sguardo agli stivali logori che il mago portava.
    Erano così diversi... in tutto: Velkan indossava abiti poco curati, Phobos era il ritratto dell'eleganza. I capelli del mago erano ebano, quelli di Phobos neve.
    Ma si erano trovati, due opposti quel tanto che bastava ad attrarli l'uno verso l'altro.
    Tuttavia, Phobos non poteva davvero prendersela con gli stivali consumati di Velkan, erano una specie di tratto distintivo e gli piacevano, li adorava, come qualsiasi cosa di lui.
    « No, non è vero. Mi piacciono i tuoi stivali da umano. » ci tenne a specificare in un sussurro basso, sporgendosi di nuovo verso di lui, sempre con un sorriso divertito a piegargli le labbra desiderose di sfiorare quelli di Velkan.
    Nella sua frase, umano significava straccione, o qualche altra offesa simile, senza tuttavia suonare come una vera e propria offesa, ma una bonaria presa in giro.
    « Ti amo. » tradusse per lui in un sospiro « Spero che nella tua lingua abbia la stessa intensità che ha nella mia. » ma ne dubitava.
    La lingua umana sembrava così definitiva, intendevano proprio ciò che dicevano e non c'era la stessa poesia intrisa nella lingua elfica, che nel pronunciare un ti amo poteva scuotere il mondo.
    elfo (Sangue puro)
    305 anni
    principe
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    Velkan
    « MY HEAD IS FULL OF DREAMS AND DEMONS. »
    Umano - 34 anni
    Mago



    La lingua elfica restava un mistero per Velkan, che l'aveva sentita parlare, beandosi della sua musicalità, ma non la comprendeva, né era in grado di interpretarla. E naturalmente, come tutte le altre cose enigmatiche e misteriose che esistevano al mondo, il mago provava il forte impulso di scoprirla, di indagarla, di raggiungerne il cuore e il senso.
    Con Phobos era la stessa cosa. Velkan ricordava perfettamente la prima volta che il volto dell'elfo era entrato nel suo campo visivo. Nel tempo successivo aveva dimenticato dettagli e informazioni che la sua memoria non tratteneva, ma quel volto, l'espressione che gli aveva rivolto, non poteva dimenticarlo.
    Il primo pensiero che Velkan aveva formulato sul conto di Phobos riguardava il suo essere così distante e inaccessibile. L'impressione poteva essere anche determinata dal fatto che lui era un umano, e immaginava la fama degli umani presso le altre razze. Ma poi, quando era guarito dalle ferite che aveva subito, il mago aveva avuto modo di osservare Phobos nel suo ambiente, nel suo clan, e si era accorto che la prima impressione era quella giusta. Non si trattava solo di come si mostrava con Velkan: era con tutti indistintamente che l'elfo dai capelli argentei manteneva una certa distanza. Di certo dipendeva dal suo ruolo, ma c'era modo e modo per viverlo.
    Velkan aveva preso a osservarlo, sempre più incuriosito - sempre più conquistato, ma inizialmente non se ne era mai accorto - per studiarlo, mosso dal desiderio di capirlo esattamente come ora voleva capire cosa significasse la frase che aveva pronunciato. Aveva iniziato a fare delle ipotesi sul suo conto, intrigato da quel modo di fare. Aveva capito che Phobos viveva la sua posizione più come una responsabilità che come un privilegio, un peso che lui si sobbarcava e del quale sollevava gli altri. Quel gravame che portava gli aveva tolto gran parte della gioia e della spensieratezza.
    Velkan invece non aveva legami, non aveva responsabilità. Non doveva dar conto di niente a nessuno, e lui viveva solo per se stesso una vita all'insegna di quella gioia e di quella spensieratezza che mancavano a Phobos. Non sapeva dire quando, ma a un certo punto aveva deciso che ne avrebbe donato un po' all'elfo. Che avrebbe voluto condividerle con lui.
    Era stato con stupore di entrambi che, in seguito alle insistenze del mago, Phobos si era liberato di parte di quei fardelli, rivelando di essere una persona più leggera. Velkan, che si era già innamorato di lui, aveva preso ad amarlo di più per quello.
    Quando riuscivano a ritagliarsi dei momenti tutti per loro, sembrava che ogni cosa fosse perfetta.
    Il mago guardava il suo amante con insistenza, come a voler frugare ancora una volta sotto la sua pelle e scoprire il significato di quello che Phobos non diceva. O, come in quel caso, diceva in una lingua incomprensibile. E mentre lo guardava sorrideva perché, anche se non poteva conoscerne il significato, percepiva che fosse qualcosa di bello.
    "Che è giunto il momento di comprare dei nuovi stivali" replicò Phobos.
    "Non hanno nulla che non va!" protestò il mago, abbassando lo sguardo sulle sue calzature.
    Realizzò che in effetti qualcosa che non andava c'era. I suoi stivali erano quasi logori e, se considerati da soli potevano essere vagamente accettabili, al confronto con le vesti impeccabili di Phobos lo facevano sembrare uno straccione.
    Probabilmente sarebbero stati sempre quello: il principe e il povero. Ma Phobos era il suo principe e tanto gli bastava.
    "No, non è vero. Mi piacciono i tuoi stivali da umano" si corresse l'elfo, peggiorando la situazione, perché Velkan sapeva in che senso gli appartenenti alla sua razza usavano quel termine.
    Ma non c'era offesa in quello scambio di battute, lo si leggeva negli occhi del biondo, o nel suo tono. C'era complicità, voglia di scherzare.
    Quando Velkan aveva conosciuto Phobos, aveva dubitato che uno come lui potesse scherzare, e invece eccolo là.
    Il mago finse di accigliarsi per l'offesa subita. Nel notare l'espressione, l'altro disse di amarlo: era quella la traduzione della frase che aveva usato, e Velkan percepì una stretta improvvisa allo stomaco. Dolorosa, ma dolcissima.
    "Spero che nella tua lingua abbia la stessa intensità che ha nella mia."
    Velkan si protese verso di lui, prese il suo volto tra le mani e lo avvicinò al suo. Seguì con gli occhi la linea dritta del naso, la curva perfetta di quelle labbra, amando ogni dettaglio.
    Premette la sua bocca contro quella di Phobos, di nuovo. L'elfo aveva ragione: la lingua comune non era altrettanto bella e intensa. Un bacio forse aveva un significato più profondo.
    Respirò l'odore della pelle di Phobos e premette il corpo contro il suo, poi si scostò per alzarsi.
    "Andiamo, voglio farti vedere una cosa."

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    Phobos Vhalar
    « I HAVE WALKED THERE SOMETIMES, BEYOND THE FOREST AND UP INTO THE NIGHT. I HAVE SEEN THE WORLD FALL AWAY AND THE WHITE LIGHT FOREVER FILL THE AIR. IT IS MEMORY, PRECIOUS AND PURE. »
    Phobos non era mai stato realmente felice nella sua vita.
    Anche quando era un bambino aveva un’aria eternamente triste e corrucciata, che crescendo non se ne andò affatto, ma si ingigantì, rendendolo la persona austera e inavvicinabile che tutti lo consideravano.
    Il suo clan vedeva la tristezza nascosta sul fondo di quegli occhi argentati, ma consapevoli di non poter fare nulla per lui - nessuno poteva farlo - fingevano di non vedere e non compivano nemmeno un passo verso di lui.
    Phobos non si era mai sentito all’altezza di niente. Aveva disatteso le aspettative in lui riposte, era l'ultimo della sua famiglia a custodire i segreti dei Vhalar ed il loro retaggio. Era così stanco di quel ruolo… così stanco che quasi ne agognava la fine.
    Avrebbe voluto solo riposare, chiudere gli occhi e non riaprirli mai più, spegnersi nella notte stellata e lasciare che la luce delle stelle lo baciasse per dirgli addio.
    Sarebbe poi stato seppellito sotto la terra e lì sarebbe rimasto per sempre, a dormire e diventare parte di quella natura che tanto amava e rispettava.
    Poi era arrivato Velkan e aveva stravolto ogni cosa. Mutando i desideri ed i piani di Phobos per la sua vita.
    L’elfo, con lui si era sentito… diverso, come forse tutte le persone si sentivano normalmente. La presenza di Velkan rendeva meno gravosi i doveri dell’elfo, meno insopportabile la sua esistenza e meno allettante l’idea di arrendersi in cerca di riposo.
    Seduti l’uno vicino all’altro, senza nessuno pronto a giudicarli o a osservarli, Phobos poteva anche ridere e scherzare con il mago, prendendo in giro i suoi stivali logori.
    Sembrava un’altra creatura quando era con Velkan, migliore della pallida ombra argentata che il suo clan era abituato a vedere. Phobos pensava che non lo avrebbe mai accettato così, ma forse lo avrebbero amato di più vedendolo per ciò che era realmente.
    Non che importasse, l’unico dal quale voleva essere amato era quel mago che sembrava uno straccione ma che, ai suoi occhi, era la cosa più bella e perfetta sulla quale avesse posato il suo sguardo.
    Lo aveva saputo dal primo istante che gli avrebbe stravolto la vita, quando aveva visto i suoi occhi scuri e quello sguardo che non trasmetteva arrendevolezza, ma voglia di combattere. Era diventato suo da allora, ancor prima di rendersi conto di desiderarlo.
    "Non hanno nulla che non va!" protestò Velkan, di fronte alle prese in giro di Phobos che, in quel momento, si concesse una vera e propria risata di cuore, mentre lo apostrofava con il suo nome « Velkan! » come a chiedergli retoricamente di essere realista.
    Ci tenne poi a specificare che, comunque, quegli stivali gli piacevano e il mago finse di essersi offeso. Phobos desiderò di baciarlo e scacciare via quell’espressione dal suo viso, anche se si trattava di un gioco.
    Le mani di Velkan furono più veloci, corsero verso il volto dell’elfo, posandosi sulla sua pelle.
    Phobos osservò i suoi occhi e poi le sue labbra, impaziente, mentre il mago invece osservava i suoi lineamenti. L’unica cosa che Phobos voleva, erano le labbra di Velkan sulle proprie, non ne aveva mai abbastanza e così si poté definire soddisfatto solo quando il mago gli disse di amarlo, nella sua lingua. Non la lingua umana, era qualcosa di molto più chiaro di qualsiasi parola potesse pronunciare: un bacio.
    Phobos gli posò una mano dietro la nuca, come a cercare di rendere ancor più lungo il loro contatto, sfiorando i suoi capelli scuri e setosi, ma ad un certo punto fu costretto ad assecondare i movimenti di Velkan, scostandosi da lui e guardandolo mentre si metteva in piedi.
    "Andiamo, voglio farti vedere una cosa."
    Anche Phobos lo imitò, sorpreso, le sopracciglia scure corrucciate ma le labbra piegate in un sorriso e le gote rese rosse a causa delle emozioni che i baci o solo la vicinanza di Velkan, accendevano in lui.
    « Che cosa? » domandò seriamente curioso, mettendosi in piedi in un frusciare di seta preziosa.
    I capelli di Phobos erano sempre impeccabilmente aggiustati dietro le orecchie a punta, lasciando scivolare ai lati del viso solo due ciocche, sempre altrettanto impeccabili come il resto della capigliatura.
    A guardarli, lui e Velkan, sembravano ilgiorno e la notte, l’uno l'esatto opposto dell’altro, sotto ogni punto di vista. Ed era anche per questo che Phobos lo amava: perché non aveva assolutamente niente da spartire con Phobos, era la cosa più distante da sé che ci potesse essere, e al contempo la più vicina.
    elfo (Sangue puro)
    305 anni
    principe
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    Velkan
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    Umano - 34 anni
    Mago



    Velkan e Phobos provenivano da due mondi diversi, lontani. Avevano qualcosa di simile, entrambi alti, longilinei e dai lunghi capelli serici, ma erano l'uno il negativo dell'altro: Phobos era biondo e diafano tanto quanto Velkan era moro e olivastro. Anche le loro essenze, le loro vite erano diverse, due punti diametralmente opposti nell'ambito di quel cerchio che era l'esistenza. L'uno era un elfo, una creatura antica dalla vita lunghissima e privo di poteri magici, l'altro era un uomo, figlio di uomini e destinato a morire come loro, ma era anche un incantatore. E ancora, Phobos era una figura importante all'interno del suo clan, un capo, e per questo doveva sorreggere ogni giorno il peso della sua gente. Velkan era abituato a pensare a se stesso e a nessun altro e non aveva la responsabilità che del suo corpo e della sua vita.
    Non potevano essere più diversi di così, eppure si erano trovati, e quando si univano in quel modo, quando congiungevano le loro bocche e incollavano la loro pelle, Velkan sentiva che erano una cosa sola.
    Non aveva trascorso un giorno della sua vita alla specifica ricerca di una persona da avere al suo fianco, con cui condividere tutto. Aveva diviso il letto con donne e con uomini, ma nessuno di loro aveva avuto importanza e Velkan li aveva vissuti tutti per quelli che erano: l'avventura di una notte, il sollazzo di poche ore. Nulla con cui costruire qualcosa.
    Ma Phobos era diverso. Non lo aveva cercato, eppure il fato li aveva messi sulla stessa strada. Da quando lo aveva incontrato, il mago aveva capito che l'elfo era l'opposto che gli mancava, tutto ciò che gli serviva per completarsi.
    Così lo baciò, mettendo in quel bacio tutto ciò che sentiva, la misura in cui Phobos era importante per lui, quanto lo desiderava in quel momento e sempre.
    Ma poi anche quel momento passò - non finì, semplicemente Velkan rimandò un secondo giro sulle sue labbra a un momento successivo -, si staccò dall'elfo e lo aiutò ad alzarsi.
    "Vieni" lo invitò con la voce che sapeva di risate.
    Le dita del mago si intrecciarono con quelle di Phobos, poi lo portò lontano da quella radura, anche se di pochi metri. Si fermò, concedendo una carezza al suo amato per poi distanziarlo un po'. C'era un sottile ruscello che scorreva a pochi passi da loro, una striscia di acqua purissima e cristallina, sotto la quale le rocce erano perfettamente evidenti. Velkan si accosciò accanto al letto del torrente, iniziando a muovere le mani sopra la sua superficie, senza però toccarla. L'acqua che già gorgogliava iniziò a ribollire con più intensità, fino a sollevarsi in colonne sottili che parevano fatte di cristallo. Velkan muoveva le dita come un arpista, e i fili d'acqua iniziarono a intrecciarsi tra di loro fino a formare un disegno sospeso nell'aria. Dapprima astratto, come un ricamo, poi via via sempre più somigliante al broccato delle vesti di Phobos e, infine, al viso dell'elfo.

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    Phobos Vhalar
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    Phobos Vhalar amava Velkan più di quanto avesse mai amato qualsiasi persona al mondo. Più di quanto amasse se stesso. Tuttavia l’amore per sé era un tipo di amore molto debole, quindi un confronto non valeva niente.
    E’ più giusto dire che amava Velkan più delle stesse d’argento sopra la sua testa.
    L’amore di Phobos per gli astri era qualcosa ereditato da sua madre, qualcosa di potente e divino, quindi con loro un confronto lo si poteva aprire, ma Velkan lo vinceva senza nessun dubbio.
    Anche quando lo indispettiva, perché non si poteva dire mai arrabbiato con lui. Solitamente tale indispettirlo derivava dal sottrarsi alle carezze e ai basi dell’elfo. Come in quel caso.
    Troppo presto il loro contatto s’interruppe, ma Phobos non voleva mostrarsi avido delle labbra di Velkan, o del suo corpo, anche se lo era. Forse il mago aveva avuto altri compagni nel corso del tempo, libero di essere se stesso, libero dal giudizio e dalle aspettative altrui.
    Ma Phobos no.
    Lui aveva aspettato trecento anni per incontrarlo e gli sembrava che non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Agognava le sue labbra, la sua pelle, i capelli scuri a solleticargli il viso. Agognava le mani calde del mago sul proprio corpo, i suoi occhi neri nei propri argentati.
    Voleva essere solo lui e Velkan, in un mondo perfetto, fatto di notti infinite e sconfinato cieli tempestati di stelle.
    "Vieni" lo invitò il mago e Phobos allungò una mano verso di lui, le dita strette, palmo contro palmo, aiutandolo a mettersi in piedi.
    Un’ultima carezza, che l’elfo accolse con un sorriso dolce, ancora un velo di malizia su quelle labbra per troppo disabituate a sorridere. Poi Velkan si voltò e Phobos seguì il profilo familiare della sua schiena, fino a raggiungere una piccola striscia d’acqua pura e cristallina, che scendeva lungo le montagne e continuava più a valle.
    Phobos rimase in attesa, mentre Velkan si accovacciava accanto al torrente muovendo le mani.
    L’acqua iniziò a gorgogliare, sollevandosi poi verso l’alto. Colonne sottili e apparentemente fragili come cristallo. Le dita di Velkan sembravano pizzicare le corde di un’arpa invisibile, e come guidare da una melodia silenziosa, le colonne si mossero e l’acqua andò a formare disegni incomprensibili, che piano, piano acquistarono senso, lasciando Phobos senza fiato.
    Posò una mano sulla spalla del suo amante, osservando quella versione di sé creata dalle abilità di Velkan.
    « Sei una creatura… magnifica. » riuscì infine a dire, osservando rapito i rivoli d’acqua sospesi nell’aria.
    Gli sembrava tutto così bello che poco credeva di aver qualcosa a che fare con quella visione proiettata da Velkan.
    Ma forse quello era il modo in cui il mago vedeva l’elfo e ciò gli riempiva il cuore di gioia. Una sensazione da troppo tempo tenuta lontano da sé. Una sensazione che non aveva mai pensato avrebbe provato, non nella totalità che provava nei confronto di Velkan.
    « Me ne rendo conto ogni giorno di più. » aggiunse.
    « Grazie. » mormorò, anche se non era chiaro se lo stesse ringraziando per quello spettacolo magico o per il semplice e strabiliante fatto di esistere e far parte della sua vita.
    elfo (Sangue puro)
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    Velkan
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    Umano - 34 anni
    Mago



    Velkan era sempre stato affascinato dalla magia e, ancora di più, gli piaceva l'idea di possederla.
    Era stato un ragazzino quando aveva scoperto i suoi poteri, una creatura ancora minuta e acerba per cui tutto era un gioco. Anche la sua capacità di controllare gli elementi: avrebbe probabilmente potuto utilizzarla per scopi nobili, ma a quell'età era difficile anche solo pensarli, mentre era ben più facile giocare.
    Ecco quindi che le dita di Velkan agitavano l'acqua di un fiume senza neanche toccarlo, e la usavano per spruzzarla contro la schiena del padre. O Velkan che usava il vento per fare tutto quello che voleva, di solito creare disordine: amava le correnti d'aria, le sentiva così affini a sé, come se fossero state una parte del suo stesso essere.
    Era trascorso poco più di un battito di ciglia da quando aveva scoperto i poteri a quando era stato condotto in Accademia. Aveva imparato come usare la magia, ma non che uso farne, se non in teoria. L'aspetto giocoso di tutta quella faccenda era rimasto e non se lo sarebbe tolto di dosso neanche da adulto.
    Era quello che stava facendo tutt'ora, del resto: giocare con le acque di quel torrente, ricreare l'immagine del suo amante per fargliene regalo.
    Non sarebbe durato molto: presto quei ricami d'acqua sarebbero piombati di nuovo nel letto in cui scorrevano, cancellando ogni traccia degli occhi di Phobos. Sarebbero svaniti troppo presto e brutalmente, come tutte le cose belle, come le falene che bruciavano in un soffio e morivano.
    Velkan pensava di essere abituato a tutto quello, al ciclo delle cose. Alla scomparsa di ciò che è prezioso: di solito, quando ciò accadeva, quasi con disinteresse si alzava, lasciando ondeggiare i lunghi capelli scuri, e gli voltava le spalle. Lo avrebbe fatto anche di fronte a quei giochi d'acqua, senza rimpianti. Ma non avrebbe potuto farlo per sempre, e ben presto anche lui avrebbe scoperto il dolore della perdita.
    Al momento però i ricami d'acqua resistevano, e lo avrebbero fatto finché Velkan avesse continuato a lavorarci.
    Lanciava di tanto in tanto qualche occhiata alle sue spalle, per accertarsi che Phobos stesse guardando. Quella del mago era un'esibizione, un modo per pavoneggiare i suoi poteri, ma era per lui che lo stava facendo. Gli piaceva quando qualcuno ammirava le sue doti, ma ancora di più gli piaceva vedere Phobos sorridere.
    Quando Velkan iniziò a ricamare i primi dettagli di un'immagine che pian piano prendeva forma vide il viso dell'elfo dipingersi di stupore, e ne ricavò immensa soddisfazione. Poi finalmente Phobos si aprì in uno di quei sorrisi che il mago riusciva a strappargli e fu come se le stelle esplodessero in cielo.
    Velkan sentì la sua mano sulla spalla e percepì un brivido di piacere.
    "Sei una creatura… magnifica" disse dopo un po', "me ne rendo conto ogni giorni di più. Grazie."
    Qualcosa dentro il mago si fuse, sprigionando una sensazione di calore e rendendo ogni movimento o pensiero più fluido.
    Non disse nulla, concentrato sul suo disegno. Ora l'immagine di Phobos era completa e Velkan era abbastanza soddisfatto delle sue capacità di ritrattista, anche se tutti gli sforzi del mondo non sarebbero bastati ad eguagliare la bellezza dell'elfo.
    Si alzò all'improvviso e, nell'istante stesso in cui lo fece, il ricamo crollò in acqua con grande rumore di spruzzi.
    Velkan voltò le spalle al capolavoro distrutto, come faceva sempre.
    La vera opera d'arte l'aveva di fronte a sé, in carne ed ossa, e le stava sorridendo.

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  7. .
    Elianor da Mirarius

    « VOGLIO SVELARTI UN SEGRETO, UN GRANDE SEGRETO CHE TI AIUTERÀ AD AFFRONTARE LE PROVE QUANDO LA VITA VORRÀ SOTTOPORTI: DEVI ESSERE GENTILE E AVERE CORAGGIO! »


    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono


    Elianor non riusciva a capire se Winterstone le piacesse o meno. Una parte di lei trovava affascinante quel luogo e apprezzava, in qualche modo, l’aria fredda che le solletica il viso le piace… ma non riesce a capire cosa debbano fare lì, non riesce a comprendere come mai siano lì, ormai da qualche tempo, senza un motivo chiaro. Che poi il motivo probabilmente non è chiaro a lei, perché ovviamente lei è assolutamente certa che il maestro sappia perfettamente cosa stanno facendo e cosa ci fanno in quel luogo.
    Anche se deve ammettere che quel castello un po’ la inquieta, in qualche modo le pare più cupo, meno allegro e vitale di quanto sia quello dove vivono abitualmente. Non che la fortezza nella capitale sia esattamente la gioia e l’allegria… ma comunque più che in quel luogo, insomma.
    E poi le mancavano i suoi bambini, quelli che aiutava regolarmente nella capitale e che, da settimane, non avevano alcun tipo di aiuto da parte sua; certo, aveva chiesto ad una sorta di amica, a palazzo, di andare a portare quantomeno del cibo ogni tanto… ma sapeva perfettamente anche lei che non l’avrebbe fatto con la frequenza e l’amore con cui lo faceva lei.
    Anche se c’era qualcosa che le faceva piacere la lontananza dalla capitale: la notizia che aveva avuto subito prima di partire. Suo fratello, vivo. Elianor non poteva crederci, non riusciva davvero a capacitarsi del fatto che lo fosse e che non l’avesse mai cercata, che le avesse fatto credere di essere sola al mondo e senza nessuno… quando non era così. Come aveva potuto? Come aveva potuto darsi alla macchia senza farglielo sapere? Certo, per lei sarebbe stato un pericolo, ma il dubbio rimaneva… e poi perché non era entrato nelle accademie come tutti gli altri? Certo, non c’era la libertà, ma solo lì i maghi potevano essere al sicuro dai pericoli e non essere, a loro volta, un pericolo per tutti gli altri.
    E non ne ha ancora parlato con il suo maestro, non ne ha ancora avuto il tempo… o il coraggio più probabilmente. Chissà cosa penserebbe dopo tutto quello che ha fatto per lei se sapesse che rimpiange di non aver avuto la sua famiglia biologica (o quantomeno una parte di essa). Ma ora deve parlargliene, è necessario… e non riesce a nascondergli le cose, è una cosa che la fa soffrire terribilmente, che le fa sentire un opprimente senso di colpa all’altezza dello stomaco.
    Avvolta nel mantello verde ricoperto di pelliccia rientra e percorre all’inverso i corridoi attraverso cui ha raggiunto la terrazza per poi rientrare nelle stanze che hanno destinato a lei e al suo malestro dove, curiosamente, una parte di lei spera di trovarlo e un’altra di non trovarlo assolutamente.

    “Maestro? Sono Elianor…”

    Borbotta quindi, entrando, e guardandosi attorno annunciando il proprio arrivo… cosa che solitamente non serve minimamente ma che, probabilmente, farà chiedere a lui cos’è successo data la stranezza dell’azione.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Apparentemente il viaggio a Winterstone organizzato da Geraryn non ha secondi fini. Ciò che i sovrani di Virycas sanno e che lo stesso mago ha riferito alla sua apprendista Elianor è che l'intervento di un guaritore esperto è stato richiesto nella rocca di roccia e ghiaccio dagli stessi sovrani.
    Geraryn ha puntato Winterstone da quando, insinuatosi nella corrispondenza di Miach Cadash e lette le notizie che i corvi gli portavano, ha scoperto per caso il nome di Caranthir Ashr Rohellec Eretein-Godefroy. Non si tratta di un nome nuovo per i suoi occhi e per le sue orecchie, ma anzi descriveva con abbondanza di appellativi l'essereche aveva calcato le sale di marmo del palazzo reale di Virycas, aveva approfittato dell'ospitalità del re e del suo Primo Incantatore e poi era fuggito, sparendo nel nulla, con il favore dei disordini causati dall'invasione di Miach.
    Geraryn non era un tipo sentimentale, non esisteva sentire la mancanza di Ashr. Il vampiro aveva una mente interessante con cui intrattenersi, ma nulla di cui non poter fare a meno. Ciò che meno facilmente il guaritore perdona all'altro è l'essere scomparso portando con sé qualcosa che non apparteneva: un libro.
    E non un libro qualsiasi, ma un importante deposito di sapere magico, contestabile, bandibile, eppure comprensibile solo per un'intelligenza affilata come quella di Geraryn, un acume che non si lascia imbrigliare dai dettami della coscienza e dalla morale, ma che, senza scrupolo alcuno, è pronto a raggiungere gli obiettivi più ambiziosi.
    Si tratta del primo libro sul quale il mago studiò per tentare di scoprire come richiamare e catturare un demone, senza farsi tramutare in un abominio.
    Gli studi di Geraryn erano già molto avanzati all'epoca, e il furto commesso da Ashr ha provocato una fastidiosa battuta d'arresto. Ma non importa, gli ha fatto perdere tempo, ma il mago è comunque riuscito a ottenere il fine che ha avuto di mira.
    Sennonché resta il fatto che il gesto di Ashr si è reso autore di un gesto molto riprovevole, una puntura nell'orgoglio di Geraryn, una sfida alle sue capacità e alle sue potenzialità. Ashr, un essere senza alcun potere magico, non è degno di possedere quel libro, che deve ritornare nelle mani del guaritore.
    C'è un'ulteriore considerazione che ha mosso Geraryn. Non gli piace che il vampiro abbia nelle mani le prove dei suoi studi, dei suoi abominevoli esperimenti. Se Ashr avesse voluto danneggiarlo lo avrebbe probabilmente già fatto, mentre il dato per cui Geraryn ha vissuto dieci anni in piena tranquillità, illuminato dalla benevolenza di Miach, significa che nessuno ha fatto parola di demoni e magia del sangue. Eppure non è escluso che un giorno Ashr possa decidere di colpire, e Geraryn non vuole correre quel rischio. Per questo si è recato a Winterstone, per questo è imprescindibile recuperare quel tomo.
    Il mago ha già avuto un confronto con il vampiro, e Ashr glielo ha restituito dopo uno scambio di battute tra vecchi amici. Amici che potrebbero danneggiarsi sul serio se volessero, ma che nutrono, in fondo, una stima reciproca tale da rinunciarvi.
    Quello che invece Geraryn non ha potuto aspettarsi in un momento precedente si è realizzato davanti ai suoi occhi. Di tutti i luoghi in cui Lavellan sarebbe potuta andare dopo l'ultimo incontro con il guaritore, il fato ha voluto che lei scegliesse proprio Winterstone.
    Non si tratta di un caso per Geraryn, ma di un altro inconfondibile segno del fatto che lui e Lavellan sono legati e lo sarebbero stati sempre. Ma non è solo a Lavellan che il mago è interessato, bensì anche al prodotto dell'uovo che si è schiuso alla presenza di entrambi. Se l'elfa si trova a Winterstone, anche il drago deve essere lì.
    Il mago si trova nelle sue stanze, al momento, intento ad attendere un momento propizio per agire, quando sente una voce chiamare il suo nome.
    "Elianor. vieni pure" la invita, alzandosi dalla sedia accanto alla finestra.

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    Elianor da Mirarius

    « VOGLIO SVELARTI UN SEGRETO, UN GRANDE SEGRETO CHE TI AIUTERÀ AD AFFRONTARE LE PROVE QUANDO LA VITA VORRÀ SOTTOPORTI: DEVI ESSERE GENTILE E AVERE CORAGGIO! »


    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono

    Quale che fosse la sua effettiva speranza la risposta del fato è stata evidente: lui c’è. E questo vuole dire che deve parlargli, che è arrivato il momento di farlo… perché si sente veramente troppo in colpa per non farlo, perché non farlo la fa soffrire troppo. E perché teme che lui lo scopra e si arrabbi con lei che gliel’ha nascosto. Ma questo è un dettaglio no? Dopo tutto davvero non è molto che ha fatto quella scoperta. Deve solo capire come dirlo, come introdurre il discorso, cosa non esattamente facile.
    Leggermente titubante si alza dalla sedia raggiungendolo nell’area più illuminata della stanza. Si, si sta decisamente sforzando di non sembrare agitata, o in ansia, ma probabilmente la cosa le sta riuscendo malissimo. No, non perché in realtà sia un’attrice così pessima ma perché lui la conosce abbastanza bene da capire quando sta cercando di dire, o non dire, qualcosa.
    Arriccia il naso pensierosa togliendo il mantello e scotolandolo da qualcosa di inesistente per poi appoggiarlo su una sedia.

    “Hai trovato quello che cercavi qui?”

    Chiede, quasi distrattamente, sapendo che in realtà non ha la minima idea di quale sia il motivo di quel viaggio… e non è la prima volta da quando sono lì che cerca di scoprirlo. E per questo lui non le risponderà come al solito, ne è certa. Ma magari questo servirà a distrarlo da ciò che deve chiedergli, dal suo problema principale.

    “Comunque… mentre camminavo per il palazzo…” certo come no, credibilissimo. Dovrebbe prendere qualche lezione di recitazione da qualche attore di strada, probabilmente avrebbe risultati migliori. “mi chiedevo se c’è un metodo per trovare uno specifico mago fuorilegge.”

    Lascia uscire le ultime parole tutte ad un fiato, al punto che non è completamente certa che l’uomo le abbia comprese perfettamente mentre, al contrario, è perfettamente certa di essersi cacciata nei guai. Perché non può parlare come una persona normale? Senza dare chiari segni di panico ogni volta che teme di farlo arrabbiare? Con gli altri ci riesce, perfettamente. Non è giusto, non è per niente giusto che lei sia completamente incapace di mentire all’unica persona con cui a volte vorrebbe riuscirci, all’unica persona a cui vorrebbe omettere dettagli che potrebbero deluderlo. È una tragedia, è una maledetta tragedia e lui si arrabbierà, già lo sa. Perché penserà che lei abbia dubitato di lui, che lui abbia potuto nasconderle una cosa così importante come il fatto che uno dei suoi fratelli sia vivo.
    Che poi la verità è che ci ha pensato: l’ha fatto per poi sentirsi un verme. Del resto è un pensiero umano no? Il suo maestro sa tutto, come poteva non sapere quello? Ciò che ha capito pochi attimi dopo è che però non può averle mentito così, lui non le avrebbe mai nascosto una cosa così importante. Non l’avrebbe mai fatta soffrire nascondendole una cosa così importante e significativa. E poi come poteva saperlo? Lui mica era lì quando la sua famiglia è stata uccisa.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn alza lo sguardo mentre la sua assistente fa il suo ingresso. È bella, pallida come un'alba appena spuntata, e allo stesso modo è titubante. Il mago se ne accorge, coglie subito qualcosa nello sguardo sfuggente di Elianor, nelle sue mani rapide che trafficano col fermaglio del suo mantello, nel suo modo di temporeggiare, attendendo di posare l'indumento prima di dire qualcosa.
    La Elianor che Geraryn conosce è una ragazza spontanea, a volte frettolosa e impacciata, ma sincera, incapace di malizie o macchinazioni. È anche una ragazza generalmente serena, priva di angustie, ma la Elianor che si trova davanti sembra incerta, dubbiosa.
    Il guaritore comunque non le mette fretta. Prolunga la sua pausa, consentendo alla sua apprendista di entrare nella stanza ed esordire con i suoi tempi e i suoi modi.
    "Hai trovato quello che cercavi qui?" domanda distratta.
    Impercettibilmente, Geraryn si irrigidisce, ma non è nulla che possa essere colto a occhio nudo. Di fatto lui ha deciso di partire per Winterstone proprio per recuperare qualcosa: il volume di magia che stava cercando da quando Ashr glielo aveva sottratto. Tuttavia non ne ha fatto parola con Elianor.
    Lei ha fatto parte della sua ricerca e dei suoi studi, in particolare ha svolto un ruolo attivo. È l'unica che sa cosa Geraryn è stato capace di fare sul serio, anche se il mago le ha raccontato una versione distorta dei suoi scopi. Le ha fatto credere che, per quanto abominevole all'apparenza, quella ricerca è stata necessaria per acquisire un potere maggiore, un potere che sicuramente sarebbe stato posto al servizio degli altri.
    Nonostante Elianor conosca gran parte dei suoi segreti, Geraryn ha omesso di svelare il vero motivo del suo viaggio a Winterstone. La ragazza sa molto, ma non deve sapere tutto: è essenziale che gran parte del modo di pensare del mago le resti precluso, celato.
    Geraryn è certo di essere riuscito a ripristinare la sua influenza e il suo potere sull'apprendista, così si convince che quella è una frase casuale, che lei non sa niente.
    "Sì" risponde con artefatta noncuranza, confidando nel fatto che lei non chiederà altro.
    Dopotutto è distratta dal motivo del suo nervosismo, motivo che Geraryn attende di conoscere.
    "Mi chiedevo se c’è un metodo per trovare uno specifico mago fuorilegge" domanda finalmente la ragazza.
    Un mago fuorilegge?
    Geraryn solleva le sopracciglia, stupito. Poi incrocia le mani sul suo ventre e muove un passo verso Elianor.
    "Potrebbe esserci" osserva meditabondo, "modi per rintracciare la sua magia: i guardiani sono bravissimi in quello."
    È il loro lavoro, ma non hanno mai messo i bastoni tra le ruote del guaritore: dopotutto ha la fortuna di vivere e lavorare alla più grande corte di Aslya, il che gli consente una certa facoltà di movimento e libertà di azione.
    "Perché me lo chiedi?" chiede ancora, incuriosito.

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  8. .


    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    La corrispondenza era, teoricamente, riservata, ma quella di un sovrano non poteva esserlo mai del tutto. Men che meno quella di un imperatore.
    Le dita di Geraryn spiegarono il foglio, carta ruvida contro i polpastrelli. Gli occhi inquisitori del mago setacciarono lo scritto, riga dopo riga. Il pugno che lo aveva vergato era noto, il cognome ben riconoscibile: Chasind.
    Bevve ogni parola, relegandole nel catalogo mentale delle informazioni poco rilevanti, finché non giunse a un punto circa a metà del foglio e si fermò. Per sicurezza lesse l'ultima riga due volte, ma Geraryn non si era sbagliato neanche la prima occasione.
    Riconobbe un altro nome, colse una nuova informazione, questa ben più importante. Anzi, forse vitale. Ripiegò la carta e la riposizionò nella busta dove Miach avrebbe potuto leggerla, poi voltò le spalle allo scrittoio e guadagnò l'uscita a grandi passi.
    Caranthir Ashr Rohellec Eretein-Godefroy.
    Finalmente sapeva dove trovarlo.

    Aveva inventato una storia piuttosto convincente alle orecchie di tutti, dall'imperatore alla sua giovane allieva Elianor. Non si trattava comunque di un'invenzione totale, quanto piuttosto di una storia di copertura. Del resto Geraryn faceva proprio quello: mascherare le sue intenzioni con realtà costruite, senza mai creare un divario eccessivo tra i suoi desideri e le apparenze, in modo che nessuna costruzione avrebbe potuto peccare di credibilità.
    Il viaggio verso nord est non era stato eccessivamente lungo, o comunque l'impazienza di arrivare era riuscita a bruciare in fretta la distanza che separava Virycas da Winterstone in modo da dare l'impressione che il tragitto non fosse troppo esteso. Geraryn aveva indossato un pesante mantello foderato di pelliccia per meglio combattere il freddo delle antiche terre del nord; le nevi tutt'intorno erano intonse e decoravano il castello di roccia come avrebbe fatto la glassa con una torta. Ma agli occhi del mago un simile paesaggio non aveva nulla di incantevole; il Primo Incantatore di Virycas non si fermava a simili sottigliezze o insulse apparenze, ma mirava sempre alla sostanza.
    Al termine del viaggio venne ricevuto proprio nel grande edificio di pietra, con ampie torri che si sollevavano verso i cieli plumbei come dita scheletriche. Una malattia incomprensibile, una donna in punto di morte: erano questi i suoi biglietti da visita.
    I reali lo accolsero con tutti gli onori dovuti e Geraryn porse loro i suoi ossequi prima di dedicarsi alle cure della malata. Un decotto, delle parole arcane e dei gesti sospesi a mezz'aria, dopodiché la faccenda fu chiusa almeno per lui.
    La donna sarebbe guarita, lo facevano sempre. Ma non era ciò che gli interessava al momento.
    I reali gli avevano fatto sistemare una stanza che lo avrebbe ospitato per tutto il suo soggiorno a Winterstone; lì Geraryn aveva lasciato il suo bagaglio, ma non vi era rimasto chiuso dentro molto a lungo. Prese così ad aggirarsi per i corridoi del palazzo, che nulla avevano a che vedere con il gelo esterno grazie a un ingegnoso sistema di condutture di acqua calda che attraversavano i pavimenti. Alleggerito dall'abbondante pelliccia, il mago riusciva a muoversi meglio.
    Da quando era arrivato a Winterstone, non si era ancora imbattuto in Ashr. Ma doveva essere lì, il consigliere del re. Era sempre stato una creatura peculiare, dovette riconoscere Geraryn. Vicino ai potenti come le mosche cavalline si attaccavano allo sterco. Non era troppo stupito quindi della sua scoperta: non sapeva se, dopo Virycas, l'uomo avesse viaggiato, ma non era così imprevedibile che si fosse fermato alla corte di Winterstone. Arguto e sconsiderato insieme, da parte sua.
    Geraryn aveva impiegato davvero molti anni a scoprire dove si fosse nascondo, ma d'altra parte Ashr non poteva ragionevolmente credere che gli sarebbe sfuggito per sempre.
    Il mago aveva saputo dove si trovava la sala del consiglio, così si era diretto da quelle parti. Non aveva idea se qualcuno fosse impegnato lì dentro, non avrebbe disturbato. Ma se Ashr fosse stato lì, presto o tardi lo avrebbe incontrato.

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    Ashr Eretin- Godefroy
    « The line between what brings us pain and what sustains us is thinner than you’d imagine. »
    Vampiro Superiore – 795 anni
    Consigliere di Winterstone




    << E mi dica, buon uomo, come potrebbe la casata essere responsabile delle perdite delle vostre scorte di cibo? Vi viene offerta protezione certo ma quando la causa dell’incendio che ha distrutto tutto è dovuta alla mal gestione di un fuoco domestico non sta certo a noi dovervi un risarcimento. Avrete il necessario per sopravvivere all'inverno, nulla di più nulla di meno. >>
    Con quelle parole Ashr diede le spalle all'uomo che protestava su quanto ingiusta fosse la decisione, era una delle parti del suo compito che più odiava, il Re si occupava delle decisioni importanti mentre tutte queste piccole dispute locali venivano relegate al consigliere, certo significava che in lui veniva riposta fiducia ma questo non rendeva il compito più interessante. In ogni caso, nonostante l'uomo continuò a lamentarsi per lui la questione era chiusa.

    Restò nella stanza prendendo appunti delle decisioni della giornata su un libro dedicato per quello scopo, dedicandosi con impegno alla scrittura che trovava decisamente più interessante di tutto ciò che era successo in quella stanza. Il suo sguardo si alzo fugace a scrutare oltre la vetrata che si trovava di fronte a lui, fuori era una giornata nuvola e la luce che veniva proiettata nella stanza rendeva tutto più tetro.
    Il pensiero del vampiro vagò rapidamente, pensò a come avrebbe dedicato il resto della giornata e poi il suo pensiero andò alla giovane elfa che era sua ospite, si chiese nello specifico come stesse spendendo il proprio tempo, sicuramente stava facendo qualcosa di meno noioso di lui.


    Una volta che l’uomo se ne fu andato e le guardie che presenziavano si dispersero per tornare ai loro compiti e Ashr poté finalmente lasciare quella tetra stanza. Si diresse rapidamente verso le proprie stanze passando per un percorso che comprendesse passare di fronte alla stanza del consiglio e fu proprio pochi metri prima di raggiungere quest’ultima che il vampiro si fermò bruscamente.

    Una presenza, un odore, un ricordo. Questo allertò i sensi tanto sensibili del vampiro, la presenza di una persona che sperava non avrebbe mai più dovuto incontrare, non certo perché lo temesse, In quanto creatura immortale la paura non era mai stata parte della lunga lista di sentimenti che tormentavano il vampiro.
    Riprese a camminare, questa volta preparato all'incontro che stava per affrontare, incontro al quale si sarebbe approcciato a proprio modo. Scivolò silenzioso come un ombra lungo gli ultimi corridoi che lo separavano dal portone della sala del consiglio e molto presto la nota figura del mago fu ben riconoscibile.

    Ricordava il tempo passato assieme a Geraryn in Virycas, non erano mai stati grandi amici ma fino ad ora non avevano mai avuto motivo di scontrarsi, Ashr aveva ben inquadrato ciò di cui l'uomo fosse capace ma sopratutto aveva ben inquadrato i veri desideri dell'uomo, cosa che molte poche persone potevano dire. Ashr sapeva che ciò che il mago bramava sopra ogni cosa era il potere, lo stesso motivo che lo aveva portato a interessarsi al vampiro in primo luogo era il potere che i vampiri possedevano, la loro immortalità, Geraryn la bramava, ne era certo. e a confermare l'idea che si era fatto dell'uomo era stato il contenuto del libro che Ashr gli aveva sottratto.

    << Geraryn Alyon, ecco spiegato il tetro puzzo di magia scadente che è calato quest’oggi su Winterstone.>>
    Chiaramente il mago si girò verso il vampiro ma Ashr non diede lui il tempo di proferire parola, avevano molte armi i vampiri eppure quella che preferiva lui era la più semplice. Le sue stesse parole erano un arma e potevano essere incredibilmente pericolose.
    << Dubitavo ti avrei mai rivisto in vita, benvenuto a Winterstone. >> Esclamò quindi abozzando un inchino più ironico che rispettoso. Dopotutto i rapporti tra i due “uomini” non erano mai stati amichevoli, si poteva dire che il loro rapporto fosse stato un usarsi a vicenda .
    << Cosa ti porta fin qui? Stai cercando qualcosa? >> Concluse poi, già conoscendo la risposta, dopotutto sapeva bene quel che aveva sottratto al mago anni prima.

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn attese qualche minuto, impiegando oziosamente quel tempo in una vaga osservazione dei fregi e delle colonne che circondavano l'uscio della sala del consiglio. Non aveva fretta, non ne aveva mai avuta. Il mago sapeva che scandire con precisione i tempi era fondamentale per la buona riuscita di qualsiasi cosa. Poteva apprestare gli strumenti più vantaggiosi, avere tutte le carte in mano per ottenere quello che voleva, ma bastava un intervento intempestivo per rovinare ogni cosa.
    No, non avrebbe forzato i tempi, soprattutto non lo avrebbe fatto adesso che già dieci anni erano trascorsi dall'ultima volta che gli occhi acuti di Geraryn avevano incrociato quelli sfuggenti di Ashr. Minuto più, minuto meno, non sarebbe cambiato nulla.
    Si domandò cosa stesse facendo Elianor. Aveva deciso di portare con sé la sua apprendista in quel viaggio a Winterstone, rassicurando chi di dovere che sarebbero rientrati a Virycas in breve tempo. La sua assistente non era stata affatto scontenta di quel cambiamento d'aria. Non aveva conosciuto molti luoghi al di fuori della capitale dell'impero e dell'Accademia dei guaritori e Geraryn si aspettava che Winterstone le sarebbe piaciuta.
    La sua presenza non era strettamente necessaria in quel viaggio, che non era una gita turistica ma il semplice pretesto per il mago di incontrare una persona che non vedeva da molto tempo e con la quale aveva un conto in sospeso. Anzi, Elianor non sapeva neanche molto di quella faccenda, né Geraryn le aveva riferito di avere intenzione di parlare a quattr'occhi con Ashr.
    Perché portarla con sé, quindi? Perché la voleva vicina, specie in seguito agli ultimi accadimenti. Non si fidava molto a lasciarla sola per troppo tempo e, soprattutto, il guaritore si aspettava che quel viaggio sarebbe stato un'ulteriore occasione per cementare il loro legame, ove ce ne fosse stato bisogno.
    Qualche minuto prima le aveva detto che doveva sbrigare una questione, esortandola a fare un giro per le sale del palazzo. Lui sperava di parlare con Ashr e solo allora l'avrebbe cercata per raggiungerla.
    Diede un'altra lunga occhiata al corridoio, intercettando un paio di servette che si muovevano rapidamente, tenendo gli occhi bassi. Dopodiché la porta finalmente si aprì, rivelando una figura nota. Alto, con un portamento aristocratico e il volto cesellato, Ashr non era cambiato molto negli anni.
    Nel lasciare la sala si arrestò sulla soglia, evidentemente sorpreso di trovarsi qualcuno davanti. Lo studiò con lo sguardo, dai piedi al capo, riconoscendo senza ritardo il Primo Incantatore di Virycas.
    "Geraryn Alyon, ecco spiegato il tetro puzzo di magia scadente che è calato quest’oggi su Winterstone" disse irriverente.
    Geraryn abbassò lo sguardo, scosse la testa e rise sommessamente.
    "E' bello sentire un giudizio sulla magia proveniente da chi non ha poteri" rispose il guaritore con una certa affabilità.
    Sapeva bene quanto Ashr fosse interessato a quel settore, pur senza avere la possibilità di farne realmente parte, e non perse l'occasione di toccare quel nervo.
    "Dubitavo ti avrei mai rivisto in vita, benvenuto a Winterstone" disse ancora l'altro, senza grande calore.
    "E invece eccomi qui" commentò Geraryn fingendo di non notarlo, "Grazie."
    Ashr non era uno stupido, a dispetto dei suoi modi. Doveva sapere, o comunque immaginare con un grado di approssimazione prossimo alla certezza, che Geraryn non si trovava a Winterstone per una visita di piacere. Si informò quindi se fosse giunto fin lì perché cercava qualcosa. Il sottinteso in quella frase era chiaro.
    "Cercavo te" replicò il mago, congiungendo le dita. "Ti trovo in buona salute. L'aria di Winterstone ti fa bene."

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    Ashr Eretin- Godefroy
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    Vampiro Superiore – 795 anni
    Consigliere di Winterstone




    “ Un colpo basso” pensò tra se e sè il vampiro ma era sicuro che avrebbe potuto assestarne uno a sua volta.
    << Senza poteri forse ma benedetto da un dono che brami più di ogni altra cosa, l’eternità. >> Rispose Ashr alla provocazione del mago. Lui sicuramente ricordava quanto fosse affascinato Ashr dalla magia e in egual maniera Ashr era consapevole di quanto lui invidiasse il dono che lui possedeva, quello di vivere attraverso le ere, potenzialmente per sempre e non perse occasione di ricambiare la frecciatina che l’uomo gli aveva appena rivolto.


    Studiò con attenzione il mago ma laddove da qualunque altra persona si sarebbe aspettato un attacco sapeva che Geraryn non era altrettanto sconsiderato, per quanti poteri avesse accumulato attraverso gli anni scontrarsi con un vampiro superiore non è certo qualcosa in cui gettarsi a capofitto, inoltre Ashr conosceva quello che sarebbe stato il terreno di scontro come il palmo della propria mano. Sapeva che il mago non avrebbe rischiato sopratutto perchè anche nel remoto scenario in cui lui fosse riuscito a sconfiggerlo si sarebbe precluso l’opportunità di ottenere quello per cui davvero era venuto.

    << Il famoso primo guaritore della capitale ha fatto tutta questa strada per incontrare un umile consigliere? Ne sono onorato. >> Rispose con velato scherno il vampiro. Uno spettatore non a conoscenza dei loro trascorsi avrebbe benissimo potuto scambiare I loro discorsi per formalità comuni ma entrambi sapevano cosa le loro parole intendessero veramente.

    << Sai, il freddo aiuta a mantenersi giovani, dovresti provare, potrebbe far miracoli per quel tuo piccolo problema che, come lo chiamate voi? Ah si, Invecchiare. >>


    Lasciò quindi che il silenzio cadesse per qualche istante fra loro, trovandosi nuovamente a studiare il comportamento del mago, sicuramente rivoleva il suo libro, magari non gli serviva nemmeno più ma Ashr era certo che per principio lo avrebbe rivoluto comunque.

    << Dieci anni. Sono stati generosi con te Geraryn? Ricordo che avevi un sacco di progetti una volta. In ogni caso lo sono stati per me, come vedi ho scoperto la mia passione per la politica ma non mi sono certo limitato, ho smesso di vivere di eccessi e ho imparato a dedicarmi a passioni molto più rilassate come il piacere della lettura, ho avuto modo di esaminare ….. tomi molto, molto…… interessanti.>>

    Dieci anni prima Ashr prese il libro inconsapevole di quello che conteneva, senza sapere quanto fosse veramente importante per Geraryn e quali fossero I suoi piani ma ora aveva avuto un intera decade per studiare il libro e con esso I piani dello stregone si erano rivelati alla sua mente incredibilmente perspicace.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn non aveva amici, anzi disprezzava il termine, espressivo di un concetto ingenuo e infantile, decisamente anacronistico rispetto ai tempi. Gli amici erano qualcosa che poteva attenere ai primi anni di vita, quando un fanciullo aveva ancora la testa avvolta in illusioni e sciocchezze. Dopodiché, banalmente, si cresceva e si scopriva che coloro che un tempo erano stati chiamati in quel modo non erano altro che conoscenti, alleati, nemici, o più in generale strumenti. Se i bambini raccontavano tutto ciò che veniva loro in mente, da adulti si imparava che le confidenze gratuite erano un pericolo, perché lasciavano intuire all'interlocutore quale fossero i propri punti deboli. A quel punto era facile ritorcere quelle informazioni contro l'altro, rivoltargli contro i suoi stessi vizi, sapendo perfettamente come colpire dove faceva più male.
    Crescendo si imparava, quindi, che ogni parola doveva essere pesata, che ogni azione o frase doveva essere ponderata alla luce del proprio primario interesse, null'altro contava.
    In una visione del genere, Ashr era, paradossalmente, quanto di più vicino ci fosse a un amico per Geraryn. Perché, nonostante la chiara antipatia che mostravano di nutrire l'uno dei confronti dell'altro, palesata da frasi caustiche e accuse più o meno velate, Ashr era sulla Terra la persona che conosceva più segreti di Geraryn, e la cosa era reciproca.
    Il caso aveva voluto anche che Ashr si rivelasse un'estrema seccatura per il mago, portandogli via un libro fondamentale per la propria conoscenza. Il vampiro non era riuscito a sabotare i piani del Primo Incantatore, che era stato in grado di portare a termine gli incantesimi più turpi, scandalosi e ripugnanti, ma il vero problema era che Ashr era l'unico ad essere al corrente di ciò che aveva fatto Geraryn. Non era infatti uno sciocco, e non di certo una mente come la sua non aveva avuto difficoltà a risalire dal contenuto del libro al tenore degli incantesimi del mago. D'altra parte Geraryn confidava nel fatto che avrebbe tenuto per sé le sue conoscenze, perché il Primo Incantatore era al corrente di un segretuccio dello stesso Ashr. La salvezza, l'attuale esistenza di questi era possibile in quei termini perché nessuno, a Winterstone o altrove, era al corrente della sua vera natura, ma Geraryn sapeva che Ashr non era altri che un vampiro.
    I due uomini quindi si scrutavano come se ognuno avesse in mano una lama che poteva premere sulla gola dell'altro, ma quanto meno erano stati sinceri l'uno con l'altro.
    Nel loro botta e risposta, Ashr non fece mistero della lunga vita che la sua natura gli aveva dotato, né finse di non sapere che, se avesse potuto, Geraryn avrebbe fatto in modo di procurarsi un'esistenza simile.
    Il Primo Incantatore rise sommessamente mentre l'altro sbeffeggiava il suo invecchiare. Era consapevole di non essere lo stesso uomo di dieci anni prima, così come sapeva che in altri dieci anni si sarebbe incanutito ulteriormente, il suo volto si sarebbe scavato e il suo corpo raggrinzito. Non si impedì di fissare con avidità l'aspetto giovane di Ashr, così come non fingeva che l'altro avesse sbagliato nella sua diagnosi. L'eternità lo interessava, non tanto per la garanzia di una giovinezza di nuovo in fiore, bensì perché più tempo a disposizione significava la possibilità di svolgere più opere grandiose.
    "E' così che staresti meglio" commentò con tono cortese il mago, "ibernato."
    Tacque mentre il vampiro continuava a parlare, sciorinando una vanteria dietro l'altra.
    "Come vedi ho scoperto la mia passione per la politica ma non mi sono certo limitato, ho smesso di vivere di eccessi e ho imparato a dedicarmi a passioni molto più rilassate come il piacere della lettura, ho avuto modo di esaminare ….. tomi molto, molto…… interessanti" spiegò.
    "Dunque non hai perso la tua abitudine di importunare i sovrani" riassunse Geraryn. "Prima Vyricas, e ora Winterstone? Deduco che neanche qui sappiano del tuo piccolo problema con gli specchi."


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    Ashr Eretin- Godefroy
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    Vampiro Superiore – 795 anni
    Consigliere di Winterstone




    << Sento di dover essere sincero con te, vecchio amico. >> Commentò affabile Ashr, mostrando il più cordiale dei sorrisi che aveva in repertorio.

    << Sono tremendamente geloso della tua capacità di poter ammirare questa mia forma, ho conosciuto alcuni tra i più grandi artisti eppure tutti i più grandi stoici ritengono che un dipinto non renda mai giustizia.
    Per mia fortuna gli uomini del nord non condividono la stessa ossessione per le apparenze che dilaga nelle terre dell’estate. Esplora queste sale, conosci queste persone e ti renderai conto della gran poca quantità di specchi qui presenti, in un certo senso sembrava destino che ne facessi la mia casa. >>


    Le parole che il vampiro rivolse all’incantatore erano estremamente sincere, più volte aveva rimproverato a sé stesso di non essere mai stato a Winterstone prima d’ora, l’estrema rarità degli specchi rendeva quel posto una sorta di paradiso per i vampiri che non erano intenzionati a palesare la loro natura.
    Per tutto il tempo del loro scontro verbale Ashr non smise mai di studiare l’uomo che gli stava di fronte, per quanto odiasse ammetterlo rispettava Geraryn molto più di tanti altri umani, certo era un individuo subdolo con il quale avere a che fare ma estremamente deciso. Quando si prefissava un obiettivo smuoveva mari e monti ed alla fine, in un modo o nell’altro , otteneva quello che voleva. Da parte sua Ahsr onorava questo sentimento con un estrema sincerità, che non significava dire lui qualsiasi cosa ma bensì risparmiagli mere bugie, proprio come non aveva mai negato di aver sottratto a lui il tomo.

    << Hai finalmente incontrato una compagnia femminile! >> Esclamò di colpo sganciando a Geraryn il sui miglior sguardo incredulo.

    << Posso sentire il suo odore addosso a te. >> Spiegò successivamente, incredibile come lavoravano in sintonia i vari sensi di un vampiro, la sua memoria perfetta ricordava perfettamente l’odore del primo incantatore sin dal loro primo incontro in Vyricas e il suo olfatto estremamente acuto poteva distinguere precisamente quell’odore dagli altri che avevano lasciato una traccia sulle vesti dell’uomo, se non sull’uomo stesso.
    Rimase quindi in silenzio per qualche istante, lasciando che la sua mente elaborasse appieno quello che i suoi sensi percepivano prima di irrompere nuovamente nella discussione.
    << La hai portata con te! Il viaggio è stato lungo e non sarei stato in grado di percepirne l’odore altrimenti! >>
    Non intendeva far passare le sue parole per una minaccia, quanto più non era stato in grado di nascondere lo stupore, gli sembrava inverosimile che l’incantatore che aveva conosciuto tanti anni prima fosse arrivato al punto di legarsi a qualcuno, lui più di tutti doveva comprendere come alcuni segreti fossero più forti di una famiglia. Rimuginò a lungo su questo pensiero fino a che un idea lo attraversò come un lampo attraversa il cielo durante le tempeste. Nonostante entrambi odiassero ammetterlo erano più simili di quanto dessero a vedere e Geraryn stava facendo esattamente quello che Ashr stesso aveva fatto decine di volte. La stava usando.

    << Bando alle ciance, dici di essere venuto per me, quindi, come posso assisterti vecchio mio? >>
    Chiese infine il vampiro, rimarcando volutamente la parola “Vecchio”, dopotutto la relazione che legava i due non era altro che un continuo e bilaterale tentativo di superarsi a vicenda, un quasi morboso bisogno di sentirsi superiore all’avversario, un tipo di scontro che non poteva essere risolto da una nomale scazzottata.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Era curioso notare due uomini come quelli, fermi nel bel mezzo di un corridoio di un palazzo di pietra, intenti a scambiarsi pungenti frecciatine avvolte in un manto di velluto e buone maniere.
    Perché se c'era qualcosa della quale essere certi era che Ashr e Geraryn sapevano come comportarsi, a corte come nei contesti più altolocati, e sceglievano con cura la maschera da indossare di fronte ai potenti.
    Anche Ashr ne aveva, seppur forse non tante quante ne possedeva Geraryn. Eppure anche lui sentiva il bisogno di nascondersi, di mentire al mondo. Sceglieva una superficie di perfetta porcellana, con un'espressione selezionata stampata su di essa, e celava agli occhi del mondo la sua vera natura: quella di un vampiro avido con uno spiccato appetito per la violenza.
    Erano più simili di quanto entrambi avrebbero mai ammesso, Geraryn e Ashr. Entrambi ambiziosi, entrambi calcolatori. E, sebbene sotto gli occhi del resto del mondo esibissero entrambi delle maschere impeccabili, ognuno conosceva l'intima natura dell'altro.
    Il vampiro si rivolse al mago chiamandolo "vecchio amico" e, anche se l'intento non era certo quello di mostrarsi amabile, mai espressione fu più calzante.
    Ashr sapeva essere pungente e irriverente e, in fondo, Geraryn non poteva che dirsi divertito. Del resto l'avidità del vampiro non era che un involucro accartocciato intorno a una spiccata intelligenza, e questa il mago doveva riconoscergliela.
    Rimpianse di non potersi specchiare e invidiò all'uomo la capacità di ammirare il suo aspetto autentico, non la rappresentazione in un dipinto.
    "Esplora queste sale, conosci queste persone e ti renderai conto della gran poca quantità di specchi qui presenti, in un certo senso sembrava destino che ne facessi la mia casa" completò.
    "Uomo fortunato" rispose il mago con un sorriso sornione.
    Ma, ovviamente, intendeva altro. Era pronto a scommettere che quella di rifugiarsi a Winterstone fosse stata una scelta ponderata, e non il frutto del caso o della fortuna. Del resto Ashr sapeva bene come giocare le sue carte, ed era difficile che non perseguisse la soluzione che più riteneva vantaggiosa per lui.
    "Hai finalmente incontrato una compagnia femminile!" notò Ashr, cambiando argomento. "Posso sentire il suo odore addosso a te."
    "Ha viaggiato con me e si trova qui a Winterstone" confermò Geraryn, congiungendo le mani sulla veste lunga che indossava. "E' la mia assistente."
    Come ogni amico che si rispetti, Ashr si interessava all'altro e ai dettagli sul suo viaggio. Ma non erano lì per parlare di Elianor, affatto. Il vampiro gli chiese, con il suo fare untuoso, in cosa potesse essergli utile e il mago non rispose subito.
    Mosse qualche passo intorno a lui, mantenendo intatta quell'espressione imperscrutabile ma nello stesso tempo leggera, di un uomo distratto. Ignorò la domanda dell'altro, preferendo aggirare il punto.
    "In cosa ti diletti per passare il tempo qui a Winterstone? Ti piace leggere, se non ricordo male. Ma certi libri non sono per tutti" completò, allusivo.


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    Ashr Eretin- Godefroy
    « The line between what brings us pain and what sustains us is thinner than you’d imagine. »
    Vampiro Superiore – 795 anni
    Consigliere di Winterstone





    << Uomo fortunato! >> Furono le parole dell’mago, parole alle quali Ashr non seppre trattenersi da una genuine risata.
    << Sono molto di più che un semplice uomo Geraryn, lo sai bene. >> commentò in tono lusinghiero, infondo tanto era il suo ego che non gli creava alcun imbarazzo complimentarsi pubblicamente con sé stesso.

    Continuò ad osservare lo stregone mentre esso rispondeva alle provocazioni che Ashr gli aveva lanciato in merito della compagnia che si era portato a Winterstone, non smise di seguirlo con lo sguardo nemmeno quando egli prese a camminare in semicerchio cerchio, attorno al vampiro .

    << Non potrei essere più d’accordo di così! >> rispose soddisfatto alla provocazione finale dell’uomo, infondo non aspettava altro che la possibilità di stuzzicarlo li, su quel punto che lui stesso aveva introdotto nello stesso momento in cui lo aveva visto lungo i corridoi della città invernale.
    << Senza i costumi vistosi e esotici della capitale ci sono pochi modi per lasciar correre la mente, anche se devo ammettere che ho trovato un club del libro decisamente deludente. Alcune letture necessitano di una mente preparata, sai…… >> Lasciò che il silenzio lo interrompesse per un attimo mentre attentamente studiava le reazioni del suo “amico”.

    << Molte menti non sono abbastanza preparate a comprendere certe letture, figurati a capire quali portoni possano spalancare, quali conoscenze perdute possano riportare alla luce…. >> Prese nuovamente una pausa, raccogliendo il respiro. Era pronto a sferrare il suo affondo finale, a far capire allo stregone che aveva capito immediatamente a cosa gli sarebbe servito il libro, cosa che sicuramente lui aveva immaginato ma di cui non poteva essere sicuro, dopotutto nonostante quanto fosse cauto nei propri piani Geraryn aveva l’enorme difetti di credersi superiore a chiunque altro, il più scaltro in assoluto.

    << … quali immensi poteri possano donare. >> Ricambiò attentamente lo sguardo che l’uomo gli cacciò, infondo nonostante i suoi modi fossero vaghi Ashr sapeva esattamente cosa avesse spinto Geraryn a cercarlo, quello che non capiva era la tempistica, perché proprio ora dopo tanto tempo? Si era davvero nascosto cosi bene da fuggire tanto a lungo dai poteri del mago?

    << È il tipo di letture che piacciono a te, o ricordo male? Beh, mio caro amico, non ci crederai mai … Ma credo di avere una lettura che faccia esattamente al caso tuo. Un libro che trovai tempo fa alla capitale, c’eri anche tu no? Buffo che tu non lo avessi mai notato! >>

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    "Sono molto di più che un semplice uomo Geraryn, lo sai bene" puntualizzò Ashr.
    Quanto lo faceva ridere. Non tanto Ashr in sé, ma la consapevolezza del fatto che una creatura così fiera della sua natura dovesse nascondersi agli occhi dei più. Perché se con Geraryn poteva concedersi l'azzardo di riferirsi espressamente al suo essere un vampiro superiore, non poteva fare lo stesso con chiunque.
    Questo era un altro chiaro esempio del fatto che il termine amicizia non fosse poi così inadatto a descrivere la loro situazione. Geraryn conosceva Ashr molto più di chiunque altro e la cosa, dopotutto, poteva essere reciproca. Questo il mago glielo concedeva.
    Ad ogni modo, entrambi si nascondevano: il vampiro doveva celare la sua natura, Geraryn le sue intenzioni. Ma almeno, commentò tra sé e sé il Primo Incantatore di Virycas, poteva concedersi il lusso di non negare i propri poteri. I maghi potevano essere se stessi solo quando vivevano nelle accademie. Quelli che le lasciavano infrangendo la legge - eretici, li chiamava qualcuno - erano condannati a fingere di essere persone comuni, a inibire i loro poteri, se non volevano essere riacciuffati dai guardiani. Geraryn invece non nascondeva di essere un mago, e poteva farlo lontano da un'accademia, vicino all'imperatore. Non esisteva condizione migliore per un uomo come lui.
    "Non lo direi così ad alta voce, se fossi in te" replicò con sguardo sornione.
    Gli piaceva pensare di essere uno dei pochi a conoscere il segreto di Ashr, di avere il potere di rovinarlo. Ma lui sceglieva di non farlo, ed era lì che il suo potere aumentava. Bastava una parola all'orecchio della regina, ma non era il momento. Attualmente a Geraryn conveniva più essere complice di una confidenza che l'autore di una condanna. Far sapere ad Ashr che sul suo capo pendeva una spada di Damocle, sospesa tramite un filo sottile, la cui estremità si trovava tra le dita proprio del mago.
    L'allusione di Geraryn alla lettura non colse Ashr impreparato.
    "Molte menti non sono abbastanza preparate a comprendere certe letture, figurati a capire quali portoni possano spalancare, quali conoscenze perdute possano riportare alla luce quali immensi poteri possano donare" disse parlando di un improbabile club del libro.
    Lo sguardo di Ashr era attento, penetrante, come quello di un falco. Si aspettava una reazione da parte di Geraryn, esattamente come il mago prima aveva parlato solo per il gusto di provocarlo.
    "Ma credo di avere una lettura che faccia esattamente al caso tuo. Un libro che trovai tempo fa alla capitale, c’eri anche tu no? Buffo che tu non lo avessi mai notato!" aggiunse il vampiro con aria falsamente stupita.
    Di una cosa Geraryn era certo: anche se si esprimevano per allusioni, fingendo una conversazione normale, che non avrebbe turbato nessuno se mai fosse sopraggiunto ad ascoltarla, i due stavano parlando esattamente dello stesso libro.
    Il mago aveva cercato quel tomo a lungo e Ashr stava in qualche modo confermando di possederlo.
    "Trafugare un libro non è esattamente il modo migliore per ripagare l'ospitalità che ti è stata concessa" sindacò Geraryn. "Dovrò riportarlo a Virycas" spiegò con aria vagamente contrita.
    Come se fosse davvero dispiaciuto di togliere al vampiro un giocattolo che aveva tenuto con sé per dieci anni.

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    Ashr Eretin- Godefroy
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    Vampiro Superiore – 795 anni
    Consigliere di Winterstone




    << Questo ho sempre apprezzato di te.Non ti sei mai fermato adagiandoti sugli allori, ma ascolta il consiglio di qualcuno che solca questa terra da molto prima che tu venissi al mondo e che continuerà a farlo dopo che le tue ceneri, consacrate a qualche strana religione, torneranno ad essa. Certi poteri sono destinati a restare sopiti, in ciò che vai cercando non v’è gloria e nemmeno il potere che ti aspetti di trovarci. >> Commentò Ashr all’allusione dell’uomo sulla necessità di riportare il libro a Virycas abbandondando, per la prima volta da quando quell’interazione era iniziata , il tono sarcastico che aveva caratterizzato ogni sua frecciatina.

    << Vuoi il libro? Prendilo, in ogni caso non è di nessun’utilità per me e se davvero sei convinto che questa.... caccia, questo.... gioco sia pensato per te prosegui con la tua ricerca ma già ora è palese che tu sia divorato dalla tua brama di potere, Geraryn ...>> Continuò successivamente mantenendo il tono serio che improvvisamente il discorso aveva acquistato, abbandonando il falso senso di innocuità che il discorso aveva mantenuto tanto a lungo e arrivando al punto che un possibile ascoltatore terzo avrebbe iniziato a porsi alcune domande.

    Una volta tanto le parole di Ashr erano sincere, non tratteneva più alcun beneficio dal trattenere quel tomo per se e sinceramente non gli importava davvero di quello che Geraryn ne avrebbe fatto, così come non gli importavano le conseguenze che il mondo avrebbe potuto pagare, infondo una cosa il vampiro superiore la sapeva per certo, lui era immortale e sarebbe vissuto fin bel oltre i deliri di potere dell’incantatore, senza considerare che quest’ultimo lo incuriosiva.

    <<...non compiere un passo sensibilmente più lungo della gamba incantatore, potrebbe non esserci modo per tornare indietro da ciò che vuoi compiere e il risultato potrebbe essere ben diverso da quello che ti sei prospettato nella tua mente. >>

    Concluse infine il vampiro, incrociando lo sguardo con quello dell’uomo, in attesa di una sua risposta, era infatti sinceramente curioso di quando Geraryn fosse disposto a spingersi a fondo, di quanto fosse disposto a sacrificare in nome di un potere che non avrebbe potuto controllare.






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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn e Ashr si fronteggiavano, intessendo cortesi conversazioni, ma fissando l'uno sull'altro lo sguardo di chi crede che il proprio interlocutore sia inferiore a sé.
    Come due esseri dall'ego smisurato quali erano, ognuno credeva che l'altro avesse delle incredibili mancanze: per Ashr Geraryn era pur sempre un umano, anche se mago e, per quanto potesse vivere più a lungo della media, non era pressoché immortale come un vampiro. Per Geraryn una lunga vita non serviva a niente, se mancavano i poteri magici.
    Perciò eccoli là, ognuno di loro era, nello specchio degli occhi dell'altro, una creatura imperfetta. Certo, migliore degli altri appartenenti alla stessa razza, tale da destare l'attenzione di un essere ben più levigato e dotato come l'altro, eppure ancora imperfetta. Come una statua a cui mancavano le braccia, o una tela lacerata.
    Ashr non mancò di rimarcare una delle sue caratteristiche principali, che difettava a Geraryn: la sua longevità. Disse di calcare il mondo da molto prima che il mago nascesse, a volerlo implicitamente intendere come l'altro fosse poco più che un bambino a confronto, con la stessa ingenuità e la stessa inesperienza.
    Dall'alto della sua, di esperienza, Ashr sosteneva che il potere che Geraryn cercava doveva invece restare sopito. Che non c'era gloria nel cercarlo, e non era nemmeno una facoltà così significativa.
    In quel discorso, il mago colse qualcosa che, nonostante tutto, lo lasciò piacevolmente sorpreso: Ashr aveva capito di cosa trattava veramente quel libro, cosa che non era così scontata per qualcuno che non maneggiava la magia. Nonostante i rischi che quella consapevolezza comportava, Geraryn seppe ancora una volta di non aver sottovalutato le capacità del vampiro.
    "Vuoi il libro? Prendilo, in ogni caso non è di nessun’utilità per me" disse Ashr.
    "Certo che non è di nessuna utilità" commentò placidamente Geraryn, le mani giunte sulla sua veste.
    Il vampiro poteva capire, ma non poteva mettere in pratica: quel libro non gli occorreva.
    Le altre parole di Ashr furono un modo per mettere in guardia il mago. Per poco Geraryn non scoppiò a ridere.
    "Mi fa piacere che ti preoccupi per me, dopotutto" sostenne il guaritore, e non c'era menzogna in quello.
    Ciò che solleticava il suo lato più ilare era il fatto che Ashr credeva che, portando via il libro di Ger, questi non avrebbe più potuto mettere in pratica quella magia del sangue. Eppure anche senza quel volume il guaritore era riuscito ad attirare un demone e a imbrigliarne il potere. Il passo più lungo della gamba di cui parlava Ashr Geraryn lo aveva già fatto: aveva già intrapreso quella strada senza ritorno.
    "Allora rendimi il libro. Prometto di insegnarti qualche trucchetto, se vorrai" completò sornione.

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  9. .
    Elianor da Mirarius

    « VOGLIO SVELARTI UN SEGRETO, UN GRANDE SEGRETO CHE TI AIUTERÀ AD AFFRONTARE LE PROVE QUANDO LA VITA VORRÀ SOTTOPORTI: DEVI ESSERE GENTILE E AVERE CORAGGIO! »


    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono

    Un sopracciglio, quasi improvvisamente, si muove sul viso della ragazza. E’ perplessa, molto perplessa ad essere onesta. Cosa sta succedendo? Sono alcune settimane, ormai, che, ogni giorno, quasi sempre alla stessa ora, ovvero poco prima del calare del sole, quando lei è abitualmente fuori dalla stanza, trova un dolce sul tavolo. Dolce diverso, ogni giorno, un pasticcino, una piccola torta, una fetta in alcuni casi, dei confetti. Non solo dolci, in realtà, occasionalmente, accanto, trova anche dei fiori.
    No, non li ha mangiati all’inizio, li ha analizzati, ha cercato di capire se qualcuno, per qualche astruso motivo, avesse deciso di avvelenarla ma… niente. Non ha mai trovato niente al punto che, alla fine, ha iniziato a mangiarli. E sono buoni, buonissimi, tutte le volte, lo deve ammettere.
    Tre rose, dove le avrà prese? Chiunque sia che glieli manda poi. No, Elianor non riesce proprio a spiegarsi chi sia che le invia, tutti i giorni, quelle cose.
    Quel giorno, sul tavolo, accanto alle rose fanno bella mostra di sé, sempre tre, pasticcini… dall’aria deliziosa. Chissà dove li ha presi chiunque sia…
    ne prende uno e sta per portarselo alle labbra quando, finalmente, capisce. Tre, sono tre settimane che quella storia va avanti. Lentamente, pensierosa, riappoggia il dolce mentre, dubbiosa, cerca di comprendere.
    Chi può essere? E’ innegabile, a volte, quella storia, le dà quasi i brividi: chi può avere accesso alle sue stanze e, nel contempo, alla cucina, suppone. Qualche servitore? Qualcuno che ha amicizie in cucina? Insomma… chiunque.
    E’ curiosa, in realtà, molto curiosa. Insomma, come può davvero interessare a qualcuno? Non che sia cieca, si rende conto di essere esteticamente gradevole ma, obiettivamente, chi potrebbe volerla? E’ solo l’apprendista del primo incantatore, figlia di semplici tessitori e, in più, tende, per carattere, ad essere discreta, non si mette in mostra, è abituata a restare dove deve essere e a fare ciò che deve, fine, perché questo dovrebbe attrarre?
    E poi, da sempre, il suo maestro è chiaro a riguardo: non deve fidarsi degli altri, non deve affidare il proprio cuore a qualcuno perché, ovviamente, chiunque sarebbe solo interessato ad approfittarsi di lei. Chiunque escluso Geraryn, inutile dirlo. Il primo incantatore del resto è una persona così buona, così corretta, che la fiducia in lui non può che essere ben riposta, che ciò che lui le dice non sia altro che la verità più genuina.
    No, non dovrebbe avere certi segreti con colui che le ha insegnato tutto ma, per qualche motivo, quel piccolo e innocente regalo quotidiano le fa piacere, la fa sorridere… cosa può esserci di male? E’ solo qualche dolce, per di più anonimo, niente di rischioso no? E, se anche il misterioso corteggiatore, sempre che così si possa definire, si facesse avanti cosa potrebbe fare di male? Lei non accetterebbe, ovviamente, nemmeno a dirlo, ma non c’è nulla di male.
    Il volto della ragazza è sempre più crucciato. Cosa deve fare? Dirlo o non dirlo? Non riesce a decidersi ma, in qualche modo, il destino decise di decidere per lei. Non l’aveva notato, non aveva sentito la porta aprirsi né nulla. Com’era possibile? A volte, in certi istanti, Elianor si rendeva conto di quanto fosse potente l’uomo di cui era apprendista.
    Non sa cosa, esattamente, le abbia fatto comprendere l’arrivo dell’uomo, forse un colpo di tosse, forse un movimento leggermente rumoroso.
    Di scatto, con il cuore a mille nel petto si volta di scatto trovandolo, in effetti, a pochi metri da lei.
    Devi calmarti o se ne accorgerà, devi calmarti, non stavi facendo niente di male, non lo stai deludendo. No, non serviva a molto ripetersi parole d’incoraggiamento, non, soprattutto, se non si decideva ad aprire la bocca e parlare, se non fingeva che fosse tutto normale dandogli degli ottimi motivi per pensare a qualcosa che non andava.

    S… sono in ritardo Maestro? S… stavo per arrivare… mi dispiace…

    No, ecco, il balbettio, che purtroppo occasionalmente le provocava l’agitazione, non era in nessun modo la cosa giusta da fare in quel momento. Magari penserà che balbetti perché ti senti in colpa per avergli fatto perdere tempo… Del resto la speranza è l’ultima a morire no?
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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    L'aria dicembrina è frizzante, Geraryn lo avverte sulla pelle, sotto la pelle. Quando scruta l'orizzonte, attraverso le finestre a sesto acuto del palazzo, si chiede quali nuove si stiano addensando all'orizzonte. Ne sente l'elettricità nell'atmosfera, che è un po' simile a quella che precede i temporali, con l'aria pesante e quel senso di inquietudine, anche se in cielo non c'è nemmeno una nube.
    Al contrario, la vista fuori dalla ristretta cornice di pietra è facilitata da un cielo cristallino, terso, privo di qualsiasi sbavatura.
    La maggior parte del suo tempo Geraryn lo trascorre al palazzo imperiale. C'è sempre tanto da fare, tanto di cui discutere.
    I suoi studi proseguono, sempre più concreti, tra un esperimento e l'altro. E di tanto in tanto trova persino il tempo per guarire qualcuno. Una delle dame più vicine a lady Jolene ha avuto dei forti dolori addominali, che Geraryn ha risolto con qualche infuso e un impacco. Stupida, fragile creatura. Ma la sua Jolene è felice di ciò ed è quanto basta.
    Lei e sua sorella sono gli unici collegamenti rimasti con la vecchia stirpe di Virycas, quella che ha accolto il mago a corte una volta richiamatolo dall'Accademia. Geraryn era fedele ai vecchi sovrani come lo è attualmente al nuovo, ma quel che conta è che ha mantenuto il suo posto di allora e, ancor di più, che intende consolidare la sua posizione quando Jolene sposerà Miach.
    Hanno aspettato anche troppo per stipulare quel patto matrimoniale, riflette Geraryn, che di strategie politiche ne ha viste ormai tante. Ma la decisione è presa, anche se la primogenita del vecchio re non ne sembra particolarmente felice. Una Jolene spaventata è esattamente ciò che fa al caso del Primo Incantatore.
    Le parlerà, ha deciso. Manca ormai una manciata di giorni alle nozze imperiali, il tempo stringe e lui non può perderne altro. Le darà i sussurri di conforto che la futura imperatrice si aspetta. Sussurri che scenderanno come gocce sempre più dense, fin nell'intimo della sua coscienza e, forse un giorno, daranno i loro frutti.
    Ma prima di dedicarsi alla futura imperatrice, Geraryn entra nella stanza di Elianor. Ha accesso ovunque nel palazzo, non nelle camere più intime degli abitanti, certo, ma quello è un ambiente da giorno che frequenta senza problemi.
    La porta ruota sui cardini senza un cigolio e la sua apprendista si volta con un attimo di ritardo, ma sicuramente prima del tempo che chiunque altro in genere impiega per avvedersi della sua presenza.
    Si muove con uno scatto, pallida e con il petto che si alza e si abbassa forsennatamente tra le stringhe del vestito che indossa.
    "S… sono in ritardo Maestro? S… stavo per arrivare… mi dispiace…" balbetta imbarazzata.
    Il mago avanza imperturbabile verso di lei, osservandola con uno sguardo che al massimo esprime una cauta curiosità.
    "Non ancora" replica, inclinando appena il capo di lato e congiungendo le mani sulla sua lunga veste.
    Lo sguardo gli cade sul tavolo, dove giacciono un piatto con un pezzo di dolce e tre rose. Tende le lunghe dita, afferrandone una per lo stelo.
    "E queste? Da dove arrivano?"

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    Elianor da Mirarius

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    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono



    “Queste…. Arrivano… da sole.”


    Certo Elianor, bravissima, arrivano volando per il castello, come no, ci cederà certamente.
    Abbassò lo sguardo cercando di non guardarla, sforzandosi di stare zitta e di non chiedergli di non rovinarle, perchè, alla fine, indipendentemente da chi fosse il mittente, da quale fosse il suo scopo, quei fiori le piacevano, e, sebbene non l’avrebbe mai ammesso, forse nemmeno a sé stessa, le piacevano anche quelle attenzioni.
    No, decisamente non sarebbe bastata quella spiegazione, doveva dire qualcosa in più ma, in qualche modo, non voleva, non intendeva vederlo arrabbiato, non desiderava che si irritasse con lei o, peggio, che decidesse di rimandarla indietro all’accademia, privandola della libertà che aveva lì, impedendole di stare con lui e di aiutarlo, impedendole, tra l’altro, di aiutare il prossimo, di utilizzare i propri poteri al servizio degli altri, per il bene dei meno fortunati. Forse cambiare discorso poteva aiutare… sempre ammesso che il maestro non decidesse di impuntarsi su quell’argomento perché lei, alla fine, lo sapeva bene: se avesse voluto non ci sarebbe stato niente da fare, ne avrebbe dovuto parlare. Però intanto poteva provarci.

    “Oggi sono andata a fare l’ultimo controllo al vestito della futura imperatrice, è venuto bene… molto meglio del primo, anche la stoffa è migliore e, ovviamente, questa volta all’abito non succederà nulla. Temo che le sarte mi odino però, mi guardano male tutte le volte che entro o esco ma… ho fatto la cosa giusta vero? Non ve l’ho mai chiesto ma non potevo lasciare che arrivasse al matrimonio con un abito non adeguato, se si fosse rotto durante la cerimonia non me lo sarei mai perdonata….”

    Non ne aveva mai parlato con lui, non davvero, non seriamente: gliel’aveva detto, certo. Quando quel ruolo le era stato dato, considerato che le avrebbe portato via del tempo, gliel’aveva subito comunicato ma, in effetti, non sapeva quale fosse l’opinione del suo maestro a riguardo e, considerato quanto importanza avesse per lei la sua stima, le serviva saperlo, per non rischiare più di fare errori del genere se lui avesse avuto problemi a riguardo. Il dubbio della ragazza, in realtà, era semplice: lui non avrebbe mai potuto dirle di non farlo, non dopo una richiesta così diretta ma, ora che il lavoro era finito, sarebbe stato libero di esprimere la sua opinione, quantomeno in privato… sperando che non fosse troppo arrabbiato. Dopo tutto era stata attenta, non aveva mai fatto nulla nelle ore in cui solitamente era con lui, nulla che potesse innervosirlo o che potesse distogliere lei dalle sua attività abituali. E, magari, con un po’ di fortuna, si sarebbe distratto dall’argomento rose.. e dolci. Perché quei pasticcini, sulla scrivania, lei voleva mangiarli… sembravano così buoni…. Ecco, questo, in effetti, doveva ammetterlo: essere diventata una maga, avere la possibilità di avere più cibo, di non dover razionare tutto l’aveva resa, quel tantino, golosa. Quel tantino tanto, in effetti ma, alla fine, non ci vedeva nulla di male. Però voleva quel dolce, lo voleva proprio… perché era dovuto entrare proprio in quel momento. Due minuti, due minuti e, quantomeno i dolci, sarebbero spariti. Certo, non era essenziale che il maestro sapesse che le altre rose, quelle che erano arrivate in precedenza, erano state seccate e messe in un libro… no?


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    La conoscenza delle piante è fondamentale per un mago che vuole padroneggiare la magia curativa: foglie, radici, fiori, sono spesso importantissimi per la realizzazione di rimedi e decotti.
    Nel caso di Geraryn, poi, la cultura dell'uomo e i numerosi anni impiegati per destreggiarsi in quelle arti hanno fatto sì che lui conoscesse anche i significati simbolici delle piante. Si tratta di una conoscenza meno concreta, giacché nulla aggiunge alle nozioni necessarie per preparare un infuso, ma nel tempo l'uomo ha ascoltato tante canzoni, ballate, filastrocche popolari e poemi, opere più o meno pregiate che in modo diretto o indiretto descrivono fiori e arbusti e finiscono per attribuirgli un significato, intimamente connesso con le tradizioni di Aslya.
    Ma non occorre essere un esperto per intuire il significato dei fiori che ora decorano il tavolo di Elianor.
    Il mago avanza di un altro passo e assottiglia appena lo sguardo, indirizzando le pupille sulle corolle vermiglie di quelle rose. Il lieve sorriso non è ancora definitivamente sparito dalle sue labbra, ma ora è più una foggia di circostanza che la conseguenza di un'espressione genuinamente felice.
    Geraryn deve fare uno sforzo per non modificare ulteriormente l'espressione di fronte alla risposta di Elianor.
    "Queste…. Arrivano… da sole."
    E' palesemente la pietosa bugia di una fanciulla incapace di mentire. E se da una parte una risposta del genere potrebbe indisporre chiunque, dall'altra l'ingenuità e la purezza della sua assistente sono le caratteristiche di lei che il maestro predilige.
    "Arrivano da sole" ripete quindi il mago con pazienza. "Ma davvero."
    E' ovvio che non abbia creduto a quella spiegazione, né Elianor può ragionevolmente pensare che si sarebbe accontentato di quella menzogna, così non le risparmia una punta di sarcasmo.
    La sua apprendista abbassa lo sguardo e Geraryn legge altri segni di incertezza sul suo volto: sta in piedi, lì di fronte a lui, come se sperasse che il pavimento potesse aprirsi da un momento all'altro per inghiottirla e nasconderla al suo sguardo. Sembra quasi una bambina che sa di essere stata scoperta a fare qualcosa di sbagliato.
    Geraryn osserva ogni piccolo segnale trasmesso dal linguaggio del corpo della rossa. La conosce da molto tempo, tanto da arrischiarsi a tentare di indovinare i suoi pensieri. E' un'operazione piuttosto facile e priva di rischi, dato che Elianor è limpida come l'acqua, un libro aperto sul quale leggere ogni riflessione o emozione.
    Sono proprio quei piccoli segnali a catturare l'attenzione del mago più dei fiori in sé. Ogni oggetto - anche se proveniente da un profumato giardino come quelle tre rose - conta non tanto per ciò che è, ma per il significato che gli viene attribuito. E se Elianor arrossisce e balbetta quando Geraryn le chiede cosa sono quei fiori, significa evidentemente che per lei sono importanti. Il mago quindi non può impedirselo: deve andare a fondo a quella questione e capire cosa attraversa precisamente la mente della rossa.
    Così, anche se lei tenta di cambiare discorso e inizia a parlare dell'abito nuziale della futura imperatrice, il pensiero di Geraryn resta ancorato a quelle rose. Naturalmente era stato informato di quanto Elianor stesse aiutando Jolene, e non ne era rimasto contrariato. Al contrario aveva incoraggiato la cosa: la ragazza non sottraeva tempo ai suoi studi e ai suoi esercizi, e se si fosse avvicinata alla futura imperatrice sarebbe stato solo un bene. Ma al momento non è quella la questione più pressante.
    "Chi ti ha mandato queste rose, Elianor?" le domanda quindi.
    Non ha alzato la voce, che anzi è rimasta pacata come al solito. Il suo tono ha acquistato solo una piccola inflessione nuova, sufficiente da farle comprendere che quella volta non ammette altro che la verità.

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    Elianor da Mirarius

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    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono


    Non ci aveva creduto, non ci aveva creduto proprio per niente… e non aveva nemmeno, ma proprio nemmeno vagamente, accettato anche solo di cambiare vagamente argomento, anche solo per un istante, anche solo per permetterle di divagare per un attimo da quel discorso che aveva paura di affrontare, che non sapeva come affrontare, che non voleva affrontare. Abbassa lo sguardo, lo fa anche di più. Cosa poteva dirgli? Come poteva affrontare l’ironia, innegabile, presente nella voce del maestro? Come poteva rispondere ad un tono che, lo sentiva bene, non ammetteva né repliche ne tentennamenti: voleva una risposta e, possibilmente, la voleva in tempi brevi. Conosceva quel tono, lo conosceva bene… ma non l’aveva mai usato con lei. Lei non gli aveva mai dato motivo di farlo, di alzare la voce, lei aveva sempre fatto tutto subito, appena le veniva chiesto, non gli aveva mai nascosto niente, non aveva mai contravvenuto ad un suo ordine… perché di quello si trattava: quante volte le aveva detto che gli uomini erano qualcosa da cui doveva stare ben lontana? Che non doveva fidarsi, non davvero, di nessuno che non fosse lui? Perché tutti le volevano male, tutti avrebbero voluto qualcosa da lei. Non lui. Solo il suo maestro teneva a lei in modo disinteressato, la addestrava solo per aiutarlo a fare il bene e non per averne dei vantaggi.
    A….A…. A…. arrivano davvero da sole
    Le parole lasciano, tutte attaccate, le sue labbra mentre, quasi impercettibilmente, il labbro inizia a tremare. Fissa i propri piedi in silenzio mentre, per quanto lei ancora non possa accorgersene, gli occhi iniziano a diventare lucidi mentre si appresta a raccontagli la verità.
    Io… io… le trovo qui tutti i giorni. Cioè no, cioè si… non riesce a comporre le frasi, non del tutto, non sa cosa dirgli, non sa quanto dirgli ma, ben presto, si rende conto che una verità parziale lo farebbe arrabbiare ancora di più. Non arrivano sempre le rose… quelle arrivano solo una volta a settimana. I dolci arrivano sempre…. sta mormorando, sussurra appena mentre parla, mentre ammette che, da tempo, gli sta nascondendo un piccolo dettaglio della propria vita. Ma davvero non so chi è… lo giuro…. Immagino sia qualcuno della servitù perché può arrivare qui….. il tono è basso, sempre più basso, quasi che ogni parola le costi uno sforzo immagine, che sia una sofferenza per lei.
    Passano alcuni istanti in cui rimane completamente in silenzio, immobile, solo le lacrime iniziano a muoversi sul viso della ragazza che, quasi d’improvviso, crolla sul pavimento in ginocchio nascondendosi il viso tra le mani e iniziando a singhiozzare senza riuscire a fermarsi.
    Mi dispiace… mi dispiace tanto… Il tono di voce ora è più alto, un po’ più udibile ma, in effetti, non cambia minimamente quello che è lo stato di Eleanor. Non riesce a perdonarsi, non ora che è stata scoperta, non riesce a perdonarsi la leggerezza compiuta, il minuscolo tradimento contro colui che l’ha cresciuta. Lo so che non avrei dovuto… che non mi devo fidare di nessuno ma… ma… cerca di calmarsi, di asciugarsi le lacrime, ma, i risultati, lasciano parecchio a desiderare. Lo so che non devo fidarmi ma… ma non era niente di male… ho controllato che non ci fosse veleno o simili dentro prima di mangiarli…. No, non le è molto d’aiuto ciò che sta dicendo, sotto sotto lo sa, sa di star ammettendo molta più premeditazione di quanto vorrebbe ammettere, sta ammettendo di averci pensato, di averci ragionato ma, se non altro. Era… Era bello avere qualcuno che pensasse a me… ammette, ora tornando a mormorare con tono di voce sin troppo passo riuscendo, finalmente, a contenere almeno parzialmente le lacrime per riuscire a guardarlo in faccia.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Ricorda quando Elianor era poco più che una bambina al suo cospetto. Una fanciulla pallida, che poteva essere scambiata per un fantasma se non fosse stato per la macchia rosso acceso dei capelli, che all’Accademia pendeva dalle sue labbra, ricercava i suoi insegnamenti.
    Geraryn è sempre stato una guida per lei e si è prestato volentieri a quella funzione, istruendola e trasmettendole le sue conoscenze. Ma non è stato solo su un piano accademico che il mago l’ha seguita passo passo: ha fatto molto di più. Elianor era rimasta sola, privata della sua famiglia, e Geraryn ha preso il posto di sua madre, di suo padre, di suo fratello, del suo migliore amico, del suo confidente.
    Si era presentato a lei come l’unica figura sulla quale la giovane maga potesse contare, si era insinuato nei suoi bisogni, totalizzando i suoi affetti.
    Era così che doveva andare, secondo i suoi piani. Geraryn vuole rendersi necessario, vuole che chi si affida a lui non possa più farne a meno. Le sue azioni sono spesso dirette a quello scopo, ma mai prima di Elianor ogni parola del maestro, ogni gesto, persino ogni sguardo è stato totalmente ed esclusivamente diretto a cementare, giorno per giorno, il legame che lo unisce alla sua pupilla. Con Elianor, si è detto, non avrebbe commesso gli errori che, suo malgrado, ha commesso con Lavellan.
    Elianor doveva essere creta nelle sue mani affinché Geraryn potesse plasmarla come meglio riteneva, nel tentativo di raggiungere con lei un grado di perfezione maggiore di quello che ha sfiorato con la sua vecchia allieva dal sangue d’elfo. Proprio per questo l’ha scelta quando era ancora una ragazzina, e proprio per questo qualsiasi sua influenza tende a non voler ammettere concorrenti.
    Fin da quando era una fanciulla acerba, si è premurato di far sapere a Elianor che può contare sempre su di lui e sul suo affetto. L’affetto degli altri non è contemplato.
    Geraryn è certo di essere stato chiaro sul punto. Perché allora la sua pupilla accetta ingenuamente regali altrui? Non comprende cosa possono significare delle rose appoggiate sul suo tavolo?
    Affronteranno anche quel discorso, ma non subito. Per il momento il mago vuole capire se la giovane ha almeno una vaga idea di chi sia l’autore di quei regali. Se ne occuperà personalmente? Forse, solo se sarà necessario. Ma non è da escludersi a priori.
    Nonostante le labbra di Geraryn non si siano ancora schiuse per lasciar passare un rimprovero, Elianor abbassa gli occhi verso il pavimento, probabilmente già consapevole di aver commesso qualcosa di inopportuno. Ha colto una nota di biasimo, se non nel tono del maestro, quanto meno nel suo sguardo.
    Spiega che i fiori arrivano davvero da soli, nel senso che lei li ha sempre trovati nelle sue stanza, a volte accompagnati da alcuni dolci, senza aver mai incontrato il mittente.
    ”Tutti i giorni?” chiede il mago, accarezzandosi pensosamente il mento. Forse quell’ammiratore è più insistente di quello che avrebbe potuto immaginare.
    Geraryn non ha mai avuto bisogno di rimproverare Elianor, ma non può permettere che qualcun altro carpisca la sua fiducia. Tuttavia non deve forzare troppo la mano, perché la fanciulla è già piegata dal solo peso del suo sguardo, che pure non è così duro come a volte accade quando il mago osserva con cipiglio altri allievi o servitori.
    Quando si accorge che la ragazza sta vacillando e si sta, lentamente, accasciando su se stessa, Geraryn decide in fretta la strategia da adottare in quel caso. Lei sa già di aver commesso un errore, perciò, nell’alternanza tra il bastone e la carota, opta per quest’ultima.
    La lascia singhiozzare per qualche istante, col viso sepolto tra le mani, mentre lui osserva con vago interesse un punto generico fuori dalla finestra. Poi, scioglie le dita che ha intrecciato dietro la schiena e si accoscia accanto a lei, tendendo le mani verso le sue braccia raccolte.
    ”Mia cara Elianor” dice con il tono più morbido che riesce a trovare, ”tu hai già qualcuno che pensi a te.”
    Le scosta le mani dal volto per asciugare le lacrime sulle sue guance con un gesto che sa di tenerezza.


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    Elianor da Mirarius

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    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono


    i…i… i dolci tutti… tutti i giorni…. Le rose no…
    E’ un balbettio, a voce molto più che bassa e decisamente disperato quello che esce dalle labbra della ragazza che, senza alcun risultato, sta cercando di non piangere, o, quantomeno, di piangere meno di ciò che sta facendo. L’ha deluso, sa di averlo deluso, e lei non vuole, lei non può permettersi di deluderlo. E se lui decidesse di abbandonarla? Di farla tornare all’accademia lasciandola, però, questa volta davvero sola? Senza il suo appoggio, senza niente di lui a cui aggrapparsi, anche solo le lettere che le mandava nei primi tempi? No, non potrebbe vivere senza di lui, non può nemmeno pensare di andare avanti senza la sua guida, senza l’unico punto fermo della sua vita. Elianor non sa dire esattamente come sia successo, quando Geraryn sia diventato così importante per lei, quando sia diventato, di fatto, l’unica persona importante per lei. Perché si, per quanto possa essere, da certi punti di vista, triste, lui è davvero l’unica persona nella sua vita, ed è così da sempre, anche in accademia la ragazza è sempre stata una solitaria, non certo l’anima della festa, ora poi che è lontana, che non ha a che fare con altri maghi, i suoi unici contatti sono con coloro che aiuta, con i suoi pazienti e con il popolo. E lui, il suo maestro.
    Per questo deluderlo la distrugge, la annienta letteralmente, perché la sua delusione, perché uno sguardo sbagliato da parte del maestro, perché anche solo il pensiero che lui non sia contento di lei agisce così tanto su di lei, perché le fa questo effetto.
    Non l’ha sentito, troppo presa da sé stessa e dal tentativo di riprendere il controllo non si è resa conto di come, quanto, lui si sia avvicinato, se ne rende conto solo quando sente le mani di lui sul volto e, istintivamente, alza gli occhi pieni di lacrime cercando quelli di lui; vuole capire, per quanto possibile, se è ancora deluso da lei o se, per qualche motivo che a lei sfugge, è riuscito a perdonarla per essersi «fidata» di qualcun altro, per avergli nascosto qualcosa quando non avrebbe mai dovuto.
    Le parole dell’uomo poi, anche se, ne è convinta, siano state pronunciate con l’effetto opposto, le sembrano una pugnalata nel cuore.
    Si, è vero. Lei non è sola, non è sola perché ha lui, perché lui si è sempre occupato di lei non lasciandola mai, anche quando era fisicamente lontano, anche quando non poteva esserci fisicamente è sempre stato presente, le ha sempre scritto… e lei l’ha ripagato così. L’ha ripagato mentendogli.
    Riuscendo, finalmente, a trattenere vagamente le lacrime deglutisce e sposta lo sguardo verso quello del maestro.

    Lo so io…. Mi dispiace tanto… sono stata stupida…

    Non ci sta pensando, non sta facendo minimamente caso al fatto di essersi appoggiata completamente a lui, non ha notato come, con una mano, gli sta stropicciando l’abito. E’ raro che lei abbia questi momenti, è raro che non controlli perfettamente le proprie azioni ma, per qualche motivo, ciò che è successo l’ha turbata. Non riesce a capire, non riesce a spiegare nemmeno a sé stessa come mai abbia, quasi, ceduto a quelle piccole lusinghe che l’hanno fatta sentire apprezzata come nessun altro aveva mai fatto. Non è stupida Elianor, sa bene che il suo maestro la stima, ma, in qualche modo, sente che l’apprezzamento dello sconosciuto è diverso, che le dà un tipo di attenzione diverse.

    … molto stupida. Non so perché quelle attenzioni mi facessero piacere… butterò tutto promesso….

    E lo farà, lo farà davvero perché niente vale più di Geraryn nella sua vita ma, intimamente, non può fare a meno di chiederselo: che si tratti di quell’attrazione per l’altro sesso di cui tutti i ragazzi parlavano all’accademia quando lei ancora ci viveva e che non ha mai compreso? E poi come può essere attratta da qualcuno di cui non conosce nemmeno il volto? Che senso ha?


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Elianor balbetta e si imbarazza; Geraryn non ha neanche bisogno di usare chissà quali parole complesse, perché lei è già estremamente permeabile ai suoi pensieri.
    Hanno condiviso molto, in quegli anni. Hanno vissuto a stretto contatto, così stretto che Geraryn poteva captare le riflessioni e i sentimenti della sua allieva. Ma se lui è capace di rendersi molto più impenetrabile della ragazza, i suoi gesti e le sue condotte seguono rivelano un modus operandi che porta la sua impronta, impressa a fuoco come un marchio. E quel marchio Elianor lo vede, lo sa riconoscere. E' abituata a sentire la sua voce e le sue richieste, ad assecondare le sue direttive. Il mago non fa mistero di ciò che apprezza e di ciò che invece valuta in modo negativo. E lei sa ogni cosa, conosce il suo metro di giudizio ed è perciò in grado di prevedere, in parte, le sue reazioni.
    Non si può dire invece che conosce realmente il suo maestro. C'è una parte di sé che il Primo Incantatore di Vyricas non mostrerà mai a nessuno, a beneficio della maschera seria e benevola che indossa. Una parte che nemmeno Elianor ha mai visto, e deve necessariamente continuare così. La vuole ingenua, la vuole docile.
    Anche adesso il suo tacito rimprovero non è che un ammonimento che in realtà vuole tradire un bisogno di proteggere, di tutelare. Non è la prima volta che affrontano quel discorso: Geraryn ha sempre messo in guarda la sua giovane allieva da chiunque la circondi. Da chiunque, eccetto da lui, che ai suoi occhi deve essere la sola persona di cui può fidarsi.
    La vuole cieca, sì, ma solo di fronte alle sue vere intenzioni. Vuole che Elianor si senta fragile, vuole che abbia bisogno di sentirsi protetta. E lui, che ha vegliato su di lei in tutti quegli anni, è pronto sulla soglia, a tenderle ancora una volta la sua mano, ad accarezzare i suoi capelli e a sussurrarle parole rassicuranti.
    Il mago non può accettare che un qualunque servitore possa fare breccia nei pensieri di Elianor. E' del tutto fuori discussione: nessuno deve entrare nel cerchio invisibile che contiene solo la ragazza e il suo maestro. Geraryn ha bisogno che Elianor lo cerchi, che lo invochi. Lei deve avere bisogno di lui. Ma se si lasciasse lusingare dall'interesse di qualcun altro, magari di un corteggiatore, Geraryn sa che rischierebbe di perdere la presa che ha al momento su di lei, e non può permetterlo.
    Elianor sbatte le palpebre sorpresa quando l'uomo le si accosta in quel modo, così Geraryn può notare alcune gocce di rugiada appese alle sue ciglia.
    "Lo so io…. Mi dispiace tanto… sono stata stupida…" si rimprovera.
    Il mago risponde con un sorriso indulgente, uno di quelli che raramente spende per il prossimo.
    "E' stata una debolezza" la giustifica, mentre lei si aggrappa all'indumento che indossa. Elianor promette che butterà via ogni cosa, e Geraryn sa che lo farà, anche se controllerà lo stesso.
    "Non so perché quelle attenzioni mi facessero piacere…" continuò l'apprendista, abbassando gli occhi mortificata."E' una cosa normale" risponde con il tono che impiega quando le fa lezione. "Ognuno ha bisogno di sapere che non è solo, di sentirsi amato. Ma tu lo sai quanto tengo a te."
    Si avvicina ulteriormente, imprimendo un bacio sulla fronte di Elianor, sul suo zigomo, e infine sulle labbra.



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    Elianor da Mirarius

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    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono


    In passato, quando era stata semplicemente una bambina con una gran massa di capelli rossi e, ancora per poco, ignara dei propri poteri Elianor aveva amato il contatto fisico. La piccola amava passare le giornate, letteralmente, tra le braccia dei genitori o dei fratelli e, forse proprio per questo, ricordava ancora bene il loro mestiere e le loro azioni: perché le aveva viste ripetere molte volte, fino ad interiorizzarle. Poi, d’improvviso, le cose erano cambiate e, senza un vero e proprio motivo, aveva smesso di avvicinarsi in modo fisico alle persone, forse, semplicemente, non c’era più stato nessuno di cui si fosse fidato abbastanza, nessuno che l’avesse incoraggiata in quello… e del resto Geraryn, che pur da sempre si prendeva cura di lei, non era esattamente una persona calorosa. No, decisamente non ispirava abbracci. Era capitato, in verità, che in un moto d’affetto la ragazza lo abbracciasse, soprattutto quando, dopo non averlo visto di persona a lungo, lui tornava all’accademia ma, chiaramente, erano eventi sporadici, casuali.
    Per questo, se avesse avuto la lucidità di rendersene conto, lucidità che presa dal senso di colpa non aveva minimamente, avrebbe trovato strana quella posizione, avrebbe trovato anomalo l’essere, letteralmente, accoccolata tra le sue braccia.
    Annuisce, lentamente, alle parole dell’uomo guardandolo, quasi persa, negli occhi per poi rispondere in un sussurro.
    Lo so… mi dispiace….

    Si, aveva smesso di balbettare quantomeno e, in verità, questo era dovuto al fatto che, per quanto lei potesse vedere, non era arrabbiato, non quanto lei avrebbe temuto quantomeno e, per lei, questo era già tantissimo. Sapere che lui non era deluso, non troppo quantomeno, e che, anzi, aveva pensato di rassicurarla.

    […]

    Aveva chiuso gli occhi quando lui le aveva baciato la fronte, e, avendolo fatto, non si era minimamente resa conto degli altri spostamenti. Era stata una cosa veloce e, poteva dirlo con tutta onestà, completamente inaspettata. No, il Maestro non aveva mai dato alcun segno in quel senso al punto da far pensare, occasionalmente, ad Elianor che fosse asessuato o, comunque, completamente indifferente all’altro sesso, sicuramente, per quanto lei aveva sempre visto, non l’aveva mai né visto né sentito esprimere apprezzamenti verso alcun chi come, invece, aveva visto più volte fare ad altri uomini.
    Questo, ovviamente, non fece che accrescere il suo stupore che, anche se l’avesse voluto, non sarebbe riuscita a nascondere. Aprì gli occhi, quasi di colpo, quando le labbra dell’uomo si staccarono dalle sue.
    No, non serviva nemmeno specificarlo: lei non aveva mai baciato nessuno. Non aveva mai fatto assolutamente nulla con nessuno, come avrebbe potuto?
    Si portò, senza rendersene conto, due dita sulle labbra. Era stato… strano. In modo positivo, probabilmente, ma la rapidità del fatto faceva fatica a farle capire esattamente cosa provare a riguardo.
    Alzò lo sguardo, confusa, quasi preoccupata forse. Cosa doveva fare? Doveva dire qualcosa? Doveva guardarlo? Doveva non guardarlo? Era meglio fingere che non fosse successo niente? Forse, in effetti, la cosa migliore era aspettare che facesse qualcosa lui, capire come si sarebbe comportato lui e fare di conseguenza.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    La pelle di Elianor, dapprima fresca, diventa bollente al contatto con le labbra del maestro. E' stato il potere di quel contatto, lui lo sa: una magia ben diversa da quella che insegnano nelle accademie, ma che si può apprendere solo vivendo, viaggiando, conoscendo. Entrando in contatto con altre persone.
    Quel bacio è un marchio che Geraryn ha voluto imprimere sulla bocca della sua allieva. Un segno distintivo, che spicca come una stella nel buio. Una traccia, che porta la firma del mago e che seguirà la giovane ovunque andrà.
    Quelle piccole manifestazioni d'affetto o presunte tali sono un rito, una serie di gesti che compongono un cerimoniale dalla funzione ben precisa. Geraryn conosce le radici di quel rituale che per Elianor probabilmente sono oscure, ma è proprio la sua ignoranza a renderlo più efficace.
    La giovane è stata legata a lui fin da una tenera età; per quanto improbabile che fosse, il mago ha dovuto prendere in considerazione l'ipotesi che, crescendo, sarebbe diventata autonoma e si sarebbe distaccata da lui. Quello che non ha previsto era come ciò sarebbe avvenuto. Non è la fame di libertà o l'ambizione a muoverla. Geraryn fornisce a Elianor tutto ciò di cui aveva bisogno: istruzione, cure, e l'illusione di essere felice in quella che è una metaforica gabbia dorata. E di quella gabbia lei è felice o, perlomeno, non ha mai dato un segno di scontento che giungesse all'attenzione del maestro.
    Ciò che rischia di distoglierla dai suoi scopi e dalla dedizione per il Primo Incantatore di Virycas è qualcosa, forse, di più banale, ma non per questo meno pericoloso.
    Un ragazzo. Una stupida cotta giovanile.
    Solo perché Geraryn non prova gli stessi sciocchi sentimenti del resto dell'umanità, non significa che deve dimenticare di che pasta sonofatti tutti gli altri. Ma a volte, quando si ha una voragine cupa al posto del cuore, può capitare di non tenere a mente che gli uomini e le donne che lo circondano sono fatti di carne e sangue, vizi, sentimenti. Elianor è la creatura più semplice e genuina che conosca, eppure anche il suo cuore palpita. Anche la sua anima ha bisogno di affetto.
    Se vuole attenzioni, Geraryn gliele avrebbe date. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per continuare a tenerla legata a sé.
    Quando si scosta da lei, da quelle labbra fresche e giovani, si chiede per un attimo se non si è spinto oltre. L'aria spaesata di Elianor la dice lunga, mentre lei non pronuncia una parola. Ma no, Geraryn non sbaglia. Lui conosce esattamente la misura delle cose, si mantiene sempre a un passo dal confine. Ed è proprio il silenzio della giovane a confermargli che non ha fatto male. Lei è solo confusa, semplicemente e banalmente smarrita. Come lo è stata la prima volta che il mago l'ha incontrata. Come quando ha scoperto che la sua famiglia era stata sterminata e non le era rimasto che rifugiarsi tra le sue braccia.
    Geraryn le sorride indulgente, sperando di trasmetterle calma e sicurezza. Va tutto bene, va tutto benissimo.
    "Non devi mai pensare, neanche per un attimo, di non essere amata" le dice. "Ma devi stare attenta, Elianor. Non tutti quelli che sembrano volerti bene sono sinceri. Ma tu devi essere in grado di capire di chi puoi fidarti."
    Lo sguardo del mago non è troppo severo, ma è evidente che sta soppesando con serietà le sue parole.
    "Di chi puoi fidarti, Elianor?" la incalza, carezzevole.



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    Elianor da Mirarius

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    Legale Buono


    “Solo di te… voi. Solo di voi.”

    Mormorò, piano, guardandolo negli occhi. Si è distratta per un attimo, compiendo un errore che, però, ha immediatamente corretto motivo per cui, in realtà, non crede che lui si arrabbierà. Quello che più le importa, in quel momento, è che non sia troppo furioso per ciò che è successo prima, per la scoperta che ha fatto, per quel corteggiatore sconosciuto che tanto le aveva fatto piacere e che, ora le è chiaro, non avrebbe mai dovuto interessarle. Avrebbe dovuto buttare tutto subito, senza mai curarsene. Del resto anche solo mangiare ciò che le veniva lasciato era un chiaro segno d’interesse no? Sbagliato, tutto molto sbagliato, ora le è chiaro, lucido. Il problema era che, in quel momento, non sapeva cosa fare, come comportarsi. Cos’avrebbe dovuto fare? Alzarsi? E se poi si fosse offeso? No, non era il caso. Tra l’altro, in realtà, le piaceva restare in quella posizione, la faceva sentire al sicuro. Però qualcosa doveva fare, dire, quantomeno. Rimase concentrata, fissando gli occhi dell’uomo cercando un argomento, qualcosa da dire, qualsiasi cosa. Deglutì piano, abbassando per un attimo lo sguardo, indecisa.

    C…credo che dovrei tronare ai miei libri o… o eravate venuto qui per dirmi qualcosa?

    Chiese, alla fine, decidendo che, in qualche modo, quella le pareva la soluzione migliore. Del resto se era arrivato lì, quando l’aveva scoperta, un motivo doveva pur esserci no? Non riusciva ad immaginare che si fosse mosso apposta per scoprirla. Non che non ne avesse il potere, di questo ne era assolutamente certa, ma non credeva che si sarebbe mosso in quel modo… o forse si? Non era una cosa che riusciva a decidere ma, in fin dei conti, l’avrebbe scoperto relativamente presto probabilmente.
    Una parte di lei, lo ammetteva senza problemi a sé stessa e l’avrebbe chiesto anche ad alta voce se fosse servito, aveva parecchi problemi a capire come l’avesse scoperto… e ne era felice, davvero felice a quel punto. Perché ora sapeva che stava sbagliando, che stava per commettere un grosso errore fidandosi di qualcuno che non fosse il suo maestro, ma comunque non se ne capacitava. Era stato un caso o meno? Era arrivato in quell’istante per un caso o perché sapeva cos’avrebbe trovato.
    A volte, pur avendo a che fare con lui da anni, l’apprendista rimaneva ancora sconvolta dal potere del proprio maestro e non riusciva a non chiedersi, in effetti, come mai avesse scelto di appoggiare il nuovo imperatore. Ok, quella domanda, in tutta onestà, le era giunta in mente dopo aver parlato con la futura moglie dell’uomo però, in effetti, era una buona domanda; si, la risposta che aveva dato alla donna era, sicuramente, quella giusta: se il primo incantatore aveva dato la sua fiducia al primo incantatore voleva dire che l’uomo la meritava, lei, del resto, non aveva nessuna effettiva conoscenza di come andassero le cose con il vecchio re quindi, anche volendo, non avrebbe potuto dare un’opinione a riguardo. Certo, questo si sapeva, la guerra doveva essere stata pesante, difficile… ma quale non lo era? Quando mai si era vista una guerra o una conquista senza drammi? E, se questa, avesse potuto portare poi del bene alla popolazione ne sarebbe valsa la pena di questo, in effetti, Elianor era convinta.

    “Posso… porre una domanda impertinente? La futura imperatrice mi ha chiesto cosa ne pensassi dell’imperatore e io, ovviamente, le ho risposto che se aveva la vostra fiducia era giusto così ma… perché avete ritenuto di appoggiarlo?


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    Lo sguardo di Geraryn non deve, non può tradire nulla che Elianor possa mal interpretare, o che possa far nascere in lei qualche dubbio. In quel momento il mago si atteggia a quanto di più rassicurante ci possa essere; dopo aver rimproverato l'ingenuità della fanciulla, dopo averla infine confusa, adesso le tende una mano. Vuole essere per lei quella cima che una nave di soccorso lancia a un uomo sul punto di annegare, la luce del faro che la guida tra le nebbie di quell'esistenza fin troppo brumosa, la voce che chiarisce cosa è giusto e cosa e sbagliato, cosa è concesso e cosa invece è proibito.
    In quelle vesti, Geraryn è l'uomo che fa le leggi e applica la pena, colui che decide sulla base del suo senso pratico e delle sue esigenze le condotte di tutti gli altri. Ci vuole un certo impegno per condurre chi lo circonda a fare ciò che desidera, ma in un modo o nell'altro il Primo Incantatore raggiunge sempre i suoi scopi.
    C'è chi è più malleabile e chi richiede invece un lavorio incessante ai fianchi, mentre rigetterebbe un approccio più diretto da parte sua. Tra tutti, Elianor è il soggetto ideale: la fanciulla sempre docile, la presenza timida ma che ricerca sempre il consiglio del maestro, colei che fin dalla più tenera età si è rivolta a lui per avere qualsiasi conferma e risolvere ogni problema. Elianor è l'oggetto degli esperimenti di Geraryn, delle sue attenzioni, lo strumento di cui si avvale quando ha bisogno, la sua longa manus quando non vuole esporsi.
    Tra i tanti episodi che può richiamare alla mente, c'è la cattura del demone. La sua allieva ha svolto un incantesimo del sangue, e lo ha fatto senza battere ciglio, solo perché Geraryn glielo aveva chiesto, dando per scontato quindi che fosse la cosa più saggia da fare.
    Piccola e dolce Elianor. Cosa farebbe senza di lei.
    E lei deve saperlo. Ha bisogno che non si stacchi mai da lui, altrimenti Geraryn perderebbe la sua marionetta preferita.
    Elianor deve sapere che non può fidarsi di nessun altro, ma pare che lo abbia imparato. Si lascia sfuggire quasi un tono più confidenziale mentre gli dà quella conferma, e il mago sorride amabilmente.
    "Proprio così" approva.
    L'apprendista resta a fissarlo per qualche istante e Geraryn inizia a chiedersi cosa passi nella sua mente. Prima che possa scoprirlo con certezza, Elianor ha come un tremito.
    "C…credo che dovrei tornare ai miei libri o… o eravate venuto qui per dirmi qualcosa?"
    Il Primo Incantatore, accosciato accanto a lei, pian piano si alza, sempre tenendo le mani appoggiate sulle sue spalle, e quindi inducendola a fare lo stesso.
    "Nulla che non possa aspettare" risponde con tono vago. "Torna pure ai tuoi studi."
    Ma, prima, la fanciulla ha una perplessità, un dubbio che vuole risolvere. Gli chiede perciò cosa ne pensi dell'imperatore.
    Geraryn si prende qualche istante per rispondere, apprezzando ciò che la ragazza ha riferito alla futura imperatrice.
    "Ed è così" conferma pacato. "L'imperatore Miach ha la mia piena fiducia. Jolene ti ha forse manifestato dei dubbi sul suo conto?"



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    Elianor da Mirarius

    « VOGLIO SVELARTI UN SEGRETO, UN GRANDE SEGRETO CHE TI AIUTERÀ AD AFFRONTARE LE PROVE QUANDO LA VITA VORRÀ SOTTOPORTI: DEVI ESSERE GENTILE E AVERE CORAGGIO! »


    Maga, Guaritrice

    apprendista del primo incantatore

    8 Gennaio 529 -- 24 anni

    Legale Buono


    ”No… nessun dubbio effettivo credo. Solo mi sembra non essere in grado di concepire come qualcuno possa scegliere di fidarsi di lui.” Fa una breve pausa alzandosi e avvicinandosi alla scrivania dove, pensierosa, riprende a sistemare i libri che erano rimasti lì prima che lui la sorprendesse con quei regali che, ora, si sente così stupida per aver accettato. “del resto credo sia inevitabile non riuscire a fidarsi di colui che ha sterminato la propria famiglia e conquistato il regno che credevi tuo diritto e che, ora, puoi avere solo tramite un matrimonio che non vuoi con lo stesso uomo.” No, lei non potrebbe sposare le persone che hanno ucciso la sua famiglia, ne è certa. Non ci riuscirebbe, non potrebbe mai fare una cosa del genere, condividere la propria vita, la propria intera esistenza con un assassino. Certo, è anche vero che lei una scelta simile non dovrà mai farla e, soprattutto, che in guerra sono normali cose che, nella vita normale, non possono essere nemmeno pensate, concepite. “e poi, dal momento che voi, che sicuramente conoscete queste dinamiche molto meglio sia di me che della futura imperatrice, ritenete che lui sia la persona giusta per sedere sul trono allora io sono certa che è così, e dovrebbe esserlo anche lei.” mentre impila alcuni libri si volta verso di lui facendosi d’improvviso pensierosa. “inoltre io non conosco il vecchio imperatore, non l’ho mai nemmeno visto ovviamente, ma se è stato possibile sfilargli il trono da sotto il sedere e sterminargli quasi completamente la famiglia… evidentemente non era un imperatore in grado di esserlo davvero… o mi sbaglio?” No, Elianor non si è mai interessata più di tanto di politica, del resto il suo maestro l’ha sempre fatto per lei, le ha sempre detto cosa pensare e a chi dare la propria fiducia, ovvero solo lui stesso: perché lei dovrebbe pensarci trovandosi magari a capire cose sbagliate? Trovandosi con convinzioni che non farebbero bene ne a lei né a nessun altro?
    Mentre parla sfoglia i libri e, di colpo, le viene in mente una cosa che deve, assolutamente, domandare al maestro, una cosa che ha scoperto quella mattina e di cui vuole parlargli.
    “Stamattina stavo pensando a Lady Soleil che, suppongo lo sappiate, continua ad insistere sul fatto che la figlia ha delle strane macchie che, però, compaiono in modo apparentemente casuale sul corpo della bambina… ora avevamo stabilito, mi pare, che si trattasse di una cosa dovuta alla mente debole della madre che influenza la povere bambina ma, sfogliando questo libro, ho trovato questo unguento che pare essere fatto apposta per persone con quei sintomi… dite che potremmo proporglielo? Non tanto per, l’evidente, follia materna ma per lenire le sofferenze della povera bambina…”



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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    In realtà l'imperatore Miach non ha affatto la sua fiducia. E' solo un bamboccione taciturno e dal carattere spigoloso, con un certo talento per la guerra, è vero, ma senza una particolare attitudine a tenere le redini di un regno. Questo bel quadretto della personalità del sovrano però si risolve in un vantaggio per Geraryn, che l'ultima cosa che vuole è un imperatore capace e di polso. Ha bisogno di un regnante che si fidi di lui e del suo giudizio, che non contraddica le sue prese di posizione e che gli lasci ampio spazio di manovra.
    Miach è stato in un certo senso costretto a fidarsi di Geraryn. Era il Primo Incantatore già all'epoca del suo predecessore, e si è dimostrato l'unico in grado di controllare i draghi giunti dall'Egros al seguito del Cadash Conquistatore. Miach ha avuto la forza necessaria per conquistare Aslya e sedere sul suo trono, ma ben presto ha scoperto che appropriarsi di qualcosa è un conto, mantenerlo è tutt'altro paio di maniche. E' arrivato nel continente con la forza, ha messo a ferro e fuoco un'intera regione, ha sterminato i suoi predecessori: ciò lo ha reso una figura tutt'altro che popolare. Inoltre non conosceva i regni come li conosce Geraryn, e non ha potuto che appoggiarsi a un uomo del luogo, una figura che potesse fare da ponte tra il vecchio e il nuovo regime. Il mago ha accolto la decisione dell'imperatore di tenerlo nel suo vecchio incarico con serietà e sussiego, mentre internamente stava già assaggiando la nuova dimensione del potere come un predatore che sente l'odore del sangue e si lecca le fauci.
    Ovviamente nessuno deve conoscere i suoi reali pensieri sull'argomento, men che meno Elianor. Con la futura imperatrice è in parte diverso. Geraryn sa quanto lei poco ami il Conquistatore, che a tutti gli effetti è stato un usurpatore del vecchio scranno di suo padre, oltre che sterminatore della famiglia reale. Il mago ha quindi intenzione di fare leva su quel rancore, ma sempre con prudenza, e sempre per usarlo a suo vantaggio.
    Al momento, è sufficiente che Elianor sappia che lui è un fedele suddito, e che si comporti come tale.
    "Del resto credo sia inevitabile non riuscire a fidarsi di colui che ha sterminato la propria famiglia e conquistato il regno che credevi tuo diritto e che, ora, puoi avere solo tramite un matrimonio che non vuoi con lo stesso uomo."
    La fanciulla fa un'analisi puntuale dei tumulti del cuore di Jolene, così chiari anche per una ragazza ingenua come lei.
    Geraryn preferisce non commentare, ma accenna appena un sorriso quando la sente parlare in quel modo di Miach. Non deve fare altro che gettare il seme della discordia, il resto verrà da sé e lui non dovrà fare altro che restare a guardare.
    "Credo che l'imperatore Miach non ha ancora dimostrato quanto può fare per Aslya" puntualizza, "e l'unico modo per farlo è dargli fiducia."
    E' il suo modo di chiudere il cerchio. Conferma che si fida di lui - ovviamente sta mentendo -, ma nello stesso tempo smente in maniera sottile quello che ha appena constatato Elianor: lui non lo sa se Miach è la persona giusta per sedere sul trono. Tanto che, se in futuro mostrerà le sue pecche - e lo farà, sarà lo stesso Geraryn a indurlo a tanto -, il mago non resterà smentito nelle sue convinzioni. Sarà solo uno dei numerosi sudditi che hanno riposto fiducia in lui, la cui stessa fiducia è stata tradita.
    Invece Geraryn non dice nulla sul vecchio re di Virycas, non vuole addentrarsi troppo in quel territorio. Per fortuna la sua allieva non attende una sua risposta ed è lesta a mutare argomento. Parla di lady Soleil e della figlioletta che hanno avuto modo di visitare: sembra avere un'idea per una cura.
    "Certamente. Procedi" la autorizza Geraryn, arretrando di qualche passo verso l'uscita. "La affido a te, dedicati alle sue cure, dopodiché vieni a riferire."
    Annuisce in direzione di Elianor, come per suggellare l'incarico che le ha appena attribuito, dopodiché scompare oltre il vano della porta, allontanandosi attraverso il corridoio e ponendo fine a quell'incontro.

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  10. .


    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Le dita di Geraryn si muovevano appena, tracciando nell'aria dei piccoli simboli invisibili. Le sue labbra sottili racchiudevano una lingua biforcuta che sillabava una nenia appena percepibile. Non si insegnavano all'Accademia dei guaritori, incantesimi come quello. Tuttavia il mago li aveva appresi comunque, studiando, acquisendo, esercitandosi. L'imperatore non era stato reso partecipe di quegli studi, non ve n'era alcuna necessità. Geraryn era un uomo che era andato oltre il sapere tradizionale, apprendendo le conoscenze basiche dei curatori e stravolgendole per i suoi scopi, conquistando conoscenze ulteriori e aggiungendo al suo un potere sempre maggiore.
    Era questo ciò a cui tendeva: il potere, il controllo. Aveva fatto cose che i maghi prima di lui non osavano nemmeno pensare.
    Aveva attratto un demone e lo aveva reso schiavo.
    Uno scintillio di trionfo lampeggiò nei suoi occhi mentre fissava il prodotto del suo lavoro. Si sentiva cambiato, anche se non poteva vederlo; internamente, ma anche fuori. Non sapeva come spiegarlo, ma si sentiva un uomo diverso. Non era però una sensazione negativa, tutt'altro. Percepiva il formicolio di un'energia potente e terribile nelle vene, che man mano veniva assorbito dal suo corpo.
    Rovesciò il capo all'indietro e serrò gli occhi. La sua voce si innalzò nel continuare quella nenia fatta di parole arcane e inaccessibili, alle quali rispose un brontolio feroce, come un ruggito sommesso.

    /.../



    Geraryn chiuse alle sue spalle la porta della stanza che occupava all'interno del palazzo imperiale. Sfregò una mano sugli occhi, le palpebre ancora bruciavano un po', ma la sensazione si stava comunque attenuando.
    Doveva cercare Elianor. Lei era stata un elemento essenziale nel suo ultimo piano, e lo aveva seguito come al solito senza esitazioni. Aveva ubbidito ai suoi comandi, ascoltando con attenzione le parole che Geraryn le aveva rivolto. L'aveva rassicurata sul fatto che ciò che avevano compiuto mirava al benessere di Virycas, ma temeva che una cosa del genere fosse difficile da accettare anche per una ragazza accondiscendente come Elianor. Non l'avrebbe lasciata sola in un momento così delicato: come al solito sarebbe andato da lei, sarebbe stato una presenza silente ma incrollabile al suo fianco, avrebbe continuato a guidarla.
    C'era una grande biblioteca, all'interno del palazzo imperiale: quello zotico di Miash non aveva distrutto tutto il sapere custodito dal vecchio re. Ce n'era anche una più piccola, dove Geraryn aveva avuto il permesso di conservare testi di magia, che anche gli altri maghi potevano consultare. Era lì che immaginava di trovale Elianor: quell'ambiente era familiare, lì la ragazza si era sempre sentita a suo agio, protetta.
    E fu lì che il Primo Incantatore la trovò quando ne varcò la soglia; i raggi solari del primo pomeriggio filtravano attraverso la finestra aperta e si infrangevano sulla sua chioma scarlatta.
    "Elianor" la chiamò con voce carezzevole, "volevo vederti."

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    Elianor da Mirarius - ©


    Sobbalza, di colpo, aprendo gli occhi e guardandosi attorno, quasi sperduta. Dov’è? La risposta, in verità, arriva in pochi attimi: è in biblioteca e, purtroppo, quello su cui ha domito, non sbavando spera, è un libro. Quindi è in biblioteca e, ciò che l’ha svegliata è assolutamente inconfondibile per lei: Geraryn.
    Quasi all’istante, giusto il tempo di realizzare, e si volta, passandosi una mano tra i riccioli rossi e l’altra sugli occhi.

    “Scusa… mi sono addormentata temo. Spero di non aver rovinato il libro.”

    Già, il libro, torna a voltarsi verso il volume controllandolo, con un’occhiata veloce e, lievemente sollevata, non nota nessun danno. E’ una cosa positiva, quantomeno. Dopo aver parlato sposta le gambe da sotto la sedia e, dopo aver lisciato l’abito verde smeraldo che indossa, si alza raggiungendo il suo maestro cercando di trattenere, a fatica, uno sbadiglio.
    Non dorme bene in quei giorni, per nulla. Sa che ha fatto la cosa giusta ad aiutarlo così come sa, per quanto l’idea non l’alletti per nulla, che un demone che si impossessi di lui è molto più pericoloso di quanto non lo sarebbe se succedesse a lei. Certo, è la cosa giusta, ma la turba ugualmente. Elianor non ama infrangere la legge, lo fa? Certo. Certo se è per il bene, se è lui a dirglielo, perché sa che non le farebbe mai fare nulla di sbagliato, ma questo… questo un po’ la turba, deve ammetterlo.

    “Ti servo a qualcosa? Spero tu non mi abbia dovuto cercare troppo a lungo… sono venuta qui stanott… stamattina appena sveglia ma temo di non aver retto molto.”

    Volge leggermente lo sguardo verso il tavolo dove, accanto al libro, si trova una candela ormai spenta che, per fortuna, ha avuto il buon gusto di spegnersi da sola senza dare fuoco a nulla. No, non sarebbe _decisamente_ stato il caso di provocare un incendio in mezzo a libri dal valore inestimabile.
    Si, la ragazza ama quel luogo, tranquillo, pieno di, quasi, tutto il sapere che può desiderare, un posto dove nessuno, o quasi, va mai a disturbarla. Cos’altro potrebbe desiderare? Soprattutto ora che i suoi poteri possono servire davvero al popolo, possono davvero essere utili ad aiutare gli altri.
    Senza spostare lo sguardo osserva ciò che si trova fuori dalla finestra, si, il sole è senza dubbio alto, ha domito tanto, troppo.

    “Non mi hai aspettato per mangiare vero?”

    Un leggero senso di colpa traspare dalle parole della ragazza anche se, in verità, ignora quale sia la verità: per quello che ne sa lei il suo maestro potrebbe aver appena finito un banchetto di dieci portare. Del resto, per qualche ignoto motivo, avere dei sensi di colpa per qualcosa su cui non ha il minimo controllo non è una cosa così nuova per lei.


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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn mosse qualche passo nella stanza, immergendosi in quella pozza di luce solare che si riversava dalla finestra sul pavimento. Il capo di Elianor era chino sulle braccia, incrociate su un libro aperto; quando il Primo Incantatore fece sentire la sua voce, il crine rosso della fanciulla ebbe un sobbalzo. Impiegò qualche istante prima di rispondere, poi volse il suo viso in direzione del maestro, con un'espressione velatamente colpevole dipinta sopra. Elianor si era addormentata, ma Geraryn non se ne stupì così tanto: gli incantesimi che avevano condotto insieme avrebbero spossato chiunque e, anche se era trascorso già qualche tempo, lo stesso mago stava ancora recuperando le forze.
    "Non preoccuparti" rispose, mentre la ragazza si alzava e gli andava incontro. "Dovevi essere stanca."
    Elianor sembrava animata da un senso di urgenza, come se fosse consapevole che Geraryn, scorgendola addormentata, l'avesse colta in fallo. Non era una cosa nuova per la giovane mostrare una simile sollecitudine, che per certi versi contrastava con i modi sempre controllati dell'uomo. Geraryn era un uomo che sapeva affermare con decisione la sua opinione, ma nei confronti della protetta aveva usato perlopiù modi morbidi e concilianti. Del resto non aveva mai avuto bisogno di usare il pugno di ferro con lei, sempre così docile e pronta a seguirlo al solo suono delle sue parole. E, più in generale, era raro che Geraryn alzasse la voce o si mostrasse troppo spregiudicato con chiunque: proprio in quello stava il tratto distintivo dei suoi modi, il motivo per cui l'Imperatore lo apprezzava e lo rispettava tanto.
    Elianor era sugli attenti, pronta ad ascoltare l'eventuale richiesta che il mago aveva da rivolgerle, ma in quel caso lui non voleva niente di specifico.
    "Non mi occorre niente" rispose quindi, incrociando le mani sulla lunga veste che indossava e incurvando in modo appena percepibile la piega delle labbra. "Volevo solo accertarmi che stessi bene."
    Non ebbe bisogno di chiederle da quanto tempo si trovasse lì, in quanto fu la stessa Elianor ad anticiparlo. Stava per dire che si trovava in biblioteca dalla notte precedente, ma si corresse per far sapere al maestro che vi si era recata solo quella mattina. Geraryn sorrise più apertamente a quel maldestro tentativo di nascondergli la verità.
    "Dovresti riposare di più" le suggerì, mentre tendeva una mano a sfiorare il dorso di un libro. "Qui non c'è nulla che non possa aspettare il giorno perché tu te ne occupi."
    Certi scambi di battute gli ricordavano quando si trovava ancora all'Accademia dei guaritori. All'epoca Elianor era stata solo una bambina, impacciata e frettolosa quasi quanto la giovane donna di oggi, e lui si era offerto per guidarla, consigliarla, istruirla. Si era occupato di lei, e lo continuava a fare da quando aveva suggerito all'Imperatore Miach di convocarla a palazzo.
    Quando la ragazza gli chiese se avesse già mangiato, Geraryn rispose con un controllato movimento delle spalle.
    "A dire il vero ti ho aspettata, sì. Ma non preoccuparti, non avevo molto appetito. Faccio portare qualcosa dalle cucine, così non dovremo neanche spostarci" propose.
    L'intenzione del Primo Incantatore era quella di restare in un luogo raccolto, al riparo da orecchie indiscrete, senza la compagnia di nessuno.

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    Elianor da Mirarius - ©




    “Ogni tanto non dormo bene…” Ammette, molto di malavoglia, quasi in un sussurro quando le parole lasciano le labbra della ragazza. Non ama ammettere le proprie debolezze, non ama farlo con nessuno, anche perché non ha certo molte persone con cui farlo in verità, e, a maggior ragione, non vuole farlo davanti alla persona in assoluto più importante per lei da quando sono morti i suoi genitori. Non può deluderlo, non se lo perdonerebbe mai. “Ma sono sicura che passerà… probabilmente, anzi sicuramente, è perché in quest’ultimo periodo passo molto tempo seduta e non mi stanco abbastanza. Devo riprendere ad andare in città come ho sempre fatto, mi stanco e sono utile agli altri, devo assolutamente riprender… a meno che io non serva qui a te. Perché in quel caso ovviamente resto qui.”
    SI corregge subito, interrompendo persino le proprie parole. Non si allontanerà mai dal palazzo, o da lui nello specifico, se gli fosse necessaria, lei, il suo aiuto, o qualsiasi cosa.
    Annuisce, limitandosi a emettere un flebile “Va bene, certo.” sulla questione della colazione mentre, in realtà, si sente sempre più in colpa.
    L’ha aspettata, non doveva, perché l’ha fatto? Lei non si merita una cosa simile e, in verità, avrebbe anche potuto evitare di mangiare al mattino pranzando direttamente anche perché, in quei giorni, quando si addormenta, dopo molte difficoltà, lo fa per ore senza svegliarsi… a meno di non sentire qualche rumore, come è accaduto quella mattina.
    Quasi desiderosa di colmare un silenzio, di dare comunque spiegazioni, prende dalla scrivania il volume che stava studiando dormendo e lo porta vicino a lui. Pesa troppo per la ragazza, decisamente troppo, tanto che le braccia tremano leggermente mentre, sforzandosi di non scuoterlo per non far girare la pagina, si avvicina al suo maestro.

    “Prima di… riposare gli occhi…”
    non dirà mai addormentarmi, è ovvio. “Ho trovato questa pagina che, mi sembra, si riferisca proprio al discorso che facevamo ieri sulla cura delle ustioni da fuoco. Ora l’incantesimo mi pare leggermente strano, e pericoloso forse su piccoli tagli, ma per i casi in cui non esista nessuna alternativa credo che il rischio si possa correre no? Del resto a ben guardarlo, rischi a parte, mi sembra proprio che la cosa possa avere una logica no?”

    Parla continuamente, senza fermarsi, quasi senza respirare. Ad uno sguardo esterno, in verità, può parere agitata e, forse, una parte di lei lo è davvero ma, a ben vedere, la cosa e capita spesso, soprattutto quando, come in quel caso, parla di qualcosa che la appassiona, di qualcosa con cui può, o potrebbe, davvero aiutare gli altri… o quando vuole la sua approvazione, l’approvazione che è tutto per lei, di cui lei in qualche modo si nutre, che le dà la forza di essere chi è e di fare ciò che fa.




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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn inclinò appena il capo di lato quando Elianor ammise con un filo di voce di non riuscire a concedersi sempre un buon sonno ristoratore. Ne capiva il motivo: ciò che avevano fatto era in grado di turbare la coscienza di chiunque. Persino Geraryn, che una coscienza non ce l'aveva, sentiva su di sé l'influenza del potere del demone.
    Elianor sembrava però voler dare la colpa della sua mancanza di sonno a eventi decisamente più comuni, come la mancanza di moto durante il giorno. Auspicava di poter riprendere ad andare in città per occuparsi di varie incombenze, ma si corresse subito, specificando che lo avrebbe fatto solo ove il suo maestro non avesse avuto bisogno di lei a palazzo. Il Primo Incantatore annuì indulgente.
    "Sembra una buona idea" approvò pacato.
    Elianor era così fedele, così devota. Geraryn sapeva di poter contare su di lei, per questo, tra tutti, aveva scelto di servirsi di lei quando era giunto il momento di imbrigliare il potere del demone. Non si sarebbe rivolto a nessun altro, neppure Lavellan, che pure lo aveva stimato, si era mai fidata così ciecamente. Elianor era diversa: il mago se l'era coltivata fin da un'età più tenera, si era occupato di lei, l'aveva custodita, istruita e protetta, rendendosi insostituibile. E il risultato era che ora la ragazza avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui.
    Bastò un gesto, e presto un servitore si materializzò sull'uscio. Chinò reverenzialmente il capo in direzione di entrambi, pronto a ricevere gli ordini di Geraryn, e questi chiese che venisse portato del cibo. L'altro sparì; il mago sapeva che avrebbero dovuto rimandare i discorsi più spinosi a dopo il ritorno del servitore, così da non ricevere ulteriori interruzioni.
    Rimasto solo con Elianor, questa si alzò per andare a prendere un tomo; sembrava piuttosto ansiosa di fargli vedere qualcosa. Il mago allungò il collo per adocchiare la pagina che lei stava indicando, rinvenuta dopo aver sfogliato il libro per qualche istante. Si trattava di ustioni da fuoco, scoprì quando lei iniziò a riferire il contenuto delle sue ricerche. Immaginò che all'imperatore Miach sarebbe piaciuto molto scoprire che esisteva un incantesimo curativo in grado di rimediare a parte dei disastri che causavano i suoi draghi liberi per Aslya, ma Geraryn non si sentiva ansioso di condividere con lui quella scoperta. Era stato lui a rompere le catene che trattenevano le zampe squamose di quei rettili affinché questi potessero portare morte e distruzione per il continente, e lo aveva fatto proprio affinché fosse Miach Cadash a essere additato come colpevole. Non gli avrebbe quindi fornito degli strumenti per rimediare alle responsabilità che gli venivano imputate.
    "Molto bene" approvò, mentre i suoi occhi setacciavano le righe di inchiostro che componevano le pagine. "E' un incantesimo rischioso però, hai ragione" confermò aggrottando appena la fronte, "c'è il pericolo di causare ferite più gravi di quelle che dovrebbe curare. Conviene cercare un modo per contenere i danni prima di parlarne con qualcuno... L'Accademia potrebbe avere i libri che ci servono."
    Tese una mano verso Elianor, poggiandola sul suo braccio, quasi a voler trattenere il tremito di eccitazione per quella scoperta che lo pervadeva. In quel mentre, il servitore tornò con un vassoio carico di pane, formaggio, frutta e altro cibo, che appoggiò sul tavolo prima di girare sui tacchi e sparire di nuovo.
    "Hai fatto un buon lavoro" si congratulò Geraryn, poi accennò col capo in direzione del vassoio: "Serviti pure."

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    Elianor da Mirarius - ©




    Non l’ha notato, non ha nemmeno fatto caso al servitore che, dopo essersi allontanato, ha fatto ritorno nella stanza; non che possa farci molto, del resto, non le è mai importato molto del resto del mondo quando è con lui. E poi è contenta, molto contenta, potrà tornare ad uscire di nuovo, potrà tornare ad aiutare gli altri e lasciare le mura del palazzo e questo, senza dubbio, la renderà molto felice… e magari la farà dormire di nuovo bene. Ecco, si, quello è importante, perché dormire le permette di lavorare meglio, di essere più efficiente, e questo è importante, fondamentale, non può certo permettersi di non esserlo, se poi Geraryn non la ritenesse più all’altezza? Se la mandasse via? No, non vuole, non può permetterselo. Non vuole tornare all’accademia, non vuole tornare ad essere là, sola, senza la minima possibilità di uscire e aiutare davvero gli altri. Capisce, è ovvio che capisce. Per loro uscire è pericoloso, e, oltre che per il soggetto, rischia di esserlo anche per il resto del mondo… ma è una tale contraddizione. Insomma, altri maghi possono serenamente stare chiusi nelle accademie, al sicuro, ma un guaritore? Che senso ha impedire ad una guaritore… bè di guarire?
    No, decisamente non può permettersi di tornare, non vuole… e non vuole stare lontano dal suo maestro, lui è il suo unico punto di riferimento, non saprebbe da dove cominciare lontano da lui, senza il suo appoggio e la sua fiducia. E’ così persa nei suoi pensieri, e soprattutto occupata ad annuire alle parole del maestro, quell’incantesimo è sicuramente pericoloso e, si, potrebbe andare all’accademia per vedere se si trova qualche variante dell’incantesimo, che la vista del vassoio la fa quasi sobbalzare. Servirsi? Ah. Si. Il vassoio, il cibo. Non l’aveva notato, per niente. Per un attimo, osserva la mano dell’uomo sul proprio braccio poi, dopo essersi allungata per prendere una mela e un coltello, si volta ad osservare il viso dell’uomo e, senza riuscire a nasconderlo, sgrana gli occhi.
    Cosa gli è successo? Non è normale e, per quello che ne sa, e ne sa parecchio, non può essere una malattia, non così improvvisa, non che non esisteva pochi attimi prima… e poi si sarebbe curato da solo se così fosse stato. No, è qualcosa d’altro… qualcosa che non capisce.

    “Gli… gli occhi… il… il contorno degli occhi….”

    Le parole della ragazza sono quasi un balbettio e chi sia colui con il problema, tra i due, è chiaro, è chiaro dallo sguardo di lei, è chiaro perché, ovviamente, non le è possibile vedere il proprio contorno occhi.




    MKomJ0p




    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Il mago osservò di sottecchi la sua apprendista sobbalzare lievemente non appena lui riportò la sua attenzione sul cibo appena portato dal servitore. In quel momento, come in altri simili, a volte si stupiva del modo di essere di Elianor. Certo l'aveva voluta lui in quel modo, di indole docile, di sentimenti semplici, e con quello sguardo sempre incantato rivolto sul mondo. Eppure la ragazza tendeva a superare le sue più rosee aspettative.
    La mente della giovane era attiva, persino vivace, ma proiettata su alcuni aspetti più che su altri. Si era messa a lavorare alacremente su quella ricerca, persino quando chiunque al posto suo avrebbe preferito godersi un meritato riposo, mentre d'altra parte non era ancora consapevole che ciò in cui il suo maestro l'aveva trascinata era un'aberrazione, qualcosa di orribile e osceno.
    Ovunque ad Aslya i maghi vivevano rinchiusi nelle loro Accademie perché, da soli e liberi per il mondo, erano facili prede dei demoni, che li possedevano, stravolgevano le loro menti e li rendevano capaci di mostruosità. Ma Geraryn aveva avuto l'ambizione di sovvertire quella legge non scritta, e di schiavizzare il suo demone personale. Era bastato raccontare a Elianor che lo faceva per un nobile scopo, e lei si era convinta subito. Ancora adesso, a esperimento riuscito, non si rendeva conto di ciò che avevano fatto sul serio.
    Geraryn scostò la mano dal braccio della ragazza, così da darle la possibilità di mangiare liberamente, come l'aveva invitata a fare. Ma Elianor non abbassò lo sguardo sul piatto, e ignorò completamente il cibo. I suoi occhi rimasero incollati sul volto del maestro, più dilatati che mai. La piega delle sue labbra ebbe appena un fremito e il poco colore che le restava sulle guance svanì completamente. Come se avesse visto un fantasma.
    "Gli… gli occhi… il… il contorno degli occhi..." balbettò.
    Geraryn sapeva che stava parlando dei suoi, di occhi, non poteva essere altrimenti. Con un guizzo, le sue dita tastarono i propri zigomi e risalirono, percependo effettivamente qualcosa sulla pelle. Era diversa, come se ore e ore sotto al sole l'avessero ridotta in squame che si staccavano dal viso, ma, come aveva detto Elianor, il fenomeno interessava solo la zona intorno alle palpebre.
    Il mago ritrasse le dita come se si fosse scottato, i muscoli del suo collo si irrigidirono. Non poté nascondere la sorpresa, anche se in effetti immaginava che qualcosa sarebbe accaduto. Nessun uomo aveva mai imbrigliato un tale potere e ne era uscito illeso. Geraryn era fortunato ad essere vivo - non era fortuna, si corresse mentalmente: era giunto dove nessuno si era spinto, ed era stato solo grazie alla sua abilità -, ma sperare di non aver ricevuto neanche un segno forse era troppo.
    Cautamente tentò di riportare le dita sul suo viso, questa volta tastò la pelle liscia e fresca. Afferrò il coltello che il servitore aveva portato insieme al vassoio e lo usò per scorgere il suo riflesso. Per quanto il suo aspetto poteva sembrare distorto in quella lama sottile, sembrava non avere nulla di diverso dal solito.

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    Elianor da Mirarius - ©




    “Ora… ora è passato.”


    Spiega, piegando, estremamente perplessa, la testa di lato. Non riesce a togliergli gli occhi di dosso, non riesce a spiegarsi bene cosa sia successo pochi attimi prima. Magia, si trattava chiaramente di magia perché un processo così rapido non poteva che essere frutto di un processo magico.
    Senza pensarci più di tanto, né chiedergli il permesso cosa che, in effetti, probabilmente avrebbe dovuto fare, si avvicina all’uomo allungando le mani sfiorandogli le borse sotto gli occhi.
    Sgrana gli occhi, di colpo, quasi sconvolta. E’ cambiato, di nuovo. Al suo tocco gli occhi dell’uomo, o meglio, il contorno dei suoi occhi è tornato violaceo.
    E’ sconvolta, si vede, non riesce a nasconderlo, non riesce a fingere che quello che gli sta accadendo sia normale. E ha paura, paura perché una parte, irrazionale, di lei teme che sia qualcosa che non ha a che fare con il tocco suo in persona ma con il tocco in generale, che sia una malattia che l’uomo nasconde. No, non può essere, non può nemmeno pensare di rimanere senza il suo maestro, senza la sua guida.
    Allontana in dito, nuovamente, e l’effetto, come d’incanto, scopare.
    E’ lei, che sia davvero lei? E’ possibile?
    Non capisce, non riesce a capire, non se ne capacita… cosa può provocare una cosa simile? Perché è il tocco a provocarlo e non altro? Perché non può credere che sia un caso il fatto che sia stato il contatto tra di loro a provocarlo.

    “Non capisco… cosa può essere? Perché ogni volta che vi sfioro….”

    Lascia le parole a metà mentre inizia a sospettare, ad avere qualche dubbio… che sia il demone? Lei si sforza di non pensarci, di non far minimamente caso alla cosa, di scordare cos’hanno fatto. Si fida di lui, ciecamente, non ha nessun dubbio sulla bontà e sulla buona fede che ha portato l’uomo a compiere delle azioni… ma quello la spaventa. La spaventa perché potrebbero beccarli, perché potrebbero scoprire e, qualche malpensante invidioso, potrebbe non capire che tutto ciò che loro hanno fatto è stato solo ed esclusivamente per il bene del regno.




    MKomJ0p




    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Di qualsiasi cosa si fosse trattato, adesso era passato. Lo vedeva Geraryn attraverso il riflesso distorto nella lama del coltello, lo disse Elianor con voce incerta. Da come vibrò il suo tono, era difficile dire se fosse più sconvolta da quel misterioso fenomeno o dal fatto che ora non aveva lasciato più tracce.
    Da parte sua, il mago non provava l'apprensione della sua apprendista, ma non poteva dirsi completamente sereno. Immaginava che qualcosa sarebbe successo, già sentiva che la sua anima era cambiata, e se qualche mutamento doveva riverberarsi anche sul suo corpo non era un problema. Cos'era la caducità di un organismo in nome del potere più oscuro che poteva esistere?
    La lieve ambascia in cui era caduto il Primo Incantatore era la normale ansietà che chiunque avrebbe potuto provare di fronte all'ignoto. Lui ed Elianor stavano esplorando dei terreni completamente sconosciuti, ambiti della magia un cui mai nessuno si era spinto prima. La mente di Geraryn non era completamente impreparata, aveva approfondito e studiato quel che poteva, e il suo intelletto era uno strumento più fine di quello di tanti altri. Tuttavia al momento Geraryn poteva solo fare delle ipotesi. Ipotesi che andavano tutte verificate, possibilmente prima di trovarsi faccia a faccia con l'Imperatore Miach Cadash.
    Elianor lo fissava con attenzione, gli occhi solitamente azzurri ed espressivi ridotti a due fessure dubbiose, come se si aspettasse da un momento all'altro di vedere il volto del maestro mutare ancora. Poi, pian piano, tese una mano pallina e appoggiò le dita fresche sulla guancia dell'uomo. L'effetto fu immediato: Geraryn sentì di nuovo un formicolio intorno agli occhi, concentrato sugli zigomi. Elianor sgranò gli occhi, sembrava quasi spaventata, e ritrasse la mano come se si fosse scottata. Il mutamento della sua espressione suggerì al mago che di nuovo la mutazione era sparita.
    "Non capisco... Cosa può essere? Perché ogni volta che vi sfioro..." balbettò confusa.
    Geraryn invece stava iniziando a capire o, quanto meno, a farsi un'idea.
    "Hai detto bene, Elianor" la lodò, "succede quando siamo in contatto. Questo perché ormai siamo più legati di quanto tu possa pensare..."
    Lo erano già da prima, certo. Geraryn l'aveva accolta, le aveva insegnato, aveva suggerito a Miach di richiedere la sua presenza a Virycas per averla con sé. Ma tutto ciò non era niente, niente, a confronto con ciò che stavano condividendo adesso. Un legame ancora più forte, che superava le loro vite umane e si perdeva tra le leggi della magia.
    "E' stato per via dell'ultimo esperimento" continuò, dando voce senza saperlo ai timori della ragazza. "E' il potere del demone, sì. E' quello ad avere un simile effetto su di me, e tu sei la chiave. Entrambi siamo venuti a contatto con quella creatura, ma tu ti sei limitata a richiamarlo con la magia del sangue mentre io l'ho catturato. Per questo la mutazione affligge me e non te. Ma si verifica quando mi tocchi perché sei tu che risvegli il potere dentro di me. Tu, l'altra persona che è entrata in contatto col demone. Capisci?"
    Si trattava sempre di ipotesi, ma questa volta con basi più salde.
    Geraryn prese la mano di Elianor e la riportò sul suo volto, sapendo che anche questa volta i suoi occhi sarebbero cambiati.
    "Non fa alcun male, guarda..."

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    Elianor da Mirarius - ©




    “.. non dubito del dolore…”

    Le parole della ragazza sono ancora esitanti, quasi perplesse. Sta capendo, soprattutto da quando lui gliel’ha spiegato deve ammetterlo, ciò che sta succedendo solo che, in qualche modo, non riesce a capacitarsene. Come può avere conseguenze così gravi? Certo, hanno fatto una grande magia, una magia che spaventerebbe chiunque non fosse il suo maestro, il suo mentore, del resto lui è l’unico abbastanza saggio, abbastanza buono, abbastanza competente, da fare una cosa simile senza correre rischi. Però quel fatto la spaventa, anche nella fiducia, cieca, che prova quella reazione le fa paura, la fa riflettere su ciò che hanno fatto, sulla grandezza del loro gesto… e sulle conseguenze. Se qualcuno li avesse scoperto? Se fosse venuto fuori ciò che aveva fatto? Nessuno avrebbe potuto comprendere l’importanza di ciò che era stato fatto, della necessità che il bene aveva di quelle azioni, si sarebbero limitati a giudicare, a trovare un modo per eliminarli… che il suo maestro avrebbe senza nessun dubbio e nessun problema risolto obbligando però entrambi alla latitanza, a scappare da casa loro, a non potersi più rendere utili per gli altri penalizzando così l’intero impero.
    Leggermente esitante sposta, nuovamente, la mano dal viso dell’uomo osservando, come previsto, il fenomeno scomparire in pochi attimi.
    Senza pensarci più di tanto prende la manica del vestito e se la porta oltre le mani ponendo così della stoffa tra la propria pelle e quella del maestro per poi riposargli la mano sul viso.

    “Dobbiamo stare attenti… se così funziona andrò in città a comperare della stoffa per farmi dei guanti, così risolveremo il problema. Ovviamente starò attenta ma se mi capitasse per sbaglio di sfiorarvi sarebbe una tragedia, dovreste spiegare molte cose all’imperatore che magari non capirebbe e….”

    Lascia cadere la frase rendendosi conto che, in effetti, è improbabile che l’imperatore capisca alcunché. Non che lei lo conosca più di tanto ma, per qualche motivo, l’uomo non le pare esattamente geniale, soprattutto per quanto riguarda il loro campo.

    “In qualsiasi caso… pensavo di andare a fare un giro in città nel pomeriggio… ci sono gli orfani che abitano al limitare, vicino alle mura, che non vedo da molto tempo… mi dispiace e non vorrei che si sentissero abbandonati, vorrei anche portargli qualcosa da mangiare se riesco e, in tal caso, ne approfitterò per andare a prendere la stoffa….”

    Sta parlando a lui ma, in realtà, il discorso è estremamente fine a sé stesso, senza particolari scopi, o meglio, con l’intenzione di comunicarglielo in modo che lui possa decidere di negarle la possibilità in caso non voglia.




    MKomJ0p




    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Solo gradualmente le risposte iniziavano ad affiorare nella mente del Primo Incantatore di Vyricas. Sapeva che lui e la sua protetta si erano infilati in un terreno inesplorato, ma se lo avesse immaginato come una landa piatta e spoglia avrebbe sbagliato in pieno. Si trattava di uno spazio sconosciuto fatto di valli e monti, foreste e grotte, insenature e anfratti; ogni centimetro di quel nuovo mondo portava con sé novità incalcolabili e ci sarebbe voluto del tempo prima di riuscire a individuarle tutte.
    Quello di Geraryn era stato un azzardo. Si era spinto dove nessun altro era stato, nell'ignoto. Non lo aveva certo fatto disarmato e sguarnito, il sapere magico dell'incantatore era notevole e l'ambizione ancor più sfrenata. Eraano stati questi i principali strumenti che aveva portato con sé nel vuoto.
    Insieme ad Elianor, ovviamente. La ragazza era stata essenziale, senza di lei non sarebbe riuscito in quello che invece ha fatto. Era stata un'esca, una docile collaboratrice, una sollecita apprendista. Geraryn non si sarebbe azzardato a compiere una magia del sangue: si era spinto sì nell'ignoto, ma non completamente privo di senno. Aveva infatti indotto la sua protetta a compiere quel rischioso incantesimo, le cui tracce erano su entrambi, anche se invisibili.
    L'esperimento era stato di successo, Geraryn aveva imbrigliato il potere del demone, ma sul suo viso si manifestava qualcosa che non aveva previsto. Che non avrebbe potuto prevedere: l'ignoto, ciò che è sconosciuto.
    Elianor sembrava più spaventata di lui. Il Primo Incantatore non temeva, sapeva che quelle tracce intorno agli occhi non erano permanenti. Se lo fossero state, avrebbe dovuto giustificarle e sarebbe stato un problema. Ma a quanto pareva si manifestavano solo quando Elianor lo toccava o lui toccavaa lei. Bastava evitare il contatto fisico quando erano in pubblico, e non era poi difficile.
    "Staremo attenti" le disse, tentando di tranquillizzarla usando il tono della voce.
    Le sorrise persino, usando il suo sguardo per concederle una carezza che non le avrebbe donato con un contatto fisico che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto evitare.
    "E i guanti sono un'ottima idea" approvò. Se ci fosse stata della stoffa a separarli, a proteggerli anche dai contatti occasionali, non avrebbero avuto alcun problema.
    Elianor proseguì, dicendo che aveva in mente di visitare gli orfani che vivevano al limitare di Virycas.
    Semplice, dolce, ingenua bambina. Aveva sempre un pensiero per i più sfortunati. Anche se Geraryn era un guaritore come lei, non commetteva lo stesso errore di interessarsi a chi non gli poteva dare nulla. Tuttavia una visita insieme alla sua protetta sarebbe stata utile a rinsaldare il loro legame. Non che fosse stato messo a dura prova dalla cattura del demone: fin dall'inizio Elianor aveva mostrato cieca fedeltà in lui. Ma Geraryn sapeva quello che faceva, e un piccolo e banale gesto sarebbe stato come malta per loro Se c'era una cosa che voleva, era che lei non gli si allontanasse mai, e restasse sempre l'assistente fedele che aveva usato il suo sangue pur di compiacere il suo maestro.
    "Mi sembra una splendida idea" disse a quel punto il Primo Incantatore, alzandosi. "Verrò con te. Quegli orfani hanno bisogno di noi."

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  11. .

    Lavellan of Bluegrass
    « I SEE SKIES OF BLUE, AND CLOUDS OF WHITE. THE BRIGHT BLESSED DAY, THE DARK SACRED NIGHT. AND I THINK TO MYSELF, WHAT A WONDERFUL WORLD. »
    Da quando Ewant era partito, Lavellan non aveva fatto altro che attendere il suo ritorno, anche se una parte di lei si era indurita come ghiaccio, per proteggersi dal dolore causato della sua lontananza e dalla prospettiva, piuttosto certa, che non avrebbe più fatto ritorno.
    Una donna intelligente se ne sarebbe andata, avrebbe lasciato quella casetta e avrebbe trovato un altro posto in cui dimorare. Ma Lavellan si rifiutava piuttosto ardentemente di agire come una donna intelligente.
    Voleva credere che il mondo non fosse così terrificante come le si era dispiegato davanti in quegli anni. Voleva credere che si fosse ancora un certo romanticismo in ciò che la circondava, come in quei libri che leggeva di nascosto in accademia, e che parlavano di un tipo di magia ben diverso da quella che studiava.
    Ewant poteva fare ritorno, per stare con lei, perché l'amava, perché si appartenevano e si erano trovati nel più inaspettato dei modi…
    Ma era anche vero che il cavaliere poteva fare ritorno con intenti diversi da quelli che sperava. Poteva tornare per portarla via, al cospetto dell'Imperatore e di Geraryn, in modo che la giustizia calasse sulla sua testa come sarebbe dovuto accadere da anni.
    Era colpa sua se i draghi si erano liberati, colpa sua e degli altri allievi, i suoi compagni, che avevano pagato con la vita le azioni di un uomo che poteva ancora condurre una vita alla luce del sole.
    Geraryn le aveva detto che l'avrebbe guidata e istruita, come suo maestro.
    Ewant le aveva detto che sarebbe tornato.
    Ma non puoi fidarti delle parole di un uomo.
    Il vento, quella notte, spirava quasi con dolcezza, facendo frusciare le foglioline blu degli alberi del bosco, illuminati dalla luna argentata.
    Lavellan se ne stava seduta sull'ampio davanzale della finestra, le gambe raccolte contro il petto e la fronte appoggiata contro il vetro.
    Guardava con occhio angosciato e triste il panorama innevato, triste e malinconico.
    Non c'era nessun rumore se non il suo respiro, il fruscio del vento e lo scricchiolare del fuoco nel caminetto, dove l'uovo di drago era ancora adagiato, costringendo Lavellan a pensare che mai si sarebbe schiuso.
    Aveva atteso con pazienza, ogni giorno, non aveva mai permesso che soffrisse il freddo, ma forse quell'uovo non rappresentava nulla, se non il tentativo fallito del drago femmina di mettere al mondo qualcosa. Qualcosa che non era destinato a quel mondo.
    Forse i draghi doveva estinguersi ormai, forse l'uovo non le era stato affidato da una creatura coscienziosa, ma piuttosto quella creatura lo aveva gettato via e Lavellan si era convinta a raccoglierlo e curarlo.
    Stava pensando a quelle cose, quando notò, con la coda dell'occhio, un movimento nel folto del bosco.
    Vide distintamente una sagoma scura, ben piazzata,il profilo delle spalle e delle braccia così familiari.
    Scese dal davanzale della finestra, il cuore che le batteva forte nel petto e l'innocenza di una ragazzina innamorata, che i più avrebbero potuto a ragione definire stolta.
    Uscì dalla propria capanna, senza voltarsi, camminando nella neve.
    « Sei tornato. » la voce incredula ma intrisa di una dolcezza sconfinata, vibrante della ferrea convinzione che Ewant Dayne fosse tornato per lei.
    elfa incantatrice
    28 anni
    fuggitiva
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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn non aveva smesso di pensare a Lavellan fin dal loro incontro inaspettato.
    Si poteva dire che le loro strade si erano incrociate casualmente, dal momento non avevano preventivato di incontrarsi, né avrebbero potuto prevedere di trovarsi al mercato di Virycas. Lavellan era costretta a nascondersi sin da quando aveva scelto di fuggire per avere salva la vita, e lo stesso Geraryn raramente si recava al mercato per fare incetta di erbe mediche, preferendo mandare i suoi apprendisti.
    Ma l'evenienza che aveva portato nuovamente l'uno sul cammino dell'altra era stata troppo straordinaria perché potesse parlarsi di caso. Dopotutto, esisteva davvero? Il fato, il destino, la fatalità? O i loro destini erano sottilmente legati in una trama che ancora non potevano conoscere, ma che mano a mano si srotolava sotto ai loro occhi?
    Gli adoratori di Ivenar e Neph avrebbero condotto ogni cosa al volere degli dei. Geraryn non apparteneva a quella massa di creduloni che si affidava a preghiere per costruire il proprio successo, in quanto era convinto del fatto che andasse costruito con le proprie sole forze, e che confidare in esseri immaginari fosse pura follia. D'altra parte si era però convinto che le cose accadevano per un motivo, e così doveva essere stato per il suo incontro con Lavellan.
    Quando lei aveva lasciato il palazzo, sfuggendo a una certa condanna di morte, il loro rapporto si era interrotto. Non avrebbero dovuto vedersi mai più. E invece.
    Un mese addietro, Geraryn aveva incontrato una Lavellan diversa, non più l'elfa ingenua e insicura, ma più consapevole di sé stessa. Era accaduta quindi una cosa piuttosto rara: il mago aveva realizzato di aver commesso un errore. Non succedeva mai, ma con Lav era successo. Si era accorto di aver avuto per le mani una piccola gemma e di averla gettata via.
    Il pensiero dei draghi non aveva abbandonato la sua mente per tutte quelle settimane. Quando li aveva liberati, lo aveva fatto con il preciso scopo di danneggiare Miach, ma non aveva immaginato che i draghi avrebbero cercato la sua apprendista.
    Per questo motivo, quando lei si era allontanata precipitosamente con l'ausilio della magia elfica, aveva deciso di seguirla. Non era stato affatto difficile per un incantatore con le sue doti, e Lavellan era stata troppo sconvolta per accorgersi che qualcuno era sulle sue tracce.
    Quasi contemporaneamente avevano iniziato a circolare delle voci su Ewant Dayne e sul suo nefasto incontro con dei draghi. Anche questo era stato un evento troppo peculiare per parlare di coincidenze.
    Geraryn aveva tentato diverse strade, ma non era mai riuscito a individuare quelle creature. Così aveva deciso di uscire allo scoperto.
    Quella di Lavellan era una capanna, più che una vera casa. Mentre il Primo Incantatore avanzava tra le fronde degli alberi, si riscoprì a riflettere su quanto era diventata misera la vita di quell'elfa, che dapprima poteva aggirarsi per le stanze del palazzo imperiale di Virycas, e ora doveva nascondersi come un ratto.
    La vegetazione si diradava e il freddo si faceva leggermente più pungente a ogni passo. Finché gli occhi del mago non individuarono una figura familiare.
    "Sei tornato" esalò la voce sorpresa di Lavellan.
    Geraryn si concesse un altro passo.
    "Non sapevo che mi stessi aspettando."
    Disgiunse le mani unite sotto le ampie maniche del pesante mantello che indossava e uscì allo scoperto.

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    Lavellan of Bluegrass
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    "Non sapevo che mi stessi aspettando."
    Una voce emersa dalle tenebre, così dissimile da quella che si aspettava di udire.
    Ma la conosceva bene... quella voce.
    Aveva animato sogni proibiti e incubi incontrollati, tormentando le notti di Lavellan dal momento in cui lo aveva guardato negli occhi la prima volta, raggiunta Virycas e aver osservato gli ampi soffitti dell'alto palazzo imperiale, prima che un uomo richiamasse la sua attenzione su di un individuo fermo di fronte a lei.
    Fermo di fronte a lei come in quel momento.
    Geraryn Alyon.
    Rimase in silenzio il tempo di riprendersi dalla sorpresa, provando a sedare la paura che sentiva montare dentro di sé.
    « No, infatti... » fu tutto quello che Lavellan ebbe da dire, restando ferma al suo posto, mentre la neve cadeva loro attorno, ed il silenzio regnava sovrano nella foresta.
    Non c'era nessuno lì, a parte loro due.
    I draghi non si facevano vedere da tempo, Eliza era lontana, Ewant non era più con lei...
    Era di nuovo da sola, di fronte al suo peggiore incubo.
    Ma non voleva scappare, follemente voleva fronteggiarlo quella volta.
    E' così che superi le tue paure più profonde, no? Le affronti, quando non hai scelta.
    « Che cosa vuoi, Geraryn? » il suo nome pronunciato con sprezzo, come si nomina qualcosa di ripugnante. Ma Geraryn avrebbe mai ammesso le sue intenzioni?
    La forza di quell'uomo stava nel non mostrare mai ciò che voleva davvero, oppure nel mostrarlo apertamente.
    « Sei da solo? » lanciò uno sguardo alle sue spalle, come se fosse capace di scrutare nel folto del bosco oscuro.
    Così come per le sue intenzioni, glielo avrebbe detto, se alle sue spalle si fosse trovato tutto l'esercito dell'Imperatore?
    Che arroganza, tutto l'esercito di Miach Cadash per lei? Una normalissima elfa che non aveva niente di speciale se non una gran fortuna. Ma prima o poi la fortuna finisce per tutti.
    Lavellan, in fondo, non era nessuno, bastava solo un uomo a farla vacillare, solo un uomo disposto a tradirla, solo un uomo a rovinare la sua vita, che avesse il volto di Geraryn o quello di Ewant… l'unico che sapeva dove abitasse.
    « Chi ti ha detto dove trovarmi? » la sua voce vibrava di un sentimento che difficilmente aveva esternato così chiaramente, o che le era appartenuto prima di allora: rabbia.
    Era stata Ewant a tradirla? Dopo quello che avevano condiviso? Aveva rivelato ad altri dove si nascondeva? Tendendole un'imboscata e consegnandola a l'uomo che le aveva rovinato la vita?
    Piccole vampe di fuoco sembrarono prender forma dalla sua pelle, nascendo dalle dita minute, avvampando per un breve istante, prima che Lavellan stringesse i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi delle mani, riprendendo il controllo di se stessa tramite il dolore auto inflitto.
    Erano passati più di vent'anni quando aveva affrontato, in quel medesimo posto, degli uomini malvagi, perdendo il controllo di se stessa e carbonizzando i loro corpi, bruciandoli così intensamente da non lasciare niente di loro, se non ossa bruciacchiate.
    Proprio come fanno i draghi.
    Ma Geraryn non avrebbe potuto ucciderlo.
    Non in quel modo.
    Nemmeno dopo tutto quello che aveva fatto.
    Non ne era ancora capace.
    Che la sua incapacità fosse dettata da un potere troppo debole per contrastare quello di Geraryn, o da quell'acerbo sentimento provato per lui tempo prima, non sapeva dirlo.
    elfa incantatrice
    28 anni
    fuggitiva
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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Poté quasi percepire le ombre dileguarsi dallo sfondo ocra della tunica che indossava, scivolare sul suo volto e mostrare, una volta per tutte, la sua espressione imperscrutabile. I suoi occhi piccoli e vigili erano fissi sulla figura longilinea e pallida di Lavellan, come quelli di un lupo che non ha intenzione di farsi sfuggire l'agnello che ha puntato. La sua voce però si rivelò carezzevole, e Geraryn impiegò un tono non dissimile da quello usato a Virycas per istruire la sua giovane allieva.
    Quanto tempo avevano trascorso insieme, nella capitale. Il Primo Incantatore ricordava perfettamente le lezioni di allora, quando spiegava ai suoi apprendisti come realizzare pozioni e unguenti che non avevano imparato a fare in Accademia. Geraryn parlava a tutti loro indistintamente, ma Lavellan era quella che gli stava più vicino, quella con lo sguardo più ansioso di imparare. Ed era verso di lei che il mago indirizzava spesso lo sguardo.
    Quante cose erano cambiate da allora. Se a Virycas l'elfa andava spesso a cercare il suo maestro, oggi se ne teneva ben alla larga e, quando lui si mostrò fintamente sorpreso del fatto che lei lo stesse aspettando, si affrettò a smentire quell'ipotesi. Ma lo fece con tono debole, quasi flebile. I suoi occhi erano ampi e sgranati, come se fossero troppo sorpresi di aver messo a fuoco un'apparizione così inaspettata.
    Ma la sorpresa non durò troppo a lungo. Lavellan riuscì a riaversi rapidamente, e le successive domande trasudarono una certa diffidenza. Non che Geraryn si aspettasse un benvenuto più caloroso.
    "Che cosa vuoi, Geraryn? Sei da solo?"
    Lavellan era pur sempre una fuggiasca e una reietta, comprensibile quindi che temesse che il Primo Incantatore avesse condotto da lei un'orda di guardie per imprigionarla. Fino a un mese prima, l'elfa aveva potuto contare su un certo vantaggio: nessuno sapeva dove si trovasse, agli occhi dell'Imperatore e dei suoi ausiliari poteva anche essere morta dopo essere fuggita dal castello. Invece aveva incrociato nuovamente Geraryn, e aveva scoperto le sue tracce.
    Il mago incurvò le labbra in un mezzo sorriso affilato.
    "Sono solo" confermò. Non rallentò la sua andatura, in cui già ogni falcata era perfettamente calcolata, né si fermò. "Non ti ho tradita."
    La sua voce celava le insidie peggiori. Durante il loro ultimo incontro, Lavellan lo aveva accusato di non essere degno di fiducia, ma in quel momento il guaritore la stava smentendo. Avrebbe potuto denunciarla alle guardie dell'Imperatore, ma non lo aveva fatto. Non per pietà o empatia nei confronti della sua vecchia allieva, sempre per un tornaconto personale: al momento non avrebbe tratto alcuna utilità se l'avesse fatta catturare e uccidere. E questo lei avrebbe anche potuto sospettarlo; tuttavia stava di fatto che avrebbe potuto farla imprigionare, ma aveva scelto di preservare la sua limitata libertà.
    "Chi ti ha detto dove trovarmi?" chiese ancora mentre la sua voce vibrava.
    Geraryn allargò il suo sorriso sibillino. Fu tentato di risponderle che era stata proprio lei a rivelargli dove trovarla, a guidarlo fino a quella capanna, almeno solo per osservare l'espressione che gli avrebbe rivolto di rimando Lavellan. Ma poi cambiò idea, scegliendo una risposta che si sarebbe rivelata ugualmente divertente. La domanda dell'elfa era stata troppo veemente per non tradire che temeva che un qualcuno in carne ed ossa avrebbe potuto tradirla. E Geraryn iniziava a farsi qualche vaghissima idea su chi fosse questo qualcuno.
    Le sue non erano che ipotesi azzardate, ma non importava. Era già da qualche settimana che aveva iniziato a sospettare che tra la sparizione di Ewant e la storia dei draghi di Lavellan esistesse un nesso. Non sapeva ancora di cosa si trattava, ma era comunque un sospetto sufficiente a indurlo a sondare il terreno.
    "Dovresti scegliere con più accuratezza le persone di cui fidarti" commentò, arrestandosi a breve distanza da lei. "I membri della guardia imperiale sanno essere fedeli solo all'imperatore."

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    Lavellan of Bluegrass
    « I SEE SKIES OF BLUE, AND CLOUDS OF WHITE. THE BRIGHT BLESSED DAY, THE DARK SACRED NIGHT. AND I THINK TO MYSELF, WHAT A WONDERFUL WORLD. »
    Lavellan era sempre stata una creatura calma e gentile, posata, senza troppe ambizioni, senza troppi desideri. Umile, quando quel termine significava qualcosa di basso e di poco conto, come ogni esponente della sua razza oramai.
    Lavellan, quando venne introdotta nell'ambiente dell'Accademia, sembrava completamente un'altra persona rispetto a quella bambina furiosa e disperata che aveva dato alle fiamme i corpi degli uomini che avevano ucciso i suoi genitori.
    Lo studio l'aveva cambiata, si era trasformata in una creatura mansueta e aveva preso tutto ciò che le era stato presentato, desiderando solo applicarsi al meglio nell'apprendimento.
    Era brava, brava e silenziosa, sempre con la testa chinata e i lunghi capelli argentati che nascondevano le sue orecchie a punta. Non perché se ne vergognasse, ma perché lasciandoli sciolti le riusciva bene celare il volto, e questo la faceva sentire al sicuro.
    Poi era cambiata di nuovo… molto più lentamente, un cambiamento che ancora non era visibile ma che l'aveva toccata nel profondo, un cambiamento basato sul tradimento e sulla fine della sua vita come la conosceva. Per la seconda volta.
    Tutto per causa dell'uomo che aveva davanti, per l'uomo che probabilmente avrebbe sancito un'altra frattura, un'altra scissione, dando inizio ad un nuovo capitolo della sua vita, oppure all'ultimo.
    Le labbra di Geraryn s'incurvarono in un sorriso, un sorriso che parve brillare di luce proprio, anche nell'ombra della notte.
    "Sono solo" le confermò, ma Lav avrebbe dovuto credergli?
    Serrò le labbra, scrutandolo e scrutando le ombre… sembrava solo, ma non avrebbe dovuto fidarsi, proprio perché non aveva mai saputo interpretare le sue parole o i suoi gesti, lasciando che ogni cosa che lo caratterizzava fosse avvolta in mistero affascinante.
    Il fascino era finito, ma il mistero restava e così l'imperscrutabilità delle intenzioni di Geraryn Alyon.
    "Non ti ho tradita."
    Non quella volta, forse, ma l'aveva fatto quando contava di più.
    « Sì che lo hai fatto. » rispose lei, con voce vibrante, distorta dall'emozione, rabbia e paura, un mixer indistinguibile che la rendeva scioccamente impavida.
    Quando Lav gli domandò chi gli avesse rivelato dove trovarla, il sorriso di Geraryn si allungò, e lei restò in attesa, osservandolo avvicinarsi.
    Forse non voleva sentire quello che aveva da dire.
    Forse non voleva sapere chi l'avesse smascherata e tradita, perché solo una persona poteva essere stata, ed era la persona più importante per lei.
    "Dovresti scegliere con più accuratezza le persone di cui fidarti" un commentò che la colpì come una pugnalata nel cuore "I membri della guardia imperiale sanno essere fedeli solo all'imperatore."
    Probabilmente Lavellan non riuscì a nascondere il suo dolore, un dolore che si riflesse nei suoi occhi violetti e distorse il suo viso.
    Era inconcepibile che Ewant l'avesse tradita, sembrava la cosa più assurda del mondo… lui era un uomo onorevole, un uomo buono, si erano amati nella sua piccola casetta, lui le aveva promesso di tornare, lei che lo avrebbe aspettato… ma Ewant era un uomo sposato, un uomo che aveva tradito sua moglie con lei… che onore c'era in quello?
    L'amore, si diceva, era solo una favola per bambini, non giustifica niente, non esiste davvero, ma Lav ci credeva ancora. Perché a qualcosa devi pur credere, se non vuoi impazzire.
    Ma… forse Ewant aveva davvero…
    Tutta la sua rabbia parve riversarsi su Geraryn, il suo sguardo di fuoco rivolto verso di lui, come se fosse colpa sua di tutto, anche se in verità aveva solo una parte della colpa, tante cose erano successe per una sua mancanza.
    « Non un altro passo, Geraryn. » sibilò, e a quell'avvertimento, la neve tra di loro parve protendersi verso l'alto, interponendosi tra i due con punte aguzze e acuminate, atte a dissuaderlo dall'avanzare, ma non abbastanza da spaventarlo, probabilmente.
    elfa incantatrice
    28 anni
    fuggitiva
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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    La neve turbinava piano, piccoli cristalli, residui dell'ultima bufera, che danzavano con calma, sospesi nell'aria. Piccoli boccioli di ghiaccio, frammenti di un sogno che non aveva alcuna voglia di atterrare.
    Allo stesso modo Geraryn avanzava, quasi pigramente. I suoi stivali affondavano nella neve senza produrre suoni diversi da un debolissimo fruscio, sembrava quasi che il mago scivolasse nella notte, allungandosi insieme alle ombre.
    Lavellan stava dritta davanti a lui, immobile come una statua di sale. Non un gesto aveva mosso nella sua direzione, ma il volto non era in grado di mantenere la stessa immobilità. Due volte aveva incontrato il vecchio maestro durante il suo esilio forzato, e due volte i suoi occhi avevano mostrato sorpresa e molto di più. La vista di Geraryn la spaventava, la faceva infuriare, ma nello stesso tempo non aveva la forza o la volontà di ribellarsi o allontanarlo.
    L'allieva era straordinariamente migliorata dai tempi delle loro lezioni a Virycas, eppure forse continuava a mantenere una debolezza.
    Debolezza che il Primo Incantatore non mancò di sfruttare.
    Era stato meschino e bugiardo: Ewant non lo aveva affatto attirato in quel luogo, e tuttavia le parole sibilline del mago lasciavano intendere tutto il contrario. Per un attimo Lavellan apparve stravolta, come se quella rivelazione l'avesse colpita più profondamente di quanto si aspettasse. Geraryn meditò tra sé e sé: il legame tra il vecchio comandante delle guardie e l'elfa era ora più chiaro. Le sue labbra sottili ebbero un guizzo di scontento.
    Non avrebbe potuto più accampare pretese su quella giovane dai capelli argentei che ora non era più la sua allieva prediletta, ma non era così che funzionava il cuore di Geraryn - o forse il buco nero che aveva al centro del petto. Considerava certi uomini e certe donne di sua proprietà: non avrebbe rinunciato a loro, non dopo aver esercitato una certa influenza su di essi. Né il tempo, né lo spazio, né un bruciante tradimento o tantomeno uno sciocco amore avrebbero potuto cambiare le cose.
    Dopo un primo momento di smarrimento, Lavellan parve ritrovare la parola.
    "Non un altro passo, Geraryn" gli ingiunse.
    Era cresciuta, sì, ma le mancava ancora la giusta autorità.
    Tuttavia il potere di Lavellan si era esteso, e si esibì facendo crescere delle piccole stalattiti di ghiaccio. Una barriera troppo blanda per Geraryn, che tuttavia si arrestò. Rivolse uno sguardo lezioso e indulgente all'elfa, concedendole qualche istante per guardarlo in viso, nonostante il cappuccio. Poi sollevò appena la mano e, a un gesto delle dita, le stalattiti si afflosciarono come fiori appassiti.
    Pur avendo eliminato gli ostacoli, però, non riprese la sua avanzata.
    "Ti preoccupi troppo" le disse. "Non sono qui per nuocerti. Sono solo curioso ."
    Spazzò con lo sguardo la distesa circostante e adocchiò la casetta alle spalle di Lavellan, poi tornò a guardare lei.
    "L'esilio ti dona."

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    Lavellan of Bluegrass
    « I SEE SKIES OF BLUE, AND CLOUDS OF WHITE. THE BRIGHT BLESSED DAY, THE DARK SACRED NIGHT. AND I THINK TO MYSELF, WHAT A WONDERFUL WORLD. »
    Quella riunione forzata, non avrebbe portato niente di buono.
    Lavellan lo sapeva benissimo, così come aveva sempre saputo che una volta compromessa la sua posizione, avrebbe dovuto abbandonare la sua casina accogliente e fuggire via, lontano.
    Magari al sud o nelle terre centrali, lontano dal nord comunque.
    Era difficile accettare di lasciare l'unico posto che si considerava casa propria, ma era anche inevitabile.
    Aveva ormai compromesso la sua posizione, come una stupida.
    Inoltre, come una codarda, sembrava che darsela a gambe, fosse l'unico modo che aveva di affrontare Geraryn.
    Così gettò uno sguardo alle proprie spalle, osservando la porta semiaperta della sua abitazione, e quel fuocherello che lento scoppiettava, vicino all'uomo di drago, crepato ma non ancora schiuso.
    Doveva fuggire, ma non poteva farlo lasciando lui.
    Geraryn ne avrebbe fatto cose orribili, senza dubbio, inoltre le era stato affidato e Lavellan se ne sarebbe presa cura a qualsiasi costo.
    Era tutto ciò che le rimaneva ormai.
    Intimò a Geraryn di non avvicinarsi oltre, lasciando che si creasse una barriera di ghiaccio tra di loro, anche se con un gesto della mano del Guaritore, quella barriera di cristalli di ghiaccio crollò in pochi secondi.
    Geraryn però non continuò a camminare verso di lei, rimase fermo al solito posto, con quella pacatezza e calma che erano capaci di farla infuriare più d'ogni altra cosa.
    "Ti preoccupi troppo" ecco cosa le disse, mentre Lav contraeva la mandibola, stringendo i denti "Non sono qui per nuocerti. Sono solo curioso ."
    « La tua sola esistenza è un pericolo Geraryn, hai fatto uccidere tutti i miei compagni. » gli rammentò con voce vibrante, stringendo le mani in due pugni « Non dire di starmi preoccupando troppo. » aggiunse infine, fissandolo negli occhi con rabbia.
    « Curioso di cosa? » domandò lei sprezzante, irrigidendosi quando il suo sguardo si puntò sulla sua casetta, dove si trovava probabilmente una delle cose che Geraryn desiderava di più.
    "L'esilio ti dona."
    « Grazie. » fu tutto quello che ebbe da dire, prima di agire, forse in maniera troppo avventata ma, sperava, almeno un po' imprevedibile.
    Le sue mani corsero verso l'alto, disegnando glifi invisibili nell'aria, poi distese le braccia e lasciò che il fuoco divampasse in direzione di Geraryn, sotto forma di palle incandescenti, che miravano proprio al Guaritore più importante e potente di tutta Virycas.
    A quel punto, Lavellan si voltò, sperando di avere abbastanza tempo per correre verso casa, chiudere la porta, afferrare l'uovo ed il mantello, per poi aprire un portare e saltarci dentro, come aveva fatto al mercato, tempo prima.
    Fuggire era l'unico modo in cui pensava di poter vincere Geraryn, perché di fronte a lui si sentiva ancora impallidire, ed ovviamente non possedeva la convinzione né la forza necessarie per avere la meglio su di lui.
    L'unica cosa sulla quale poteva fare affidamento, era il suo cuore a pezzi.
    Spezzato prima da Geraryn e poi da Ewant.
    Quella sofferenza, quei tradimenti, erano le uniche cose in grado di rendere i suoi incantesimi e la sua magia, più potenti.
    elfa incantatrice
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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn sapeva bene che Lavellan lo aveva conosciuto come persona, aveva visto il suo vero volto, e forse era l'unica ad averlo fatto fino a quel momento. Di conseguenza avrebbe potuto gettare via ogni maschera, ogni condotta costruita, ogni modo lezioso. Non doveva più nascondersi, perché non c'era più niente a scoprire. Poteva colpire, e colpire forte, come un drago che mostra apertamente le sue fauci. Come il drago che aveva trovato Lavellan e al quale il mago era così interessato.
    Invece, nonostante non ci fosse più la stretta necessità di mantenere un atteggiamento artefatto, Geraryn non vi rinunciò. Un po' perché era nella sua natura: fingeva così tanto, continuamente, che era difficile perdere un'abitudine così consolidata. D'altra parte era fortemente tentato dall'idea di mettere nuovamente alla prova Lavellan.
    La sua vecchia allieva era stata una scoperta, e lo stesso primo incantatore di Virycas si chiedeva se avesse rivelato tutto quello che poteva di lei. La risposta era sicuramente negativa, perché non era ancora riuscito a svelare il mistero dei draghi, né lei sembrava voler collaborare e rivelarglielo spontaneamente. Eppure Geraryn non aveva bisogno del suo aiuto: sapeva che poteva arrivare alla soluzione del mistero senza che lei facesse nulla. Non aveva bisogno che si confidasse, ma Lavellan non poteva nemmeno tenergli nascosti certi segreti troppo a lungo. Geraryn avrebbe utilizzato tutte le doti e gli strumenti che aveva a disposizione, e sapeva che un approccio troppo diretto o aggressivo non sarebbe servito a nulla.
    C'era poi qualcosa di più recondito, di cui il mago era solo vagamente consapevole. L'elfa aveva nutrito nei suoi confronti un'affezione e una stima che lui aveva creduto smisurate, e forse un tempo lo erano state davvero. Adesso qualcosa era cambiato, tuttavia Geraryn confidava così tanto in se stesso da credere che sarebbe riuscito a ripristinare, se non la fiducia, almeno la soggezione che la ragazza nutriva nei suoi confronti. E i fatti stessi confermavano quell'intuizione perché, fin dal loro primo incontro dopo il disastro a corte, Lavellan si era mostrata incerta e febbricitante, tesa e in difficoltà. Era stata la mera presenza del suo vecchio maestro a mutarla così profondamente. Lei lo chiamava traditore, lo chiamava pericolo, eppure era ancora lì, di fronte a lui, incapace di sostenere il suo sguardo.
    Per molto tempo non si era accorta di che genere di uomo fosse, e non perché fosse stata cieca, ma perché lui era stato abbastanza abile da mentire in modo convincente a lei come a tutti gli altri. Per molto tempo lei era stata una marionetta nelle sue mani, e ora Geraryn sentiva la mancanza di quella marionetta. Tirare i fili, muovere le cose, era ciò che preferiva, ed era difficile rinunciare di farlo proprio con lei. Così - e forse fu questo il suo errore - Geraryn non rinunciò affatto.
    "Curioso di cosa?" domandò lei irrigidendosi.
    Le labbra dell'uomo si piegarono in un sorriso da serpente.
    "Ma di vedere i draghi" replicò allargando le braccia.
    Lo sguardo del mago non era puntato verso l'elfa, ma al contrario setacciava la zona alla ricerca dell'impronta di una zampa o del segno di un artiglio. Nel vagare in quel modo si concentrò sulla casetta che si trovava alle spalle di Lavellan, e in particolare sull'apertura illuminata: accorrendo fuori, la ragazza aveva lasciato la porta aperta. Da quella distanza Geraryn poté vedere lo scoppiettare di un fuoco nel camino; le fiamme illuminavano l'interno della piccola abitazione, e in controluce apparve un oggetto...
    Non può essere.
    Il sorriso di Geraryn si richiuse e le sue pupille si dilatarono.
    Oblungo, largo una spanna, un uovo di drago era appoggiato vicino al fuoco. Non poteva sbagliarsi, era certo di cosa aveva visto.
    Quella visione inaspettata cambiava tutto. Ma, più nell'immediato, lo distrasse: si accorse delle palle di fuoco scagliate da Lavellan quando già fendevano l'aria sibilando. Sollevò una mano per tracciare il sigillo di un incantesimo protettivo che all'ultimo riuscì a deviarle, respingendole al mittente. Una atterrò vicino ai piedi dell'elfa, ma le altre furono spedite più lontano. Impattarono contro le travi di legno della capanna e la paglia del tetto; subito le fiamme si estesero e vomitarono scintille, iniziando a inglobare la struttura nello stesso momento in cui Lavellan di corsa raggiunse la porta.
    A quel punto anche Geraryn scattò in avanti, verso le fiamme, per raggiungere la ragazza: lì dentro c'era l'uovo, e non aveva nessuna intenzione di lasciarglielo.

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    Lavellan of Bluegrass
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    "Ma di vedere i draghi"
    I draghi.
    Sempre i draghi.
    Ecco l'unica cosa che era capace di attirare l'attenzione di Geraryn: i draghi.
    Se Lavellan fosse stata uno di loro, probabilmente l'uomo le avrebbe dato l'attenzione che voleva, o se anche solo avesse dimostrato di avere con quelle creature, una capacità di interazione.
    Forse molte cose sarebbero andate diversamente, forse Geraryn l'avrebbe baciata per conquistarsi la sua fiducia, facendole credere di essere importante quando voleva solo sfruttarla… Come stava accadendo ad un'altra apprendista che non era lei. Sebbene al momento non potesse saperlo.
    E alla Lavellan di una volta sarebbe andato bene.
    Tutto quello che voleva era Geraryn, era sempre stato lui.
    L'osservava timidamente, restando a debita distanza da lui, nei lunghi corridoi del palazzo di Virycas, credendo di non essere vista, e sognava storie sul loro conto,c onvinta che prima o poi l'avrebbe notata e forse, anche amata.
    Il suo intero mondo era dovuto collassare, per far sì che il primo incantatore più importante di Aslya, la notasse.
    E ormai non le importava più delle sue attenzioni… almeno non come una volta.
    Ma non avrebbe potuto affrontarlo apertamente in un combattimento, né per salvarsi né per vendicarsi, avrebbe dovuto solo fuggire e fu quello che cercò di fare, lanciando contro di lui delle palle di fuoco, che però non ebbero l'effetto desiderato.
    Geraryn le respinse, dopo che i suoi occhi ebbero vagato, per un attimo, alle spalle di Lavellan, intercettando l'oggetto che più di tutti bramava.
    Alcuni di esse, raggiungendo la casupola dell'elfa, andarono a incendiare le travi della piccola capanna.
    Lav, vedendo Geraryn avvicinarsi a lei, si precipitò al suo intero, sebbene non avesse ancora realizzato che voleva derubarla.
    Ma cos'altro mai poteva volere, se non il suo uovo, in bella mostra davanti alle fiamme?
    Lo prese in mano quindi, con forza, visto quant'era duro il guscio, come una pietra, senza paura di romperlo, ma proprio quando fu pronta ad aprire un portale, l'uovo le si sgretolò tra le mani.
    Il guscio cadde a pezzi, sembrò quasi esplodere, come velina sottile e fragile.
    Una piccola porzione di magia venne rilasciata sotto forma di scintille di fuoco, creando delle vibrazioni attorno a sé, come quelle causate da un sassolino che impatta contro l'acqua immobile di uno stagno, e inondando Geraryn e Lavellan.
    Per poco, le si mozzò il respiro, avvertendo la vibrante e forte magia inondarla. Fu inebriante.
    L'elfa chiuse gli occhi, sentendo qualcosa di caldo e ruvido sulle mani, che emise un piccolo verso, appena udibile.
    Quando li riaprì vide la cosa più bella del mondo davanti ai suoi occhi… un piccolo drago dalle scagli scure che la guardava con interesse, allungandosi subito verso di lei, accarezzandole la pelle con le piccole unghiette, per andare poi ad acciambellarsi attorno al suo collo, attorcigliandovi la coda, come se avesse compreso di doversi tenere saldamente.
    Nemmeno il tempo di metabolizzare ciò che era appena successo (tanta attesa, e poi l'uovo si schiudeva in un momento del genere) che Lav dovette subito tornare a ragionare lucidamente, senza indugi.
    Il cucciolo di drago, grande poco più di un gattino, volse poi gli occhietti color cremisi verso la porta, osservando l'uomo che si stava avvicinando, mentre Lavellan apriva un portale davanti a lei, la destinazione incerta, mentre la casa veniva arsa dalle fiamme e una trave, cadeva davanti alla porta, bloccandone l'entrata.
    elfa incantatrice
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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn vide gli occhi spalancati di Lavellan riflettere il bagliore dell'incendio. Le lingue di fuoco crescevano sempre più, contorcendosi e sibilando, gettando tutt'intorno scintille incandescenti. Il fumo si elevava in torri nere verso il cielo d'inverno e presto avrebbe avvolto la capanna di legno come una tenda a lutto.
    Il mago non aveva voluto distruggere l'abitazione dell'elfa: non era stato nelle sue primarie intenzioni. Non le avrebbe torto un solo capello, non sentiva affatto il bisogno di farle del male. Non se lei fosse stata mansueta e collaborativa come era sempre stata finché aveva vissuto a Virycas. Perché tanta indulgenza nei suoi confronti? Perché Geraryn non era un amante della violenza gratuita, non era un sadico o un depravato, e se non aveva motivo non usava la magia - o altri mezzi più umani - per ferire. Ma anche in memoria dei tempi passati, in un certo senso. Lavellan era stata sotto la sua ala e lui l'aveva accolta e istruita, dedicandole tutta l'attenzione che un maestro avrebbe potuto darle. Era in parte consapevole dell'ammirazione che lei nutriva per il Primo Incantatore, e di essa si era nutrito come un nettare. Era stata proprio quell'ammirazione a renderla speciale.
    Ma la Lavellan che si trovava davanti non era più quella fanciulla semplice e fiduciosa. Era una giovane donna che, pur avendo esitato prima di attaccarlo, alla fine lo aveva fatto. Non si era mostrata però pericolosa per nessuno tranne che per se stessa: il mago era stato in grado di proteggersi dal suo incantesimo e lo aveva rivolto contro di lei. Se Lavellan non avesse scagliato quelle palle di fuoco, lui non avrebbe pensato di incendiare la sua capanna. Non lo aveva voluto fino all'ultimo secondo, ma era stata la traiettoria di quelle sfere incandescenti a decidere per lui. Al punto in cui erano arrivati, che importava se la casa dell'elfa bruciava? Peggio per lei che aveva anche solo pensato di poterlo contrastare.
    Geraryn si mosse in tutta fretta, al momento il suo obiettivo principale era un altro e la ragazza era esclusivamente un intoppo.
    L'uovo di drago si trovava ancora dove l'aveva visto, e a stento il Primo Incantatore riusciva a credere ai suoi occhi. Ricordava tutte le cronache che aveva letto, i tomi che aveva letto sull'Egros, gli interi volumi sulla razza dei draghi. Era quasi impossibile trovarsi di fronte a una covata, anche se si trattava di un solo uovo. Non poteva assolutamente lasciarselo sfuggire.
    Ma la posizione in cui si trovava giocò a suo sfavore. Per quanto rapidamente tentasse di avanzare, Lavellan era più vicina. Inoltre aveva compreso in fretta le sue intenzioni, anche perché Geraryn, preso da una nuova smania di fronte alla vista dell'uovo, non si era premurato di nasconderle.
    Tese un braccio per agguantare lei o l'uovo, ma l'elfa era già riuscita a raggiungere quest'ultimo e lo teneva sulla punta delle dita. Fu questione di un attimo, Geraryn neanche sentì il suono del guscio che si rompeva a causa del ruggire dell'incendio. Si sgretolò come se fosse stato d'argilla, sprigionando scintille e vibrazioni, rivelando poi un piccolo drago.
    Il mago sbatté le palpebre, e non solo a causa del calore del fuoco che gli faceva lacrimare gli occhi. Rimase per un attimo trasecolato, ma fu un attimo di troppo. Lavellan mosse in fretta le mani, aprì un portale e sparì, lasciando il Primo Incantatore da solo in mezzo alle fiamme.

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  12. .


    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    Non era infrequente che il Primo Incantatore di Virycas lasciasse le auree sale del castello, sede del potere dell'Imperatore, per aggirarsi nelle strade della città e anche oltre. Gli interessi e le occupazioni del mago infatti non si esaurivano nel ristretto confine determinato dagli incarichi assegnatigli da Miach Cadash; quelle, al contrario, erano le incombenze alle quali Geraryn riservava il minor spazio nella sua mente. E pur tuttavia era sempre impeccabile in quel che faceva, non dando mai all'Imperatore motivo di lamentarsi di lui, al contrario.
    Dopo essersi dedicato agli impegni più urgenti per conto di Miach quel mattino, il mago aveva lasciato il castello per addentrarsi nelle vie della Capitale. I suoi piedi non calcavano solo pregiati pavimenti e vie rispettabili, ma anche acciottolati ben più equivoci e sporchi: Geraryn non disdegnava ambienti meno raffinati rispetto a quelli a cui era abituata la famiglia reale e, prima ancora, lo avevano abituato gli Alyon. Non escludeva di mescolarsi nel torbido quando ciò serviva per i suoi interessi, anzi per certi versi nel torbido si pescava meglio. Non a caso, era lì che i poteri più oscuri e irresistibili affondavano le loro radici.
    Geraryn infilò una mano nella piccola bisaccia che a volte portava legata alla sua cintura, affidandosi al tatto per appurare l'entità delle sue scorte. Aveva bisogno di aconito, mandragora e possibilmente feainnewedd, ma era quasi impossibile da trovare. Come per qualsiasi branca della magia, il punto focale non era cosa gli serviva, bensì per quale scopo. Nessuno veniva reso partecipe delle finalità del mago, né la famiglia reale, nemmeno Elianor, e probabilmente nessuno sapeva con precisione dove il Primo Incantatore stesse andando, sebbene non fosse nemmeno un segreto. Nemmeno i maghi che avevano vissuto al castello prima della fuga dei draghi erano stati più partecipi delle intenzioni di Geraryn, Lavellan compresa.
    Erano trascorsi due anni da quando la sua vecchia allieva era sparita; era stata una pedina che l'uomo non aveva esitato a sacrificare quando era arrivato il momento di scegliere tra lui e lei. Tuttavia Lavellan aveva avuto fortuna ed era scampata alla morte e Geraryn aveva reagito come faceva sempre di fronte a situazioni del genere: l'aveva sostituita. Lei ed Elianor non erano così diverse, sotto certi punti di vista. Così pateticamente buone, così squisitamente malleabili. Eppure adesso Lavellan doveva aver intuito più di quanto la sua sostituta sapesse sul conto del maestro.
    La zona del mercato in cui si era infilato Geraryn era un agglomerato di banchetti e tende addossati gli uni agli altri, che crescevano intorno ai muri diroccati delle abitazioni più povere come funghi intorno al tronco di un albero. Si trattava di una zona periferica della città, così lontana dai centri del potere nell'aspetto, abitata da esemplari umani dagli istinti più bassi così radicati da essere evidenti nello sguardo nelle movenze, nella parlata sguaiata. Donne anziane da capo coperto cercavano di richiamare possibili clienti, uomini corpulenti caricavano e scaricavano dei sacchi su alcuni carri. Era un commercio più o meno legale che nascondeva, sottobanco, anche merci meno apprezzate dall'Imperatore, ma era lì che doveva andare Geraryn.
    Non impiegò molto tempo per fare i suoi acquisti; trovò la mandragora e l'aconito, non i feainnewedd, come aveva temuto. Ma trovò anche qualcos'altro.
    Non badò subito alla figura avvolta in un pesante mantello, con un cappuccio tirato sugli occhi a nascondere il capo e parzialmente il volto, tuttavia almeno un paio di volte lo sguardo del mago cadde su di essa. La figura in questione celava abbastanza bene il suo aspetto, eppure Geraryn sentì una qualche affinità con essa, una sorta di legame. Ella contrattava a bassa voce con un uomo ricurvo, poi prese qualcosa e arretrò in fretta.
    Allontanatasi appena dal mercato, però, trovò il Primo Incantatore a sbarrarle la strada.
    "Ciao Lavellan" la salutò.

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    Lavellan di Bluegrass
    « I WILL ANSWER INJUSTICE WITH JUSTICE. »
    elfa e maga
    28 anni
    fuggitiva e ricercata



    Lavellan non aveva mai rischiato così tanto come quel giorno.
    I sentimenti fanno fare passi falsi, era risaputo, ma Lav non ci pensò due volte ad approfittare del sonno di Ewant e allontanarsi brevemente da lui, avventurandosi nel folto del bosco prima di aprire un portale violetto e sparire al suo interno. Sbucò in una vecchia casa abbandonata che la giovane aveva iniziato ad usare come uscita dei propri portali da quasi un anno ormai. Le porte e le finestre erano sbarrate, così che nessuno vi potesse entrare e scoprirla, anche se Lavellan sapeva quale asse spingere per poter uscire.
    Calatosi il il cappuccio del mantello sul viso, si apprestò ad uscire, andando dai mercanti d'erba alla ricerca di determinate piante che a Bluegrass erano irreperibili purtroppo.
    Usò quei pochi soldi che aveva per acquistare qualche radice e seme, infilandoli poi nella sacca che aveva legata in vita, continuando a camminare a capo chino per quelle viuzze oscure e poco frequentate dalle guardie, per sua fortuna.
    Scambiò e comperò tutto quello di cui aveva bisogno, molto velocemente come era solita fare. Scostatasi infine da un mercante con la gobba, che se ne stava ricurvo in avanti sul suo banchettino, dopo l'acquisto dell'ultima radice che le serviva, Lavellan si voltò pronta a tornare sui suoi passi, arretrando e trafficando con la borsa, gli occhi bassi e la difesa abbassata, tanto che non si accorse della presenza di un uomo (e non un uomo qualunque) a sbarrare la strada, almeno non finché lui non parlò, salutandola.
    "Ciao Lavellan"
    Gli occhi violetti della giovane scattarono subito sul suo viso, spalancati e allarmati, mentre lei si pietrificava sul posto, boccheggiando.
    « Tu. » l'unico suonò che uscì dalle sue labbra tremolanti, la voce spezzata e gli occhi che si riempirono quasi subito di lacrime, lacrime non piante perché Lav era furiosa. Per quell'uomo, che aveva amato prima di scoprire che sotto la superficie si nascondeva una serpe strisciante, non avrebbe versato nemmeno una salata e solitaria lacrima. Non più.
    In quel momento avrebbe voluto fare tante cose, i sentimenti gliene gridavano alcune, mentre la razionalità si limitava a incitarle di correre via il più velocemente possibile e tornare al sicuro nel bosco di Bluegrass, tra la neve e gli alberi dalle foglie azzurre che le erano tanto cari.
    Tuttavia i suoi piedini erano diventati improvvisamente di piombo e la giovane elfa non riuscì a muovere un passo.
    Restò impalata davanti a lui, il cui nome si rifiutava di dire o anche solo di pensare, fissandolo negli occhi con astio e una marea di emozioni che provava con una tale intensità da sconvolgerla.
    « Come hai potuto..? »

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    Geraryn Kaecilius Alyon
    « THERE IS NO GOOD AND EVIL, THERE IS ONLY POWER...AND THOSE TOO WEAK TO SEEK IT. »
    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Era trascorso del tempo dall'ultima volta che aveva visto Lavellan, prima che quest'ultima riuscisse a guadagnarsi la sua via di fuga da Virycas, ma il suo trascorrere non l'aveva cambiata. L'ovale del suo viso era immutato, così come il taglio dei suoi occhi violetti; il cappuccio che indossava le celava in buona parte il capo, ma Geraryn indovinò che sotto lo strato di tessuto ci fosse la sua chioma chiarissima, probabilmente acconciata in pratiche trecce come quelle che a palazzo annodava dietro la nuca.
    Neanche il bagliore nelle sue pupille fu una novità. A dire il vero quasi mai Lavellan aveva rivolto al suo maestro un'espressione del genere, fatta di due occhi sgranati che trasudavano sorpresa e molto altro. Eppure Geraryn non poteva neanche dire di non averla mai vista in quel modo, perché quasi identico fu l'ultimo sguardo che gli rivolse prima di fuggire e riuscire a salvarsi.
    Dietro lo specchio delle iridi violacee non c'era solo sbigottimento, ma anche qualcosa di più profondo e atavico, qualcosa che si ancorava direttamente ai più reconditi anfratti dell'animo della maga, alle sensazioni e alle impressioni più antiche di uomini o elfi: paura, dolore, ribrezzo.
    Lavellan era stata un'apprendista intelligente. Geraryn non avrebbe mai ammesso di aver commesso l'errore di sottovalutarla, tuttavia la ragazza era stata l'unica a sfuggire alla condanna a morte, decretata dall'Imperatore, ma su suggerimento del Primo Incantatore. Inoltre era stata abbastanza arguta da comprendere - il mago gliel'aveva letto proprio in quell'espressione così antica - chi fosse il vero artefice dei disordini a Virycas.
    Forse Lavellan era l'unica persona che aveva visto oltre l'apparenza rispettabile e meritevole di stima del mago, l'unica che lo avesse visto per ciò che era davvero. O meglio, Geraryn pensava che avesse visto solo un frammento del suo vero modo di essere; gli era stata vicina per anni, ma mai avrebbe avuto il quadro completo del suo maestro, perché era un quadro troppo complicato. Tuttavia i più non avevano la percezione nemmeno di quel piccolo frammento, ed era ragguardevole che Lavellan fosse riuscita a fare tanto.
    Naturalmente per Geraryn sarebbe stato molto più pratico se fosse morta anche lei, così come tutti gli altri. Tuttavia il fatto che fosse riuscita a salvarsi non lo impensieriva troppo: era una reietta, bollata come la responsabile della liberazione dei draghi, e se anche la maga avesse tentato di accusare il suo maestro, sarebbe stata la sua parola contro quella del Primo Incantatore. Non era difficile prevedere a chi l'Imperatore e l'Impero avrebbero creduto.
    Così, ora che il mago si trovava davanti la sua vecchia allieva, si concesse persino di stirare le labbra in un sorriso rilassato. Sorrideva del tono vibrante che Lavellan aveva usato per apostrofarlo, come se la sua sola vista fosse troppo da sopportare. In fondo quella situazione lo divertiva.
    La giovane gli chiese, con la stessa voce fremente, come avesse potuto. Pur comprendendo perfettamente a cosa si riferiva, Geraryn si decise per non darle quel vantaggio.
    Mosse un paio di passi verso di lei, senza fretta, con la stessa espressione sorniona sul volto, e in un primo momento omise di rispondere alla sua domanda.
    "Non mi aspettavo di vederti. Non è prudente per una criminale fuggitiva circolare per Virycas quando una taglia pende sulla sua testa." Taglia che lui stesso si era preoccupato di mettere, ma sorvolò sul punto.
    "Come ho potuto?" domandò poi, allacciando le dita dietro la schiena. "Fare cosa?"

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    Lavellan di Bluegrass
    « I WILL ANSWER INJUSTICE WITH JUSTICE. »
    elfa e maga
    28 anni
    fuggitiva e ricercata



    "Non mi aspettavo di vederti. Non è prudente per una criminale fuggitiva circolare per Virycas quando una taglia pende sulla sua testa."
    « Non sono una criminale! » rispose Lavellan, le mani strette in due pugni e d'improvviso, una rabbia cieca ad assalirla.
    Non era mai stata una ragazza molto decisa. Avendo passato tutta la sua vita in accademia, timida e timorosa del mondo fuori e degli individui sicuri che lo abitavano, era rimasta docile, come un agnellino, incapace di ribellarsi, incapace di darsi un tono e di prendere una decisione o mantenere un punto fermo.
    Lavellan non era mai stata una ragazza dal carattere deciso, fin troppo malleabile e modellabile da mani e menti ben più esperte e tenaci di lei, Geraryn per primo.
    Aveva immaginato diverse volte, un ricongiungimento con il suo maestro. Aveva immaginato tutto quello che avrebbe potuto dirgli... aveva portato avanti, nella sua testa, possibili conversazioni con Geraryn... ma averlo davanti non era come immaginarlo.
    Lavellan si sentiva preda delle emozioni, troppo compromessa per dire qualcosa di sensato.
    "Come ho potuto? Fare cosa?"
    Il mago congiunse le mani dietro la schiena, parlando con un candore tale da far venire la nausea a Lavellan, che non poteva certo sopportare quello sporco teatrino senza dire niente.
    « Lo sai benissimo! » sibilò, la voce tremante, le emozioni tradite da quello sguardo furioso e risentito.
    Essere accusata di tradimento era una cosa, ma venir tratta come un'idiota dall'uomo che aveva architettato tutto e lasciato morire i suoi compagni... era inammissibile e oltraggioso!
    « Non fare l'ingenuo, non con me! » gli chiese con rabbia, tuttavia senza fare un passo verso di lui, restando a debita distanza e pronta a difendersi con la sua magia, se Geraryn avesse fatto qualcosa per fermarla.
    Era quasi sicura che lo avrebbe fatto, visto che lei era forse l'unica ad essere ancora viva e a conoscenza dei suoi orrendi misfatti... anche se non aveva niente per provarlo se non la sua parola.
    Avrebbe voluto chiedergli tante cose... perché lo aveva fatto, come era riuscito a farla franca, se dormisse la notte, se la pensasse mai, se rimpiangesse i suoi atti scellerati, le morti sulla sua coscienza non gli pesavano? Il peso non lo schiacciava?
    No, Geraryn era un uomo tranquillo, un uomo sereno che non sentiva nessun peso sopra di sé. Un uomo che riusciva a cavarsela in ogni caso e in ogni situazione. Un uomo che Lavellan non sarebbe mai stata in grado di contrastare, anche se avesse voluto vederlo rovinato, esattamente come lui aveva rovinato lei e la sua vita, costringendola a fuggire con la nomea di traditrice, condannata a una vita da eremita nei gelidi boschi di Bluegrass.
    « Sai... loro sono venuti da me. » aggiunse infine Lavellan, forse desiderosa di prendersi una qualche rivalsa nei confronti del suo vecchio maestro, dell'uomo in cui aveva riposto la sua fiducia e al quale aveva regalato il suo cuore, prima di scoprire che era indegno di ogni cosa e probabilmente incapace di amare.
    Forse le sue parole erano state avventate, forse avrebbe dovuto tenersi quella verità per sé, forse... ma in quel momento non pensò, agì e basta, guidata dalla rabbia, dal risentimento e dalla voglia di smettere di apparire come un piccolo esserino tremante che si nascondeva nell'ombra da anni.
    « Non mi hai fatto niente, solo reso più forte. » ma quella frase era forse un azzardo.
    Lavellan non si sentiva più forte, si sentiva più e meno disillusa, ma la forza non era una caratteristica che ancora le apparteneva. Tuttavia, Geraryn non poteva saperlo e in quello sguardo sicuro di sé, Lav cercò di mettere tuttala sua convinzione, senza tentennare, senza mostrare timore. O almeno sperava...

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn sorrise nel vedere Lavellan così sconvolta. Era esattamente l'espressione che si aspettava di scorgere sul suo volto e non rimase deluso. Se c'era una cosa che ricordava bene della sua vecchia allieva era il suo senso di giustizia: l'attuale situazione doveva sembrarle davvero gravosa, lei innocente e costretta a nascondersi come la ricercata che era, lui colpevole che si aggirava per le vie a testa alta.
    "Lo sai benissimo" sibilò infatti Lavellan quando lui chiese serafico cosa intendesse.
    "Per il regno lo sei eccome" replicò Geraryn, chinando il capo in un'espressione falsamente contrita e muovendo un passo circospetto verso di lei. Lui stesso si era impegnato affinché l'Imperatore si persuadesse senza ombra di dubbio che la fuga dei draghi era stata causata dagli altri maghi, l'elfa compresa. E nonostante lui fosse stato il principale autore delle sventure della giovane, portando avanti quella falsa accusa, ora si mostrava al suo cospetto candido come un agnello.
    Nonostante il mago tentasse un avvicinamento, lei restava trincerata nella sua posizione, nel chiaro intento di mantenere le distanze. D'altra parte non era fuggita via, come avrebbe potuto invece fare non appena accortasi di essere stata scoperta, e per il Primo Incantatore di Virycas era già un risultato. La provocazione della sua vecchia allieva cadde nel vuoto: le labbra di Geraryn seguitavano ad essere deformate da quel lieve sogghigno che lasciava intendere che le sue minacce non lo preoccupavano, ma al contrario trovava quella situazione piuttosto divertente.
    Nel mentre però la mente dell'uomo era già andata oltre. Si trovava di fronte all'unica superstite del massacro che aveva volutamente causato, l'unica che fosse al corrente di ciò che aveva fatto. A dire il vero Geraryn non si era mai preoccupato di lei, erano la parola dell'una contro quella dell'altro, e Lavellan non era esattamente nella posizione di calunniare qualcuno come il Primo Incantatore. Quindi non si era dato pena di cercarla per metterla a tacere per sempre. Adesso però il fato aveva voluto che si incontrassero di nuovo, faccia a faccia, soli. Se Geraryn le avesse tolto la vita, nessuno se ne sarebbe accorto - certo non lì, al limitare del mercato - e sarebbe stata una proficua mattinata, acquisti compresi. Il tutto senza alcuna fatica.
    Ma mentre il mago soppesava quella possibilità, Lavellan disse qualcosa che accese immediatamente la sua attenzione.
    "Loro sono venuti da me." Ci fu un lampo nelle sue iridi, che per un attimo la trasmutò dalla dolce ragazza compassata che ricordava in qualcosa di diverso. Lavellan disse che i draghi non le avevano fatto nulla, l'avevano solo resa più forte. Possibile? In che modo? Geraryn non aveva certezze, tuttavia fu abbastanza per instillargli il dubbio. Immediatamente accantonò ogni piano di eliminarla.
    "Dove si trovano?" chiese il mago, mutando immediatamente tono. "Sarei curioso di vederli."

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    Lavellan di Bluegrass
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    elfa e maga
    28 anni
    fuggitiva e ricercata

    Probabilmente, tutta la situazione stava divertendo molto il potente Primo Incantatore di Virycas.
    Nonostante la giovane allieva elfica non fosse mai riuscita a comprenderlo fino in fondo, ignorando la sua vera natura - troppo accecata dall'amore che nutriva per lui - poteva concedersi l'azzardo di ritenersi una persona che conosceva Geraryn abbastanza da capire il suo divertimento in tutta quella situazione ed il modo con cui fingeva, con abilità, con lo stesso modo usato per ingannare lei in tutti quegli anni passati assieme e che ancora usava per prendersi gioco di quelli che non avevano indovinato la sua vera e crudele natura.
    "Per il regno lo sei eccome" Geraryn chinò il capo, l'espressione del viso contrita, avvicinandosi di un passo mentre Lavellan indietreggiava di un altro passo, decisa a mantenere la medesima distanza tra di loro, convinta che così si sarebbe garantita una via di fuga al momento opportuno, che dovesse ricorrere alla magia o meno.
    Geraryn, comunque, non sembrava molto preoccupato dalla minaccia rappresentata dall'elfa e a buona ragione.
    Ai suoi occhi non era niente, nemmeno un impiccio o un problema. Toglierla di mezzo sarebbe stato facile e a niente serviva preoccuparsi delle sue parole d'accusa, visto che lei era una fuggitiva che si era nascosta per anni mentre Geraryn il primo e rispettabile incantatore che era rimasto al fianco di Miach Cadash per tutto quel tempo.
    A chi mia avrebbe creduto l'Imperatore se non a Geraryn?
    Non c'era nemmeno bisogno di porsi la domanda.
    Tuttavia, quando Lavellan nominò i draghi, riuscì a diventare interessante per il suo maestro.
    "Dove si trovano? Sarei curioso di vederli." il tono di voce di Geraryn era già mutato e la sua attenzione adesso era completamente di Lavellan.
    L'uomo aveva abbandonato il suo sorriso sornione ed i suoi occhi si erano accesi di una fiamma di curiosità che pareva consumarlo completamente.
    Le labbra di Lavellan si incurvarono in un lieve sorriso tremolante.
    « Dove tu non puoi trovarli. » specificò, non gli avrebbe mai detto dove si trovavano i draghi, anche perché erano volati via da tempo, lasciando a Lavellan solo il piccolo uovo prossimo alla schiusura.
    Della femmina non c'era più traccia ma i due maschi di tanto in tanto tornavano, forse per proteggerla da possibili minacce, forse perché non avevano nessun posto in cui fare ritorno se non tra i boschi di Bluegrass, dove poco tempo prima Ewant Dayne per poco non era morto tra le fiamme, mentre il suo intero corpo di guardia era stato decimato.
    Creature affascinanti e potenti i draghi, ma pericolosi e imprevedibili, tuttavia Lavellan li avrebbe protetti a costo della vita.
    Quando non aveva niente e nessuno, aveva avuto loro e mai li avrebbe abbandonati o consegnati nelle mani di un uomo come Geraryn.
    « Cosa vuoi da loro? »

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn si mostrava rilassato, il volto disteso, le spalle morbide, come se fosse stato comodamente a casa sua. La situazione non era delle più usuali e c'era una certa tensione nell'aria, come quella lasciata dai fulmini in cielo dopo una tempesta; tuttavia il mago sembrava non percepirla, o quanto meno non ne risultava affetto. Non era nuovo infatti a intrecci spinosi o a situazioni in genere difficili da maneggiare; bastava pensare a come aveva affrontato più di un capovolgimento di fortuna restando tuttavia sempre in cresta.
    Quando Miach Cadash aveva conquistato Aslya, Geraryn avrebbe potuto perire in quanto Primo Incantatore del vecchio re, ma era saputo restare al fianco dell'imperatore. Quando aveva liberato i draghi, tutti i maghi di corte erano stati condannati a morte, ma non lui. Non reputava quindi che il ritorno della sua vecchia allieva potesse costituire una variabile così imprevedibile da disfare tutti i suoi piani.
    Per questo non si scomponeva alla vista di Lavellan, anche se non si poteva dire che l'elfa fosse altrettanto a suo agio.
    Quell'incontro casuale stava però celando più di quanto Geraryn avesse previsto. Aveva sempre considerato i draghi di Miach come degli strumenti, al pari di ogni altra cosa o persona che gravitava intorno a lui. Uno strumento fatto di zanne e fuoco, una meravigliosa macchina di morte, utilizzata dall'imperatore per conquistare Alsya, ma che altrettanto facilmente poteva rivoltarsi contro di lui.
    Geraryn non aveva previsto che quelle lucertole troppo cresciute sarebbero tornate da Lavellan. Questa sì che era una variabile che spostava le carte in tavola, di quanto era solo da vedere.
    Quando il mago chiese alla ragazza dove si trovassero i draghi, un sorriso soddisfatto lampeggiò sull'ovale del suo volto. Rispose che erano dove lui non poteva trovarli; ammirevole come desiderasse proteggerli, ma Geraryn non si sarebbe dimostrato una minaccia per loro.
    "Cosa vuoi da loro?" chiese ancora.
    Ma la domanda era mal formulata. Il Primo Incantatore non era interessato tanto alle belve, quanto più che altro a Lavellan. Proprio lei si era dimostrata la vera sorpresa: una maga sì dotata, ma dalla quale certo Geraryn non si era aspettato cose straordinarie.
    "Da loro?" domandò l'uomo, annodando le dita dietro la schiena, con il tono di chi parla del tempo. Volse lo sguardo verso un punto lontano dagli occhi di Lavellan e storse appena le labbra. "Niente. Sono solo curioso di sapere come hai fatto. Devo ammettere che non me lo aspettavo."

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    Lavellan di Bluegrass
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    28 anni
    fuggitiva e ricercata



    Se Geraryn aveva una bassa stima nei confronti di Lavellan, la ragazza l'aveva ancor più bassa nei confronti di se stessa.
    Non si riteneva una maga eccezionale. Brava certo, ma non diversa da tanti altri maghi come lei. Era solo una tra i tanti, si era sempre sentita non essenziale e mai aveva mostrato di spiccare o di essere diversa.
    Eppure, dopo che aveva lasciato Virycas, aveva dimostrato di essere brava a sopravvivere, di essere capace a far perdere le proprie tracce, a provvedere ai suoi bisogni e ad adattarsi ad una vita rigida nel boschi di Bluegrass.
    Se gliel'avessero detto, che sarebbe stata costretta a nascondersi per tutta la sua vita, ricercata come traditrice, in un ambiente che non aveva niente a che fare con lo sfarzo e le comodità di corte, Lavellan avrebbe riso di cuore.
    E invece il destino l'aveva sorpresa e sembrava riservare una sorpresa dopo l'altra.
    "Da loro?" domandò Geraryn, quando Lavellan diede per scontato che fosse dai draghi che Ger cercava qualcosa, non certo da lei.
    Ancora dava per scontata la propria utilità, convinta di non rappresentare niente per lui... né una curiosità, né un pericolo.
    Bastava vedere quanto fosse calmo mentre la osservava, parlando pacatamente come un vecchio e caro amico.
    "Niente. Sono solo curioso di sapere come hai fatto. Devo ammettere che non me lo aspettavo."
    « Magari non sono la persona che credevi fossi... » mormorò Lavellan, anche se quella frase si poteva usare pure per Geraryn, che non era l'uomo che la giovane elfa aveva pensato fosse.
    Ovviamente lei non sapeva cos'avesse spinto i draghi da lei, come mai avesse quella particolare sintonia con loro... aveva pensato dipendesse dalla sua natura elfica, ma documentandosi non aveva trovato alcuna correlazione tra i draghi e la propria razza.
    Aveva così lasciato perdere i motivi che vedevano quelle bellissime e maestose creature cercare riparo da lei, preoccupandosi invece del loro benessere e soprattutto di quel piccolo uovo di drago di cui era divenuta la custode, prima che i suoi genitori volassero via.
    « O magari i draghi sono attratti dalla magia, dal potere... e ne ho più di quanto pensi. » non lo pensava davvero, ancora si sottovalutava, ma volle fare la spavalda, fissando intensamente Geraryn negli occhi… quegli occhi che in qualche modo le sembravano diversi, anche se non riusciva bene a capire in cosa.

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    50anni ! mago
    Primo Incantatore di Virycas



    Geraryn osservava Lavellan mentre tentava di indurire lo sguardo che gli rivolgeva, ma riusciva a vedere solo l'ingenua apprendista dai tratti da bambola che aveva tenuto sotto la sua ala per molto tempo. Eppure, nonostante le impressioni che la vista dell'elfa facevano nascere in lui, gradualmente iniziò a notare che c'era qualcosa di diverso nelle sue fattezze. Un'espressione che prima non c'era, una convinzione che non aveva mai avuto. Non fu tanto da indurre il Primo Incantatore di Vyricas a mutare completamente opinione sulla ragazza, Geraryn non iniziò a considerarla una minaccia. Ma rispetto al passato iniziò a considerarla, il che era un passo in avanti per un uomo come lui. Doveva ammetterlo a sé stesso: Lavellan lo aveva sorpreso con quei draghi.
    "Magari non sono la persona che credevi fossi..." disse infatti.
    Il mago si accarezzò distrattamente il mento con una mano.
    "Ho sempre creduto che avessi un grande potenziale" replicò.
    Non era del tutto vero, ma neanche completamente falso. Sicuramente se l'avesse creduta totalmente incapace non si sarebbe mai interessato a lei, né avrebbe curato con tale scrupolo la sua educazione magica. Ma d'altra parte era anche vero che Geraryn non aveva previsto di trovarsi di fronte all'elfa un giorno e di sentire dalla sua bocca simili notizie. L'interesse dell'incantatore c'era, ma la sua fiducia nelle reali capacità della ragazza era ancora cauta.
    Poteva essere come diceva lei: i draghi erano stati attratti dalla sua magia, dal suo potere, che non era così limitato come il suo vecchio maestro aveva ritenuto in un primo momento. Oppure le ragioni potevano essere delle altre, potevano non avere nulla a che fare con una particolare abilità di Lavellan, ma potevano essere legate al caso. Ma l'idea che si stava iniziando a fare strada nella mente del mago era un'altra: Geraryn stava iniziando a intravedere un legame tra la natura della giovane e il comportamento dei draghi. Quella elfica era una razza antica, con un notevole legame con la terra e la natura; forse i draghi avevano percepito che Lavellan apparteneva all'elvhen.
    Quale che fosse il motivo di un simile avvicinamento, il mago pensò anche che la sua vecchia allieva non ne fosse certa. Mostrava sicurezza, sì, ma Geraryn la conosceva bene, forse meglio di quanto lei si aspettasse, e riuscì a riconoscere tracce di dubbio autentico sul suo volto, dietro la maschera di convincimento che indossava.
    "Non ne sei sicura neanche tu, vero?" domandò, incurvando le labbra in quello che voleva sembrare un sorriso bonario. "Lasciami vedere i draghi, Lavellan" insistette ancora, "potrei aiutarti a capire."

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    Lavellan di Bluegrass
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    elfa e maga
    28 anni
    fuggitiva e ricercata



    Di fronte all'affermazione della giovane, il suo vecchio maestro si accarezzò il mento con una mano, pensieroso.
    "Ho sempre creduto che avessi un grande potenziale" replicò, mentre Lavellan si accigliò per tutta risposta.
    « No. » mormorò, più a se stessa che rivolta a Geraryn « Non è vero. »
    Lavellan non aveva mai pensato di essere una grande maga, quindi dava per scontato che nemmeno il suo maestro l'avesse mai pensato.
    Certo, l'aveva seguita, l'aveva istruita e quindi doveva aver visto qualcosa in lei... qualcosa che però era facilmente sostituibile visto lo svolgersi degli eventi.
    Geraryn era così abile a confonderla! Lo era sempre stato e per motivi sempre differenti.
    Lavellan avrebbe dovuto scappare, correre via invece di restargli davanti a lasciare che la confondesse o la facesse titubare.
    Non che si credesse una grande maga solo perché aveva conquistato il favore dei draghi dell'Imperatore.
    Nemmeno lei sapeva perché erano andati a cercarla, era un fattore del tutto sconvolgente e sconosciuto. Magari era capitato perché sembrava innocua invece che potente.
    Sarebbe stato più credibile, pensò Lavellan con amarezza.
    Si sforzava di apparire forte, asserendo di aver attirato i draghi con il suo potere, ma invece non ne era certa.
    Bastava uno sguardo di Geraryn a farla vacillare visto quanto poco era sicura di sé.
    Non era più la ragazzina di Virycas? Ne era proprio certa?
    "Non ne sei sicura neanche tu, vero?"
    Ed eccolo lì, quel sorriso bonario e quell'orribile capacità - o straordinaria, dipende dai punti di vista - di Geraryn di far vacillare ogni convinzione o credenza di Lavellan.
    No, non ne era sicura ma non l'avrebbe ammesso, non davanti a lui, limitandosi a rivolgergli uno sguardo duro, senza parlare.
    "Lasciami vedere i draghi, Lavellan, potrei aiutarti a capire."
    Era quasi convincente... così tanto che Lavellan dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lasciarsi ammorbidire dalla sua richiesta.
    Di fronte a quelle parole, tuttavia Lav non riuscì a trattenere un sorriso amaro, scuotendo la testa.
    « Devi essere molto sciocco o disperato per credere che dopo tutto quello che hai fatto ti permetterei una cosa del genere... »
    Ma di nuovo il dubbio si insinuò nella sua mente.
    E se si fosse immaginata tutto? Se fosse stata davvero lei la pazza e Geraryn fosse stato innocente?
    No, era impossibile... aveva accusato tutti i suoi compagni, era stato lui a sussurrare i loro nomi alle orecchie dell'Imperatore.
    Non era innocente e lei doveva smetterla di permettergli di far sorgere dubbi dove prima non parevano esserci.

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    Geraryn Kaecilius Alyon
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    Primo Incantatore di Virycas



    Qualcosa di appena percepibile mutò sul volto di Geraryn. Fu come una piccola increspatura sul pelo dell'acqua, uno stagno che si rivelava per quello che era e non semplice specchio. Partì da un angolo della bocca, quello che aveva tenuto sollevato per tutto il tempo in cui aveva ascoltato Lavellan, poi pian piano si diffuse sul resto del volto: un'espressione silente di esultanza selvaggia. Ma Geraryn tentò di mantenerla nascosta dietro la consueta maschera che indossava, sebbene fosse piuttosto probabile che ormai quella maschera non funzionava più con Lavellan. Aveva avuto il privilegio di vedere il suo vero volto, e di farne le conseguenze.
    E infatti, quando il mago le disse di aver sempre creduto nel suo potenziale, lei negò. Ma lo fece con un filo di voce appena percepibile, così flebile che Geraryn poté fingere di ignorarlo. Scosse appena le spalle e allontanò una ciocca di capelli dal viso, ma lo fece con un movimento talmente calcolato che poteva sembrare che fosse stato il vento ad agitare il suo crine.
    Ma la realtà era che non reputava l'elfa una sciocca, altrimenti non le avrebbe dedicato tutto il tempo che aveva speso con lei alla corte di Vyricas. E il fatto stesso che fosse l'unica sopravvissuta alla strage conseguita alla liberazione dei draghi non faceva altro che provare che, per quanto potesse sembrare una sprovveduta, in realtà non lo era del tutto.
    "Le tue capacità sono evidenti" rincarò la dose per risultare più suadente. Ma Lavellan non lo guardava; forse stava riflettendo se poteva ancora fidarsi di lui.
    A lui non interessava del piccolo ego sottostimato della sua vecchia allieva, l'unica cosa che aveva catturato il suo interesse erano i draghi. Neanche nelle sue previsioni più azzardate aveva immaginato che quelle creature avrebbero potuto seguire l'elfa, e ora si trovava di fronte a un terreno inesplorato, ma sicuramente fertile di potenziale. Un potenziale del quale probabilmente neanche lei si rendeva conto.
    "Devi essere molto sciocco o disperato per credere che dopo tutto quello che hai fatto ti permetterei una cosa del genere..."
    Un tempo Lavellan non avrebbe mai osato parlargli in quel modo, ma Geraryn non se ne risentì. Al contrario, esibì un'espressione ancora più distesa.
    "Sono solo curioso, e so che lo sei anche tu" rispose, sapendo di cogliere nel segno. "Potrei aiutarti a capire ciò che vuoi sapere... non ti serve fidarti di me."

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    Lavellan di Bluegrass
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    elfa e maga
    28 anni
    fuggitiva e ricercata



    "Le tue capacità sono evidenti"
    Lavellan doveva ricordare a se stessa che quel viso che aveva amato così tanto, quella voce suadente e sempre calma o anche solo il modo di camminare del mago, rappresentavano un capitolo del passato al quale non sarebbe più dovuta essere sensibile.
    La sua voce carezzevole, le sue parole, il suo sguardo ed il suo volto non avrebbero dovuto creare tutta quella confusione nella sua mente, perché lei lo sapeva bene cos'aveva passato, così come sapeva quale sarebbe stata la sua sorte se una serva non l'avesse fatta fuggire dal castello di Virycas nel cuore della notte, salvandole la vita.
    Geraryn avrebbe segnato la sua fine e lei sarebbe morta consapevole che a farle ciò era stato l'uomo che amava, o che aveva creduto di amare.
    Tuttavia, il Geraryn per il quale Lavellan provava un profondo e struggente sentimento non esisteva se non nella sua mente.
    Lui non l'avrebbe mai ricambiata, non l'avrebbe mai stretta o baciata, non le avrebbe mai dato quello che lei sognava di ricevere da lui.
    Questo pensiero le fece brillare gli occhi di calde lacrime che però si impedì di versare, anche se il mutamento sul suo volto era palese e quell'ostentata forza, quel coraggio e quello sprezzo di poco prima non erano più visibili.
    Lavellan aveva provato in tutti i modi a mostrarsi cambiata, ma era sempre la ragazzina insicura che era giunta alla corte di Virycas, facile da usare e manipolare. Facile da ingannare.
    E questo Geraryn stava facendo di nuovo... instillava il dubbio nella sua mente, le stava facendo credere cose che sapeva con certezza non essere vere, ma che in quel momento mise in dubbio con facilità disarmante.
    Se fosse rimasta lì, avrebbe ceduto. Lo sapeva e sapeva anche di non poterselo permettere.
    Aveva tutto ciò che le serviva, le erbe per Ewant, era per quello che aveva abbandonato la sua confortevole dimora e rischiato< I>troppo.
    Non era stato un viaggio a vuoto comunque, se aveva le erbe poteva andarsene via di gran carriera, ma non riusciva a muoversi, anche se una vocina nella sua testa le urlava a di aprire un portale e saltarci dentro.
    "Sono solo curioso, e so che lo sei anche tu" sì, lo era, avrebbe dovuto ascoltarlo, permettergli di vedere i draghi e...
    "Potrei aiutarti a capire ciò che vuoi sapere... non ti serve fidarti di me."
    No. Non poteva permettergli di entrarle nella testa in quel modo, non dopo tutti i suoi tentativi di restare in vita, non dopo che aveva sopportato l'inferno in quei primi anni di allontanamento dalla vita di agi che conosceva a corte.
    Scosse quindi la testa, seppure senza molta convinzione.
    « Io ti amavo, ti amavo moltissimo. » confessò, perché aveva sempre sognato di dirglielo, spaventata però dalla sua reazione (dal suo certo rifiuto), ma per chiudere il cerchio - si disse - era giusto dirglielo, anche se forse Geraryn l'aveva già capito e scioccamente Lavellan gli aveva mostrato uno dei suoi innumerevoli punti deboli, sui quali Geraryn avrebbe certamente saputo come fare pressione.
    La mano sinistra dell'elfa si sollevò in aria e in quel momento una linea di fuoco tagliò a metà la strada che la separava da Geraryn.
    Quell'incantesimo non lo avrebbe fermato, ma avrebbe dato a lei il tempo necessario per aprire un portale e scomparire.
    L'aria vibrò e scintille violette iniziarono ad apparire a mezz'aria fino a formare un cerchio abbastanza grande perché Lavellan vi passasse attraverso, immergendosi in quell'oscurità che l'avrebbe portata a casa.
    Lanciò un'ultimo sguardo a Geraryn e poi scomparve nel portale, mentre il cerchio si restringeva fino a scomparire del tutto, le scintille si ricongiunsero emettendo uno sciocco secco e saettando a terra, per poi lasciare posto solo al silenzio e a una striscia scura davanti ai piedi del guaritore, dove poco prima era apparsa la linea di fuoco.

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    #Role conclusa :eheh:

  13. .
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    Kryston & Relina
    Per tutto il giorno successivo alla conoscenza con Enith, Kryston non aveva fatto che pensare alla proposta della ragazza di incontrarla di nuovo al mercato.
    Una parte del cacciatore non era interessata. Un sesto senso non meglio identificabile leggeva nel mistero di quella donna qualcosa di cui non poteva fidarsi completamente, e più ripensava alle sue frasi nebulose e ai suoi sguardi mordaci, più quella sensazione aumentava. Ma anziché respingerlo, paradossalmente lo attirava. L'altra metà del cacciatore era quindi piuttosto decisa ad andare.
    C'era stata una certa esitazione, ma dopotutto aveva bisogno di contratti e Enith gli aveva promesso che avrebbe avuto il modo di procurarsene nel luogo dove lei faceva il mercato. Né nel luogo dove si trovava Kryston aveva molto altro da fare.
    Aveva spento il fuoco che aveva usato per cuocere la lepre che aveva condiviso con la ragazza, seppellendo le braci sotto la cenere. Ma per quella sera aveva deciso di non spostarsi troppo e di tornare ad accamparsi lì. Così, al calare delle tenebre, lo aveva riacceso, questa volta per cuocere una quaglia catturata senza difficoltà, visto che dall'assenza di Enith non c'era stato nessun altro a disturbare la quiete della foresta e la caccia.
    Quando Krys si era steso accanto alla brace ormai consumata e inesistente, avvolgendosi nella pelle che lo avrebbe protetto dall'umidità del terreno e dal freddo della notte, l'ultima cosa che aveva visto prima di scivolare nel sonno erano stati gli occhi neri e insondabili di Enith.
    La giornata dopo era trascorsa in modo piuttosto inconcludente. Kryston aveva ciondolato per la boscaglia, cercando di catturare un po' di selvaggina senza risultati troppo positivi perché non ci si era impegnato poi troppo. Era stato distratto per la maggior parte del tempo, non badò di controllare le trappole che aveva piazzato se non a tarda sera e non seguì le tracce di un cervo che era passato in quella zona, dicendosi che ormai era troppo lontano.
    Quando calò la sera del secondo giorno, aveva deciso che l'indomani si sarebbe recato nella zona del mercato. Così, all'alba di un nuovo sole, si mise in movimento.
    Le indicazioni di Enith erano state piuttosto chiare, ma soprattutto Kryston non ebbe difficoltà a seguire la foresta che si diradava trasformandosi in sentieri battuti dall'uomo, fino a incontrare le prime case, i primi fienili e i primi abitanti di un villaggio sperduto. Gli bastò chiedere se i Lanser vendessero le loro pellicce da quelle parti e ottenne tutte le risposte che cercava.
    Trovarli fu facile: alla fine fu l'odore di pelliccia e di selvatico, insinuatosi nelle sue narici, che lo guidò fino a loro.
    La prima persona che vide, appoggiata al banco di legno sul quale erano state depositate delle pelli conciate, fu una donna dai capelli ramati stretti in una pesante treccia appoggiata sulla sua spalla. Era di bell'aspetto, notò il cacciatore, se non fosse stato per la mascella squadrata e la bocca larga.
    La donna teneva lo sguardo puntato in un punto indeterminato alla destra del cacciatore, ma era assente, come se non stesse davvero osservando qualcosa. Poi però improvvisamente qualcosa nel suo aspetto si rizzò e a Kryston venne spontaneo pensare a un cane che alzava le orecchie: quando sentì lo sguardo del cacciatore su di sé fu come se sapesse esattamente da quale direzione proveniva, così lo ricambiò.
    Anziché distogliere gli occhi, Kryston si avvicinò.
    "Sto cercando Enith" disse, immaginando che la donna potesse dirgli dove si trovava.
    "Ah sì?" domandò, raddrizzando la schiena e sbattendo gli occhi, "Chi la cerca?" volle sapere.
    "Mi chiamo Kryston. Sono un suo amico" specificò con un mezzo sorrisetto a guizzargli sulle labbra.
    Sorrisetto che Relina non mancò di notare. Inarcò appena le sopracciglia, così da rendere lo sguardo più penetrante.


    Enith
    « LA MIA CASA È NEL PROFONDO DELLA FORESTA, VICINO ALLE RADICI DELLE MONTAGNE. »
    Enith aveva pensato che non avrebbe rivisto Kryston tanto presto. Il pessimismo era insito nella sua natura e le era bastato separarsi dal Cacciatore, per formulare i pensieri peggiori sul loro incontro.
    Domande alle quali non voleva risposte la tormentarono appena un’ora dopo, continuando senza sosta e ingigantendosi come una valanga, che acquista mole, potenza e velocità più si avvicina a valle.
    Durante il loro incontro, Enith aveva cercato di lanciare diversi segnali al Cacciatore, senza sapere però se li avrebbe colti, senza smascherare la propria natura e ponendo solo il clan sotto il suo occhio.
    Sperava che l’intelligenza di Kryston andasse a colmare le lacune volutamente disseminate tra le sue informazioni, ma quando non lo vide presentarsi il giorno seguente, al suo banco al mercato, ne rimase delusa e demotivata.
    Era impaziente, fin troppo, lo aveva atteso con lo stomaco sottosopra, avvertendo un malessere fisico inspiegabile, che mai aveva avuto in passato.
    Si domandò se si fosse per caso presa la febbre, ma la sua fronte non scottava. Doveva trattarsi di agitazione, o qualcosa di simile.
    Poi, quando le luci del tramonto avevano iniziato a tingere il cielo di rosso, il clan aveva provveduto a rimettere nel carro le proprie merci e prepararsi al sopraggiungere della sera.
    Tutto quello che poté fare Enith fu di andare a cercare riparo in una cripta in rovina, serrare la porta come meglio poteva e chiudersi dentro, sperando di non correre fuori e mietere qualche vittima, o peggio, incontrare il Cacciatore.
    Fortuna volle che il suo trucchetto funzionò, ma non sapeva per quanto ancora avrebbe potuto usarlo.
    Rodner si indispettiva quando scopriva che Enith cercava di contenersi, nella sua forma più incontenibile.
    Secondo il capo clan, la loro non era una maledizione ma una benedizione della quale tutti avrebbero dovuto gioire, Enith inclusa, perché era stata molto fortunata a diventare membro della famiglia.
    Lei, tuttavia, si sentiva poco fortunata in generale.
    L’unico colpo di fortuna di tutta la sua vita era stato sopravvivere a Kryston e che lui le sopravvivesse.
    Quel giorno, la ragazza sarebbe stata al mercato come al solito, ma non pensava in compagnia di Relina, che invece pareva intenzionata a restare.
    Per non passare troppo tempo insieme, cosa che nessuna delle due gradiva, Enith era andata a prendere qualche pelliccia che era rimasta sul carro, per esporla e sperare che con l’irrigidirsi delle temperature di quei giorni, potessero vendere le merci più pesanti.
    Quando fece ritorno al banco, con le braccia così cariche da impedire quasi di vedere davanti a sé, chiunque si aspettava di trovare ma non Kryston.
    Non poteva essere così sfortunata, no? Quante possibilità c’erano che andasse da lei proprio quando era presente Relina?
    Si bloccò sul posto, presa in contropiede dalla situazione, lanciando uno sguardo acuto al ragazzo e scivolando poi a osservare la moglie di Rodner con autoimposto fare remissivo, come faceva sempre con lei e le sue sorelle.
    Il suo cuore fremeva all’idea che il Cacciatore avesse parlato troppo, anche se non poteva dire molto, ma bastava che avesse mosso il solo sospetto o dato a Relina la possibilità di insinuarlo in Rodner, perché la sua vita diventasse ancor più insostenibile, o perché quella di Kryston subisse una brusca fermata.
    lupo mannaro
    19 anni
    cacciatrice e mercante
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    Edited by Isa ~ - 28/8/2018, 15:38
  14. .

    Rhaenys & Geralt Shepard Rutherford
    Rhaenys se ne stava seduta sul bordo della finestra di una delle alte torri del forte della Chimera, le gambe distese di fronte a sé e una mela ammaccata nella mano sinistra, coperta da un guanto di pelle, per celare il marchio impresso sul palmo.
    In quel momento non le faceva male, mentre sbucciava la mela con uno dei coltellacci che portava sempre attaccati alla cinta. Le doleva solo quando c’era qualche bestia da cacciare nei paraggi. Forte della Chimera fungeva da barriera naturale tra lei e certe bestie, ecco perché non era molto intenzionata a lasciarlo.
    Una volta finita l'opera a cui si era dedicata, lasciò cadere la buccia della mela già dalla torre, osservandola sparire tra le foglie e i cespugli più in basso. Diede poi un morso, constatando che il sapore non era certamente dei migliori, ma non poteva chiedere di più. I pasti al Forte non erano mai degni di un re o di una regina, per quanto tutti si stessero affaccendando per far sentire Yennefer nel modo più confortevole possibile, vuoi per timore o perché si erano presi una ben motivata e profonda infatuazione per lei.
    Era bellissima, anche Rhaenys lo conosceva e rientrava nella categoria di persone che desideravano compiacerla. Del suo compagno… beh, di Irial era meglio non parlare, Rhae non aveva una grande stima di lui, lo trovava terribilmente fastidioso.
    Si guardò attorno, osservando ogni pietra mancante di quel panorama desolante che era Forte della Chimera… bellissimo, comunque, perché in fin dei conti era casa sua e l’amava, con i suoi pregi ed i suoi chiari difetti. Quello che spiccava di più era la sua trascuratezza.
    A stento riusciva a immaginare un periodo nel quale i cacciatori avevano prosperato, ma era ovvio che non sempre quell’ormai castello in rovina fosse stato… beh, in rovina.
    Le roccaforti dei cacciatori erano cadute una ad una, facendo del Forte della Chimera l’ultimo baluardo rimasto, ed i cacciatori stessi avevano iniziato a scarseggiare, troppo pochi e troppo poco dediti al proprio ruolo per costituire ciò che furono davvero in passato.
    Rhae finì il suo pranzo, lasciando cadere anche il torsolo della mela giù dalla torre.
    Fu in quel momento che notò due uomini a cavallo dirigersi verso il Forte.
    Non ci fu bisogno di osservare i due con accuratezza, poiché Kryston e quei suoi capelli fulvi le erano terribilmente familiari.
    Ciò bastò perché Rhae saltasse giù dalla sua postazione e discendesse per le scale a chiocciola della torre, diretta all’entrata.
    Era tanto tempo che non vedeva il suo amico, vuoi per i reciproci e continui girovagare, vuoi perché ormai lei si era stazionata al Forte, considerandolo un posto ben più sicuro del mondo là fuori (vista la sua condizione), mentre Kryston non sarebbe riuscito a stare al Forte per più di qualche giorno.
    Fu quindi ben felice di vederlo, e gli andò incontro a passo spedito, dando ordine ad un paio di cacciatori adolescenti di aprire il portone.
    « Ti ho visto arrivare. » annunciò Rhaenys una volta raggiunto il portone d’entrata, che si aprì giusto quel poco da permetterle di passarvi attraverso.
    Gli occhi si spostarono dal volto di Kryston a quello di un uomo dalla grande bellezza.
    Rhaenys rimase infatti qualche istante ad osservare quei lineamenti scolpiti, la linea squadrata della mascella, i capelli biondi, gli occhi scaltri e attenti, le labbra piegate in un sorriso beffardo… quel sorriso che appartiene a persone perfettamente consapevoli dell’effetto che suscitano negli altri.
    Ma Rhae non provava per lui un tipo di attrazione fisica, c’era ben altro, una strana sensazione proprio alla bocca dello stomaco che non seppe spiegarsi, preferendo ignorarla. Dando per scontato che fosse stata la sua bellezza e quell’armatura scintillante a farla vacillare per qualche istante.
    Era risaputo che il suo cuore era di un solo fastidiosissimo uomo, per quanto desiderasse lei stessa che non fosse così… ma liberarsi di Drake era impossibile. E forse nemmeno così necessario come credeva.
    « Chi è quest’uomo? » domandò, con un tono di voce disteso, mentre l’uomo in questione scendeva da cavallo.
    Le andò davanti, prendendole una mano ed esibendosi nel più regale dei baciamano che Rhae avesse mai visto.
    « Il mio nome è Geralt, ed è un piacere fare la tua conoscenza. » le rispose lui, sollevando gli occhi verso quel viso da bambina, domandandosi se fosse davvero giovane come sembrava… c’era qualcosa di familiare in lei, ma forse era solo l’effetto che ogni ragazza giovane gli faceva, immaginandola simile a sua figlia.
    « Krys mi ha offerto la vostra gentile ospitalità per qualche notte. » le spiegò gesticolando con la mano e tirando le briglie del cavallo, in attesa che il portone principale si aprisse del tutto per poter entrare finalmente all’interno del Forte della Chimera.
    « Ah… Krys, dunque? » domandò lei con l’ombra di un sorriso sulle labbra, lanciando un’occhiata eloquente verso Kryston.
    Che quel Geralt fosse un suo intimo amico? O forse si era preso più confidenza del necessario con il rosso.
    cacciatrice / mago
    25 anni / 50 anni
    cacciatrice / mago ribelle
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Il Forte della Chimera, finalmente.
    Il grande portone di quercia si dilatava dinanzi ai loro occhi man mano che i due cavalieri si avvicinavano. I cavalli si muovevano al passo, le briglie allentate gli consentivano di muovere la testa e di scegliere l'andatura che preferivano: Kryston e Geralt non avevano troppa fretta di arrivare, e in un viaggio come quello conveniva risparmiare le forze. Quando però la fortezza si materializzò davanti allo sguardo del cacciatore, dopo un attimo di indecisione spronò leggermente il suo destriero in modo da raggiungere la struttura più in fretta.
    Era sempre stato impaziente, Kryston, eppure in quel caso la sua reazione non era stata immediata come al solito. Non perché la natura del ragazzo fosse in contestazione, ma perché non sapeva bene come comportarsi di fronte alla facciata austera del forte.
    L'ultima volta che si era lasciato alle spalle quel portone massiccio, la cui superficie lignea era perforata da grandi borchie di ferro, aveva pensato che non lo avrebbe rivisto più. Desiderava vedere il mondo, svolgere quanti più contratti possibile e farsi un nome. Sognava un tempo in cui la gente di ogni angolo del continente avrebbe sentito parlare almeno una volta di Kryston il cacciatore; non gli importava che lo disprezzassero o meno, come aveva sentito dire forse a qualcuno dei suoi maestri non importava in che modo parlassero di lui, purché lo facessero.
    Kryston non si era mai interrogato troppo a lungo su quel bisogno di notorietà. Semplicemente si aspettava che la gente sapesse chi era perché, un giorno, la sua fama avrebbe dovuto pareggiare le sue abilità e la sua popolarità sarebbe stata solo meritata. Per lui non si trattava di un obiettivo ambizioso da raggiungere. Era, al contrario, un fatto che sarebbe dovuto accadere secondo il naturale corso delle cose.
    Per raggiungere un risultato del genere, il cacciatore sapeva con chiarezza come fare. Tanto per cominciare doveva stare lontano dal Forte della Chimera: nessuno avrebbe conosciuto le sue gesta se fossero rimaste circoscritte entro quattro mura di pietra. Non era l'ostilità nei confronti di quel luogo o dei suoi abitanti che lo aveva condotto lontano, tutt'altro: gli altri cacciatori erano la sua famiglia. Non escludeva quindi che un giorno, forse, li avrebbe rivisti. Forse sarebbe potuto persino tornare a casa, anche se non vi sarebbe rimasto a lungo. C'era un'energia inesauribile in lui che gli impediva di fermarsi troppo a lungo nello stesso posto.
    Dopo lo scontro con i lupi però Kryston aveva respinto con forza qualsiasi ipotesi di tornare, anche se per una manciata di giorni o poche ore. A stento era riuscito a guardare il suo riflesso nei corsi d'acqua o sulle lastre di metallo, non per l'orrore delle cicatrici che si era procurato, ma per ciò che significavano. Come avrebbe potuto permettere a qualcun altro di guardarlo? Di sapere cosa era successo, di conoscere la sua sconfitta?
    Non poteva. Men che meno poteva permettere che i suoi fratelli lo scoprissero. Era la vergogna dell'accaduto, la frustrazione e la rabbia, che inducevano Kryston a continuare a vagare per Aslya, questa volta per nascondersi.
    Adesso invece stava tornando a casa. Non lo aveva creduto possibile, eppure eccolo là, ritto sulla sella di un palafreno che si dirigeva con decisione verso l'ingresso del forte, lo attraversava dopo che le sentinelle erano state in grado di riconoscerlo, e si fermava al centro del cortile interno. Smontò lanciando un'occhiata in tralice a Geralt. Era per lui che era tornato, per lui e per Rhaenys.
    Il trascorrere del tempo aveva sicuramente rimarginato le ferite peggiori, ora l'orgoglio di Kryston non bruciava come all'indomani dello scontro con i lupi. Allo stesso modo la sua decisione e la sua testardaggine avevano vacillato. Aveva fatto il passo più grande, era tornato. Eppure ancora non sapeva con precisione come sentirsi al riguardo.
    Sollevò lo sguardo verso le finestre e si chiese se Alihana si trovasse lì. Non riuscì a impedirsi di pensare a sua sorella con una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco.
    Ma non fu Alihana quella che gli andò incontro appena Kryston ebbe affidato il cavallo alle cure dello stalliere.
    "Chi è quest’uomo?" chiese Rhaenys.
    Quanto tempo era passato da quando si erano visti l'ultima volta? Eppure i capelli scuri, il viso allungato e gli occhi svegli erano sempre gli stessi.
    L'attenzione di Rhaenys venne dapprima catturata dal suo amico: era stata lei a dare ordine di aprire il portone non appena lo aveva riconosciuto. Ma subito dopo si ritrovò a fissare Geralt, che per lei non era nient'altro che uno sconosciuto. Kryston tuttavia non ebbe bisogno di fare le presentazioni, perché il mago ci pensò da solo.
    "Ah… Krys, dunque?" commentò poi Rhaenys con un sorriso ironico. Il nomignolo usato da Geralt tradiva una confidenza maggiore di quella che ci si sarebbe potuta aspettare.
    Il cacciatore esibì un sorrisetto fugace, ma ignorò quell'osservazione.
    "Rhae" la salutò. Rivederla dopo tanto tempo era come una boccata d'ossigeno dopo una lunga apnea: Kryston non lo aveva realizzato prima di provarlo. "Non mi saluti come si deve?" disse ancora allargando le braccia.

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    Rhaenys & Geralt Shepard Rutherford
    Il fatto che Krys, fosse mancato a Rhaenys, era inopinabile.
    D’altra parte tutti i Cacciatori erano la sua famiglia e quindi era normale che la ragazza sentisse la mancanza di quelli a lei più vicini, quelli con i quali era addirittura cresciuta, ma Krys era speciale ai suoi occhi. Non lo si poteva paragonare a molti, all’interno del Forte della Chimera. Senza contare che tra di loro non c’erano mai state incomprensioni, né sentimenti che andassero al di là dell’ordinario e puro affetto.
    Avevano raggiunto il Forte assieme, si erano addestrati insieme, erano cresciuti e maturati insieme. E’ ovvio che legami del genere, sono ben più saldi di altri.
    "Rhae" la salutò lui, allargando le braccia prima di domandarle "Non mi saluti come si deve?"
    La ragazza sorrise, andandogli incontro e stringendolo a sé, con un abbraccio forte e affettuoso, sebbene sotto lo sguardo curioso di quel mago fosse un pochino strano lasciarsi andare a gesti di affetto di quel tipo.
    « Mi sei mancato. » gli confessò a bassa voce, sempre sorridente.
    Geralt, i cui occhi attenti avevano seguito i movimenti della ragazza, fece scioccare la lingua contro il palato, come se la sapesse lunga su cose delle quali invece non sapeva proprio niente.
    « Quindi… voi due? » lasciò la domanda sospesa, scambiando erroneamente una semplice manifestazione d’affetto per chissà cosa.
    Nella sua concezione del mondo e dei rapporti sociali, una donna non può essere un'amica. Può essere tua sorella, tua moglie, la tua amante… ma non tua amica.
    Amicizia era una parola a lui estranea, almeno per quanto riguardava le donne, con le quali aveva avuto un rapporto molto controverso dato che solo una ne aveva amata e se n’era separato da anni ormai, senza che lei abbandonasse però il suo cuore.
    Tristabel era sempre lì, una presenza e un'assenza costante e dilaniante. Geralt fingeva che non fosse così, si sforzava di dimenticare ma non ci riusciva. Non ci sarebbe mai riuscito.
    Comunque, a quella domanda Rhaenys si accigliò lanciando un’occhiataccia al mago, senza nemmeno rispondergli, come offesa dalla sua semplicistica versione di un rapporto che non conosceva affatto.
    « Per un attimo ho pensato che Krys mi avesse portato qui per darti una mano, piuttosto che per aiutarmi. » continuò lui, tenendo le briglie del proprio cavallo strette in pugno.
    Ghignò, poi, abbassando lo sguardo sul braccio sinistro di Rhaenys.
    « Darti una mano… ho usato un infelice gioco di parole, non ti pare? »
    La bocca della ragazza si aprì, come nell’atto di fare una domanda che però le morì sulle labbra.
    Guardò Krys, guardò Geralt. Non poteva avergli parlato del suo problema, Krys non andava certo a sbandierare certe cose ai quattro venti. Senza contare che lei non era nemmeno sicura di cosa intendesse il mago, non al cento per cento almeno, quindi si concesse di ricomporsi.
    « Come..? » azzardò, che poteva essere inteso come un punto di domanda riguardo ciò che intendeva, o proprio sul come avesse fatto a saperlo.
    Geralt fece spallucce, osservando entrambi i Cacciatori.
    « Oh no, lui non ha detto niente. E’ un uomo di poche parole. » e quel ghigno con cui lo disse sottintendeva ancora una volta una confidenza che di certo non aveva, e che risultò un po’ fuori luogo a Rhaenys.
    Tutto di quell’uomo era fuori luogo, per quanto fosse affascinante le ricordava quel mago da quattro soldi, quel Keenan, che si comportava come se sapesse tutto di tutti e invece non sapeva fare niente, si era rivelato una delusione come qualsiasi altro mago.
    Ma nessuno, mai, si era accorto di ciò che le gravava sulle spalle senza che lei non ne facesse cenno.
    Geralt parve cogliere la domanda sul fondo dei suoi occhi, infatti le spiegò: « E’ la mia condizione che mi pone al di sopra del consueto livello di mago ai quali probabilmente sei abituata. Certe cose le percepisco con chiarezza. »
    Sollevò poi lo sguardo verso il cancello principale, superando Kryston e Rhaenys, senza troppi complimenti.
    « Ho bisogno di rinfrescarmi, poi parleremo. » asserì, con la convinzione di un lord appena giunto nella sua corte.
    Rhae lanciò un’occhiata interrogativa a Krys: « Ma dove l’hai trovato un tipo del genere? »
    cacciatrice / mago
    25 anni / 50 anni
    cacciatrice / mago ribelle
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Rhaenys non sembrava cambiata troppo, dopotutto. I capelli scuri erano aggrovigliati come al solito e gli occhi grandi avevano sempre quell'espressione enigmatica e un po' beffarda.
    Sono tornato per te, sembrava voler dire il corpo di Kryston quando si protese nella sua direzione. Ed era effettivamente così: fosse stato per lui, non sarebbe tornato al forte, non ancora. Ma si era imbattuto in Geralt, e in lui aveva intravisto una possibilità.
    Non soltanto salvarlo dai drowner era servito a far uscire il cacciatore da quel pantano di indecisione e dubbio in cui la sconfitta da parte dei mannari lo aveva precipitato, ma aveva aperto davanti ai suoi occhi una possibilità. Geralt era un mago, e ci sapeva fare.
    Non avevano parlato tanto e, soprattutto, Geralt non era così loquace da spifferare i suoi segreti - che ne avesse era indubbio, tutti ne avevano -, però il cacciatore si era fatto l'idea che si trattasse di un mago fuori dal comune. Lo aveva visto in azione, avevano affrontato i drowner insieme. Viveva al di fuori di un'Accademia, e già questo contribuiva a fondare l'idea che non fosse un uomo abituato a soggiacere a limiti o a rispettare regole. Sembrava, in sostanza, proprio quello che ci voleva per Rhaenys.
    Non che la ragazza non avesse fatto vedere il suo marchio misterioso ad altri maghi, ma nessuno era stato in grado di fornire una risposta soddisfacente. Kryston sperava che Geralt sarebbe stato diverso, che sarebbe riuscito dove gli altri avevano fallito. Non aveva idea da dove tirasse fuori quella convinzione, visto che lo conosceva appena. Ma nonostante il breve tempo trascorso insieme, e nonostante Geralt non avesse fatto nulla per mostrarsi degno di fiducia, Kryston confidava in lui. Era qualcosa di completamente illogico, ma quando mai il cacciatore era stato razionale?
    Rhaenys andò a salutare l'amico stringendolo in un abbraccio forte.
    "Mi sei mancato" disse.
    "Anche tu" rispose.
    Non immaginava che avrebbe detto una cosa del genere, ma in qualche modo il Forte della Chimera gli era mancato. Quei freddi corridoi che aveva attraversato mille volte con Alihana, la piazza d'armi in cui si era addestrato con gli istruttori, la sala comune, ogni cosa.
    Ma più di tutto aveva sentito la mancanza delle persone. La sua gemella innanzitutto, e Rhaenys.
    Geralt, che aveva assistito alla scena tenendosi necessariamente un po' in disparte, aprì bocca a sua volta.
    "Quindi… voi due?" chiese, o meglio, alludette.
    La fronte di Kryston si increspò appena, trascinata in basso dal movimento delle sopracciglia rosse. Impiegò un istante a capire cosa intendesse il mago, perché ciò che aveva capito lui era qualcosa di così distante dalla realtà da apparire impensabile.
    Rhaenys si accigliò, mentre l'amico liquidò la faccenda con un vago gesto della mano, che non negava niente, ma più semplicemente significava "non sono affari tuoi".
    Del resto il motivo per cui aveva condotto Geralt era ben lontano da insinuazioni e pettegolezzi: lui aveva bisogno di protezione e a Kryston serviva qualcuno che aiutasse Rhaenys, fine della storia. Il mago comunque non perse tempo: il suo sguardo insinuante e sagace aveva già individuato qualcosa nella figura della cacciatrice, come se avesse intuito il pensiero.
    Rhaenys fece un'espressione stupita e Kryston fu sul punto di intervenire per rassicurarla che non aveva fatto parola del suo marchio - sapeva quanto quella cosa fosse privata - ma non ce ne fu bisogno: fu lo stesso Geralt ad ammettere che aveva fatto tutto da solo, dal momento che il cacciatore non aveva scucito nulla sull'argomento. Fu con una certa arroganza che il mago sostenne di possedere una straordinaria sagacia e di essere al di sopra degli altri. Kryston ebbe un senso di déjà vu e sentì quell'uomo estraneo e contemporaneamente uguale a lui. Fu una sensazione strana, che nacque come un germoglio nel suo stomaco. Ma ancora una volta fu Geralt a dettare i termini della conversazione, dichiarando di avere bisogno di rinfrescarsi.
    "Vieni con noi" disse Kryston, rivolgendogli un cenno del capo che valeva come un invito a seguirlo.
    Lui e Rhaenys si misero alla testa di quella brevissima carovana.
    "Ma dove l’hai trovato un tipo del genere?" domandò Rhaenys.
    "Lunga storia" rispose l'amico stringendosi nelle spalle. "Ero sulla Via del Maestro... Aveva bisogno di un riparo e io ho pensato che ti potesse essere utile. Ci sa fare con la magia, l'ho visto io. Può valere la pena tentare, no?"

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    Rhaenys & Geralt Shepard Rutherford
    "Vieni con noi" disse Kryston, facendo cenno a Geralt di seguire lui e Rhaenys mentre entravano dentro Forte della Chimera, guidandolo.
    Dopotutto quella era casa loro quella e sebbene il mago si fosse praticamente invitato al Forte, gli era stato possibile accadere solo perché Kryston aveva pensato che potesse aiutare Rhae.
    Sapeva che si trovava lì per uno scopo e non puramente per mera spirito caritatevole, ma poco importava, gli bastava giovare da quella situazione. Senza contare che sarebbe stato divertente scoprire che tipo di maledizione aveva colpito la cacciatrice e in quali circostanze.
    Che l’avrebbe spezzata non ne aveva dubbi.
    Era così convinto di essere invincibile che non si poneva nemmeno il problema.
    « Che gentili… » commentò il biondo con fare baldanzoso, seguendo i due Cacciatori e osservando con attenzione tutto quello che lo circondava.
    Non era mai stato in quel posto, ma doveva ammettere che aveva un certo fascino…
    Se ti piacciono le cose fatiscenti e tenute in maniera davvero rozza.
    Il mago sentì la Cacciatrice domandare al suo amico o amante – non aveva ancora capito cos’erano quei due l’uno per l’altra – dove lo avesse trovato.
    Geralt sogghignò ripensando al modo pittoresco in cui lui e il rosso si erano incontrati.
    Era stato davvero un segno del destino.
    Qualcuno doveva aver deciso che Geralt non doveva ancora morire, evidentemente, perché senza Kryston sarebbe annegato o sarebbe stato fatto a pezzi da dei drowner davvero irritanti.
    Era stato un colpo di fortuna, poco ma sicuro.
    "Lunga storia" rispose semplicemente Krys, mentre Rhae lo guardava "Ero sulla Via del Maestro... Aveva bisogno di un riparo e io ho pensato che ti potesse essere utile. Ci sa fare con la magia, l'ho visto io. Può valere la pena tentare, no?"
    Lei annuì, rivolgendo all’amico uno sguardo seriamente grato per aver pensato a lei.
    Rhae aveva quasi perso la speranza di poter spezzare la maledizione, per questo era tornata al Forte e aveva deciso di rimanere fino alla fine del suoi giorni.
    L’ultimo mago che aveva visto (lo stupido Keenan Shepard) era stato un buco nell’acqua e quelli più in alto, i Primi Incantatori o chissà chi altri, non poteva certo pagarli abbastanza per farsi aiutare.
    Aveva finito tutto il suo oro e ormai si era rassegnata… ma quel Geralt, forse avrebbe potuto tentare un’ultima volta.
    « Male di sicuro non può fare. » disse con un sospiro, lasciando la fiammella della speranza divampasse di nuovo nel suo petto.
    « Grazie... » disse a Krys a bassa voce, perché si sarebbe mai sentita di averlo ringraziato abbastanza per quel gesto, considerando che il rosso aveva fatto davvero molto di più di quello che entrambi credevano.
    Le aveva portato suo padre, sebbene nessuno al momento lo sospettasse.
    « Sembra un tipo che porta guai. » commentò poi voltandosi verso Geralt, che mansueto seguiva i due, in attesa di vedere dove sarebbe stato condotto.
    Un sorriso si fece largo sul suo bel viso.
    « Sono gli altri che ne causano a me, ma non vi recherò disturbo. » li tranquillizzò, anche se Geralt Shepard era solo l'ennesima calamità che si abbatteva su Forte della Chimera.
    cacciatrice / mago
    25 anni / 50 anni
    cacciatrice / mago ribelle
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Agli occhi di Kryston, Geralt era una presenza fuori luogo al Forte della Chimera. Nulla di personale: quell'impressione nasceva ogni volta che un estraneo metteva piede nella dimora del cacciatore. Al forte c'era un modo di vivere ben preciso, fatto di istruzioni e addestramento, e sia l'una che l'altro non erano per tutti, bensì solo per coloro che il destino - o un intruglio - aveva voluto dotare di capacità e tempra superiori rispetto alla media degli umani.
    Anche Geralt però aveva le sue abilità, e Kryston aveva già avuto modo di scoprirlo e apprezzarlo. Era solo diverso da loro, non che tuttavia costituisse un grande problema.
    A giudicare dalla naturalezza con cui il mago si muoveva, sembrava che invece quest'ultimo si sentisse perfettamente a suo agio in quel luogo conosciuto, così come sembrava anche immune alle occhiate sospettose che Rhaenys gli lanciava.
    Aveva avuto ciò che voleva: un riparo. Era bastata l'intercessione di Kryston a garantiglielo e il cacciatore aveva avuto anche il suo interesse a muoverlo. Geralt poteva quindi dirsi soddisfatto e non ci sarebbe stato da stupirsi per quell'espressione sorniona che gli era spuntata sul volto, quella di chi la sapeva lunga.
    Appurato che il mago non costituiva un problema - non che Kryston ne avesse mai dubitato: aveva il sentore di un'intesa irrazionale con quell'uomo -, ciò che gli premeva al momento era accertarsi dell'umore di Rhaenys. La cacciatrice non era la ragazza più docile del pianeta, e in quel caso specifico l'amico riusciva a capire con quanto poco entusiasmo parlasse del suo marchio. Eppure lui aveva insistito lo stesso, consapevole di fare la cosa giusta - forse per la prima volta dopo tanto tempo. Non c'era nessun motivo razionale per dirlo, eppure pensava che se ci fosse stato qualcuno capace di occuparsi di quel marchio, sarebbe stato proprio Geralt. Lo conosceva da troppo poco tempo per fidarsi così ciecamente, ma dubitare delle sue capacità gli sembrava comunque inopportuno.
    Così, mentre il mago commentava con quell'aria da santocchio la loro gentilezza, lo sguardo ceruleo di Kryston vagò in direzione di Rhaenys, come se aspettasse un suo verdetto.
    "Male di sicuro non può fare" concesse alla fine con un sospiro, e il cacciatore non riuscì a nascondere un sorriso trionfante.
    "Grazie" aggiunse poi e, per tutta risposta, mentre le camminava vicino Kryston toccò la spalla di lei con la propria.
    Era il suo modo di farle sapere che ci sarebbe stato sempre e avrebbe fatto tutto quello che era in suo potere per aiutarla con la sua maledizione. Anche ripescare un eretico da qualche stagno.
    Il sibilo di Rhaenys lo raggiunse nuovamente: sostenne che Geralt le dava l'idea di una persona che portava guai.
    Kryston si ritrovò a inarcare le sopracciglia. In parte anche lui aveva avuto quell'impressione - comunque non ci si poteva aspettare niente di buono da un mago che gironzolava tenendosi alla larga dai guardiani -, ma era anche convinto che non ne avrebbe portati a loro. O almeno lo sperava.
    "Sono gli altri che ne causano a me, ma non vi recherò disturbo" commentò Geralt, che si teneva a un passo dietro di loro e aveva ascoltato.
    "Sarà meglio così. Ricordati che hai un debito da saldare" ripose Kryston voltandosi e rivolgendogli un'occhiata più di intesa che di rimprovero.
    I cacciatori, e il mago al loro seguito, raggiunsero una porta, dietro la quale Geralt avrebbe trovato tutto l'occorrente per riposarsi e rinfrescarsi, come voleva lui. Krys la schiuse e con un ampio gesto indicò il suo ingresso.
    "Ci vediamo dopo" disse poi, rivolgendo un cenno del capo sia a lui che a Rhaenys, per poi separarsi da entrambi.

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  15. .

    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Geralt era in viaggio da diversi giorni e stava procedendo tranquillo lungo la Via del Maestro.
    Solitamente si teneva alla larga dalle strade principali, che pullulavano di persone potenzialmente pericolose per lui.
    Da un po' di tempo, sembrava invece che percorrendo strade battute e in special modo la Via del Maestro, si corressero meno rischi che allontanandosi per sentieri inesplorati.
    Così, Geralt aveva deciso di percorrere con il proprio cavallo, la via principale, che tagliava a metà il regno di Aslya, come una cicatrice, invece che deviare il proprio percorso e allungare così il tempo che avrebbe impiegato per ricongiungersi ai suoi uomini.
    Era di ritorno da una missione solitaria, una di quelle missioni delle quali non parlava a nessuno.
    Ogni tanto Geralt prendeva e se ne andava, semplicemente, viaggiava per il continente a piedi, non usava la magia, segnava villaggi sulle sue mappe, parlava con la gente, chiedeva informazioni e mostrava il ritratto di una donna dai capelli rossi, raffigurata in un ciondolo che portava sempre al collo.
    Ogni volta la stessa storia… gli abitanti dei villaggi scuotevano la testa al suo "Avete per caso visto questa donna?" e non sapevano prestargli aiuto.
    Nessuno aveva visto una donna che somigliasse a lei e ogni giorno c'erano sempre meno luoghi nei quali cercare, meno villaggi da poter visitare e meno possibilità che la sua donna, la madre di suo figlio, fosse viva e assieme al piccolo, che ormai sarebbe stato un uomo.
    Geralt sapeva che una volta ricongiunto con lei, si sarebbe ricongiunto anche a Keenan.
    Per lui aveva abbandonato l'Egros, sperando di potergli dare una vita migliore, un luogo in cui non sarebbe stato cacciato o rinchiuso in un'Accademia.
    Geralt era convinto di poter aggiustare ogni cosa, ma sapeva che sarebbe stata dura farsi perdonare da lei, ma ci sarebbe riuscito.
    I giorni scorrevano, sempre allo stesso modo. Geralt mangiava, si riposava, montava a cavallo e proseguiva il suo viaggio. Un viaggio che non aveva dato frutti, nemmeno quella volta.
    Si teneva alla larga dai luoghi frequentati dai Guardiani, evitava di incontrare altre carrozze e dava poche informazioni di sé. La notte riposava lontano dalla via principale, il fuoco spento e la spada sempre in pugno. Alle prime luci dell'alba saltava in sella al proprio cavallo e ripartiva.
    Quel giorno, giunto nei pressi di un lago di montagna, il cavaliere smontò da cavallo legando le briglie al ramo massiccio di un albero e avvicinandosi alla riva.
    Indossava ancora la sua pesante armatura, dalla quale non si separava mai, perché faceva intuire di aver a che fare con un cavaliere piuttosto che con un mago, uno di quei cavalieri erranti che ancora si aggiravano per il regno di Aslya, in perenne lotta contro banditi e quant'altro il continente avesse d'offrire, anche se ormai ne restavano più pochi e forse nessuno onesto.
    Avvicinandosi alle sponde del lago, Geralt si inginocchiò vicino alla riva, smontando l'armatura per potersi fare finalmente un bagno.
    Depositò spada e ogni cosa che possedeva al proprio fianco, restando a piedi nudi e con ancora la blusa addosso e le braghe, fu in quel momento che, mentre le nuvole cariche di pioggia oscuravano il sole, qualcosa emerse dallo specchio d'acqua nel quale si stava per tuffare.
    Due braccia bluastre e squamate si protesero verso di lui, aggrappandosi alle sue spalle, saldamente.
    Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersi di niente, si sentì solo afferrare e poi venne trascinato dentro il lago, lasciando dietro di sé solo qualche onda.
    cavaliere incantatore
    50 anni
    capo dei maghi ribelli
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Il tempo lenisce tutte le ferite, diceva il detto, e Kryston poteva affermare che chiunque lo avesse inventato ci aveva visto giusto.
    Le lesioni si rimarginavano, il senso di sconfitta pian piano si attenuava. Quanto alle prime, però, non svanivano mai del tutto, come d'incanto. Al cacciatore bastava sfilarsi il camicione e osservare il suo riflesso in uno specchio o nel letto di un torrente per adocchiare quelle lunghe strisce di pelle in rilievo che percorrevano la sua schiena. Cicatrici regalate dagli artigli dei mannari, un dono permanente che doveva abituarsi a considerare parte integrante del suo dorso.
    Di solito Kryston evitava di guardare quei segni, o di toccarli. Anche senza contatto però sapeva che si trovavano lì, sempre a ricordargli come quel contratto fosse finito male e avesse rischiato di finire peggio, con la sua morte.
    Eppure le settimane erano trascorse, trasformandosi in piedi, e lui era ancora lì. Più forte delle cicatrici? Non era ancora detto. Ma le fratture si erano rinsaldate, il tono muscolare era tornato, così come la voglia di rimettersi alla prova.
    Aveva deciso di partecipare al torneo indetto in occasione del matrimonio reale a Thevia, ma aveva convissuto con il dubbio fino all'ultimo. Persino quando i suoi stivali avevano calcato il suolo sabbioso dell'arena, una vocina fastidiosa gli aveva sussurrato all'orecchio che, come non era stato in gradodi sconfiggere i lupi, non avrebbe potuto affrontare le prove che gli si sarebbero parate davanti. Eppure il cacciatore aveva continuato ad avanzare. Con le ginocchia bloccate e lo stomaco contratto, ma aveva continuato ad avanzare.
    Il torneo non si era certo svolto come aveva previsto, e l'apparizione di un drago aveva causato decisamente molto scompiglio. Kryston ricordava come se fosse stato ieri l'attimo di puro terrore in cui aveva creduto di doverlo affrontare. Però quell'attimo gli aveva anche fornito un'iniezione di adrenalina che aveva risvegliato qualcosa in lui, e per una manciata di secondi aveva avuto la sensazione di essere tornato quello di sempre. Il cacciatore senza paura, mai sconfitto, invincibile.
    Eliza aveva giocato un ruolo inaspettato, ma probabilmente determinante in quel processo. Però spesso Kryston sentiva il bisogno di allontanarsi dalla casetta a Bluegrass. Temeva che ciò venisse scambiato per ingratitudine, ma era più forte di lui: il richiamo di spazi aperti e di confini sempre più larghi vinceva su tutto. Era un cacciatore, cresciuto per vagare e affrontare mostri. Una vita sedentaria era a dir poco inconcepibile.
    Si ritrovò così a percorrere la Via del Maestro, che atteaversava la regione. Il suo era un vagabondare alla ricerca di nuovi contratti, e in parte era stato già accontentato, anche se per cose di poco conto.
    Il cavallo che montava era il pagamento per aver liberato una palude da un Nekker. La spada a una mano e mezzo era invece la sua, l'arma fedele che si portava dal Forte della Chimaera.
    Il quadrupede incedeva senza fretta, Kryston non aveva urgenza di giungere da nessuna parte. Fu un bene, perché quell'andatura placida gli consentì di notare che qualcosa non andava.
    Un cavallo era stato legato al ramo di un albero con delle briglie, una sacca da viaggio era stata abbandonata sulla sponda di un lago. Le acque lì accanto erano agitate da qualcosa, o forse da qualcuno.
    Drowner , pensò il cacciatore. Tanto fetidi quanto stupidi. L'esemplare in questione però era stato abbastanza fortunato da trovare una preda, e purtroppo non sembrava una lavandaia.
    Kryston smontò in fretta di sella, rinunciando a legare la sua cavalcatura, o del malcapitato non sarebbero rimaste che le ossa. Non portava addosso un equipaggiamento ingombrante o pesante: scalciò via gli stivali, slacciò il fodero della spada e si immerse. Afferrò il tizio e tentò di sollevarlo per fargli guadagnare ossigeno, mentre con la lama iniziava a menare fendenti contro il drowner.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Le braccia che lo avevano trascinato a fondo lo tenevano ancora saldamente, artigliandogli le vesti e conficcandosi nella sua pelle, scoperta dalla pesante armatura che era solito indossare.
    Dal suo corpo, iniziarono a diradarsi piccole scie di sangue, là dove il drowner aveva affondato i suoi artigli, che si allargavano nell'acqua del lago come una gocce d''inchiostro scivolate in acqua, ramificandosi attorno a lui.
    Più cercava di lottare per tornare a galla, più si sentiva incollato a quella creatura, che stava cercando in ogni modo di farlo a pezzi, lacerandogli la pelle e provando ad arrivare alla gola.
    Sarebbe stata una morte orribile, avrebbe potuto considerarsi fortunato se fosse annegato prima di sentirsi dilaniare dai senti aguzzi del mostro.
    L'ossigeno a sua disposizione era poco, visto e considerato che non aveva potuto trarre un profondo respiro prima di esser trascinato sott'acqua, al contrario, per la sorpresa, aveva espirato la riserva d’aria nei suoi polmoni.
    Ma tra tutte, la cosa più terribile era indubbiamente il freddo del lago ghiacciato.
    L'acqua era così gelida che pareva venir infilzati da centinai di lame affilate, che si scavavano una strada nel suo corpo fino a penetrare nelle ossa.
    Gli artigli del drowner erano nulla a confronto.
    Il corpo di Geralt, iniziò a intorpidirsi. Rispondendo con un meccanismo di difesa allo sbalzo termico eccessivo e improvviso.
    Sentiva a mala pena la risposta delle braccia che si dibattevano contro la creatura squamosa, tenendola lontana da sé, spingendo la testa indietro. Le gambe si muovevano con fatica nel tentativo di farlo restare a galla.
    Non se la sarebbe cavata, ma era troppo orgoglioso e testardo anche solo per capirlo.
    Quando Geralt sentì che i suoi polmoni stavano ormai cedendo, in fiamme - al contrario del suo corpo sempre più freddo - due grandi braccia lo afferrarono e lo tirarono verso l'alto, salvandolo.
    Le braccia del drowner erano ancora avvinghiate attorno a lui, ma una vota tornato in superficie inspirò una profonda boccata d'aria, e poi un’altra e un’altra ancora, mentre l’uomo che lo aveva tratto in salvo lo sorreggeva, sferzando fendenti contro il drowner che, ritrovatosi con un braccio mozzato, lasciò la presa tra urla strazianti, schizzano i due uomini con il suo sangue viscoso e maleodorante.
    Geralt, il fiato corto e scosso dai brividi, si liberò dalla presa di quello che si sarebbe rivelato essere un cacciatore, cadendo carponi in acqua e potendo finalmente mormorare un incantesimo.
    Poggiò il palmo della mano aperta sulla superficie dell’acqua, la quale sembrò incendiarsi, come cosparsa di liquame infiammabile, facendo in modo di arrivare fino al drowner e avvolgero in spire di fuoco, mentre gridava e gracchiava senza sosta, arrancando per tornare a immergersi completamente in acqua, sebbene la portata delle ustioni fosse ormai già troppo grave.
    Gli occhi di Geralt schizzarono a destra e a sinistra, osservando fugacemente il suo salvatore e la riva, dove si trovava la sua spada.
    « Altri. » riuscì solo a dire, i denti che battevano assieme e lo sguardo puntato verso l’acqua, che stava vibrando, poco prima che quattro creature simili a quella appena affrontata, si slanciassero contro di loro.
    Mormorò un latro incantesimo, e dal lago fuoriuscirono delle stalagmiti di ghiaccio, che bloccarono momentaneamente l’avanzata dei drowner, mentre lui arrancava verso la riva, andando a recuperare la sua amata spada.
    Non si preoccupò, per il momento, di aver dato prova di essere un eretico di fronte a un perfetto sconosciuto.
    Ci avrebbe pensato una volta eliminate quelle bestie.
    cavaliere incantatore
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    Kryston il Cacciatore
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    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    L'uomo in questione non era stato così idiota da pensare di fare un bagno con indosso l'armatura. Infatti, quando Kryston si era diretto ad ampie falcate verso lo specchio d'acqua, si era ritrovato a scavalcare un usbergo, un paio di spallacci e un busto di ferro. Tuttavia era pesante anche senza tutto quel metallo addosso, e il cacciatore dovette lottare contro la presa salda del Drowner per mantenere la testa del cavaliere sopra il pelo dell'acqua.
    La lotta sollevò numerosi spruzzi, la creatura acquatica aveva dita forti, ma Kryston le aggredì ripetutamente con la sua spada. Non c'era stato tempo per ideare un intervento diverso, ma in ogni caso sapeva che con un pochino di fortuna sarebbe bastato. I Drowner erano rapidi, ma erano anche profondamente stupidi e bastava un attacco fulmineo per fare in modo che non sapessero più raccapezzarcisi e finissero sconfitti. Non era la prima volta che Kryston affrontava creature del genere, e non erano neanche le più temibili contro le quali avesse mai combattuto. Anzi, tutte le volte che interveniva contro di loro, il cacciatore era abituato a pensare ai Drowner come a delle scocciature con la pelle putrefatta e gli occhi pallidi. Conosceva il loro modo di agire, sapeva che si muovevano nei pressi delle fonti d'acqua alla ricerca di qualche sprovveduto da annegare e sgranocchiare. Contavano più sull'effetto sorpresa che su una reale strategia o una forza temibile, sebbene quelle dita morte e quegli arti decomposti non fossero poi deboli. Ma bastava non farsi sorprendere per evitare che il Drowner avesse la meglio.
    Il cavaliere in questione non era stato abbastanza accorto, ma a quanto pareva doveva essere il suo giorno fortunato, visto che Kryston si trovava a passare di là. Quest'ultimo continuò ad assestare brutali colpi di spada, sentendo di volta in volta la resistenza della creatura farsi meno accentuata. Tuttavia era di vitale importanza che la bocca e le narici dell'uomo restassero fuori dall'acqua, o sarebbe annegato. Ma finché il cacciatore lo avesse sentito tossire, avrebbe saputo che era vivo.
    Kryston ricacciò per qualche attimo il Drowner sott'acqua. In quel momento, avvertì qualcosa scivolargli dalla presa. Si voltò di scatto, distogliendo gli occhi da quel corpo in decomposizione per scoprire cosa stava accadendo al cavaliere. Per una frazione di secondo ipotizzò la presenza di un'altra creatura, visto che amavano cacciare in gruppo. Ma il lampo di allarme che lo aveva attraversato si dissolse quando si accorse che l'uomo non veniva portato via da un altro Drowner affamato, bensì si allontanava a forza di braccia. Si distanziò il tanto che bastava per raggiungere la riva del lago, quando a un certo punto appoggiò un palmo sulla superficie dell'acqua. Kryston doveva tenere a vista il Drowner, ma con la coda dell'occhio notò delle lingue di fuoco che si sprigionavano laddove la mano dell'uomo aveva toccato il pelo del lago.
    Dunque non era un semplice cavaliere. Era un mago.
    Cosa ci fa un mago fuori dall'Accademia?"
    Le fiamme aprirono la loro strada fino alla bestia, senza danneggiare altre creature lacustri, o finanche il cacciatore. Il corpo del Drowner venne avviluppato da lingue incandescenti, le sue urla inarticolate si propagarono per la piana finché non decise di immergersi completamente. Quel tuffo avrebbe estinto le fiamme, forse, ma non lo avrebbe salvato, in quanto già troppo danneggiato.
    Uno di meno, si ritrovò a pensare Kryston, senza particolare pietà per lui.
    Il cacciatore si diresse verso la sponda del lago, ma prima che potesse emergerne del tutto, la voce del mago lo costrinse a voltarsi di nuovo.
    "Altri."
    Enormi stalagmiti di ghiaccio perforarono la superficie lacustre, evidentemente anche questi creazione del cavaliere. In quel momento Kryston era più ansioso di liberarsi dei quattro Drowner appena emersi che preoccupato dello status di eretico di quel mago.
    Le stalagmiti trattennero le creature, dando il tempo ai due uomini di uscire dall'acqua. Mentre il mago si dirigeva verso la sua spada, Kryston si avventò sulla sua bisaccia, la aprì e soppesò sulle dita alcune bombe. Vagliò rapidamente un paio di idee, ma poi ne trasse il Soffio del drago.
    Raggiunse nuovamente il cavaliere che, spada in mano, si preparava ad affrontare la nuova orda di Drowner. Palleggiò un paio di volte la bomba, poi diresse un mezzo sorriso all'altro.
    "Che ne diresti di qualche altra fiammella, eretico?"
    Ormai aveva mostrato la sua magia, tanto valeva impiegarla per qualcosa di utile. Kryston stesso avrebbe potuto dar fuoco al Soffio di drago con un incantesimi elementare, ma aveva a disposizione un vero mago, che sicuramente si sarebbe rivelato più efficace, così aveva deciso di approfittarne.
    Caricò il braccio all'indietro, preparandosi al lancio, poi scagliò la bomba. Se l'eretico fosse stato sufficientemente preciso, l'avrebbe colpita in aria quando avrebbe iniziato la sua discesa verso di Drowner, che sarebbero stati così travolti dall'esplosione.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Geralt, nella sua vita, non aveva mai avuto modo di incontrare un cacciatore, sebbene avesse studiato diversi dei loro tomi nei quali si parlava - seppur in maniera molto larga - delle debolezze delle varie creature mostruose che si potevano incontrare sul proprio cammino e sul modo corretto di affrontarle per non uscirne a pezzi.
    L’idea di lanciare contro il drowner, quelle lingue di fuoco che lo avvolsero, derivava proprio dalla conoscenza di Geralt sulla debolezza della creatura di fronte a lui, esattamente come era a conoscenza che con la giusta arma, non sarebbe stato difficile fare a pezzi l’annegato.
    Con un paio di fendenti ben assestati avrebbe ridotto il corpo melmoso dell’essere a una poltiglia maleodorante.
    Il problema fu che Geralt venne preso di sorpresa, proprio nel momento in cui era disarmato.
    Una spiacevole coincidenza, che per poco non lo vide annegato e fatto a pezzi dalla creatura bluastra.
    Fortuna volle che un cacciatore fosse di passaggio, e come tutti i cacciatori, quello corse verso la belva, sottraendogli Geralt e risparmiandogli una morte orrenda.
    Una volta ripresa una boccata d’ossigeno, il mago usò la sua magia per rallentare la creatura e avviarsi verso la riva, per riprendere la sua spada, in vista degli altri morti annegati che si stavano dirigendo verso di loro, fuoriuscendo dalle acque gelide del lago.
    Avvisò il cacciatore, usando la sua magia per intralciare la loro avanzata, correre quindi verso la propria arma.
    Strinse l’elsa tra le mani estraendola dal fodero e nel preciso istante in cui lo fece, la lama si illuminò diventando poi incandescente.
    Nel frattempo, il cacciatore aveva estratto delle bombe dalla bisaccia, strumenti del mestiere per quelli della sua razza, pronto ad affrontare le creature che gli si sarebbero gettate contro di lì a poco.
    "Che ne diresti di qualche altra fiammella, eretico?" domandò a Geralt, rigirandosi tra le dita una delle bombe, lasciandogli così intendere a cos’avesse intenzione di fare.
    « Mira bene, cacciatore. » gli consigliò il mago con un sorriso sghembo, mentre l’altro caricò il bracciò all’indietro, lanciando la bomba contro il gruppo di creature furiose e affamate.
    Geralt, a quel punto si esibì con un fendente dell’arma, che sembrò tagliare solo l’aria, proiettando però verso le creature una lama di fuoco, che mutilò alcune di loro, ed i loro arti recisi finirono nell’acqua intinta del putridume del loro sangue melmoso.
    In secondo luogo, il fendente intaccò anche la bomba, che a contatto con le fiamme esplose, proprio nel bel mezzo del gruppo di annegati, illuminando la zona ed annunciandosi con fragore, per lasciarsi poi dietro solo corpi anneriti e interiora
    Dopo qualche istante di sollievo, e dopo essersi accertato che nessun altro drowner fosse pronto a spuntare dalle acque, Geralt rilassò le spalle.
    « Bel lancio. » si complimentò, mentre la lama della spada acquista di nuovo il comune colore del metallo e Geralt abbassava il braccio, piantando la punta dell’arma nel terreno, restando semplicemente a osservare il rosso di fronte a lui.
    Non che i cacciatori dovessero mettere il becco nelle faccende che non concernevano i mostri, ma una domanda sorgeva spontanea e si agitava nella bella testa bionda e gocciolante di Geralt: quel cacciatore, era fedele ai suoi principi o avrebbe cercato di consegnarlo ai Guardiani?
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Kryston era un uomo impulsivo, la cui prima tentazione sarebbe stata quella di impugnare una spada e saltare addosso al primo avversario che si trovava a tiro - uomo o mostro che fosse. Qualcosa scattava dentro di lui, i muscoli guizzavano pervasi da una nuova energia, i sensi si acuivano e sfogare quella foga diventava una necessità quasi fisica.
    Ma anni di addestramento al Forte della Chimaera gli avevano insegnato che usare la testa era altrettanto utile che ricorrere alla forza o alle armi. Ogni nemico aveva un punto debole diverso, e occorreva conoscerli e saperli sfruttare. Ci voleva un po' di furbizia in tutto ciò, e magari anche un po' di fantasia. Kryston non amava gli studi teorici, anche se sapeva che in parte erano necessari. Tuttavia era ben consapevole che la vera differenza la faceva saper reagire sul campo, saper approfittare del vantaggio che il terreno poteva fornire, non esitare e ritorcere contro l'avversario le sue stesse debolezze. Al forte insegnavano che i Drowners temevano la luce e il fuoco, insegnavano inoltre come confezionare e usare al meglio una bomba incendiaria chiamata suggestivamente Soffio del drago. Ma non spiegavano come stipulare un'inaspettata quanto controversa alleanza con un mago eretico.
    Ma Kryston sapeva come evitare di perdere tempo e cercare tuttavia una soluzione possibilmente intelligente. Era intervenuto per salvare quello stesso mago in procinto di annegare - era proprio questo quello che facevano i Cacciatori, no? A dispetto di una fama che non avrebbe portato nessuno a dir loro grazie con calore e ammirazione, servivano a proteggere le persone da quelle creature.
    Considerato che adesso l'uomo sembrava perfettamente in grado di reagire e di utilizzare i propri poteri, cosa che aveva già fatto in modo per altro efficace, Kryston non esitò a coinvolgerlo nella nuova offensiva che avrebbe scagliato contro i Drowners. Non c'era tempo per concordare un piano: doveva sperare che l'altro avrebbe capito e soprattutto avrebbe agito con il tempismo che il cacciatore si aspettava da lui. Kryston doveva fidarsi, doveva confidare nelle capacità dell'eretico e nella loro buona sorte.
    C'era un'altra caratteristica che dipingeva il ragazzo. Oltre all'impulsività, era l'ottimismo - qualcuno avrebbe detto superbia - che lo accompagnava ogni volta che si lanciava in uno scontro, la cieca fiducia che nessun proiettile, lama o artiglio sarebbe affondato nelle sue carni.
    Negli ultimi tempi quell'ottimismo aveva vacillato, e di molto. Dopo i mannari, le cose non erano state più le stesse. Kryston non era stato lo stesso.
    E anche in quell'occasione, mentre si trovava col braccio caricato all'indietro, ebbe un secondo di esitazione, un attimo mentre una voce nella sua testa gli urlava che non ce l'avrebbero mai fatta, che avrebbe lanciato troppo piano o troppo lontano, che una sua disattenzione sarebbe costata entrambe le loro vite. Ma alla fine lanciò.
    Nel frattempo, il mago aveva impugnato nuovamente la sua spada, che non era un semplice pezzo di metallo ben affilato. Gli bastò agitarla e la lama si accese, animata da fiamme che danzavano sul suo filo.
    La bomba scagliata da Kryston tracciò un arco in aria: salì con la forza impressa dal braccio muscoloso del cacciatore, arrivò all'altezza massima che avrebbe potuto raggiungere e poi, quasi pigramente, iniziò la sua ridiscesa.
    Quando ciò accadde, un fendente dell'eretico provocò un nuovo mutamento dell'aria: una scaglia di luce che fendette una discreta porzione di spazio, per raggiungere con estrema precisione il Soffio del drago.
    L'esplosione che ne conseguì indusse Kryston a sollevare un braccio e a schermarsi gli occhi, ma anche così riuscì a vedere il risultato che avevano prodotto. Fu come se il cielo stesso fosse esploso, gettando scintille come una pioggia. I Drowners vennero completamente investiti e ridotti in frammenti sanguinolenti, piccoli e assolutamente inservibili.
    Com'era iniziato, quell'inferno sparì, come se si fosse riassorbito. Della bomba incendiaria non restava più nulla, mentre delle creature mostruose restavano solo brandelli orrendamente mutilati.
    Kryston gonfiò il petto e riprese a respirare normalmente, mentre l'adrenalina ancora lo percorreva in pulsazioni violente.
    "Bel lancio" gli disse il mago.
    Il cacciatore si voltò a guardare quel volto squadrato, parzialmente coperto da una folta barba.
    "Bel colpo" rispose.
    Quell'alleanza aveva funzionato; ora che i mostri erano stati sconfitti non c'era altro che dovessero fare. Tuttavia aveva di fronte un mago, e non si trovavano in un'Accademia. Avrebbe dovuto consegnarlo ai Guardiani? Era così che funzionava, Kryston lo sapeva bene, e d'altra parte a quello sconosciuto non doveva niente, semmai era il contrario. Eppure, per qualche motivo, chiamare i Guardiani non fu il suo primo impulso.
    "Che ci fa un mago lungo la Via del Maestro?" chiese assottigliando quegli occhi azzurri in un modo che faceva sembrare la sua un'espressione di scherno. "Io sono Kryston" si presentò.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    C'era stata una sintonia innegabile tra quei due, nella loro collaborazione per sconfiggere il branco di drowner, dei quali non restava nulla se non melma che imbrattava a riva del lago.
    Geralt si ripeteva di riuscire a comprendere le persone con un'occhiata, come se a pelle potesse riuscire a inquadrare chi era meritevole della sua fiducia e chi invece era il più riprovevole degli individui sulla faccia della terra.
    Quel cacciatore, non gli comunicò nessun tipo di sensazione negativa, tutto il contrario.
    "Bel colpo" gli rispose infatti, facendo sogghignare Geralt, socchiudendo poi quegli occhi azzurri che si ritrovava.
    "Che ci fa un mago lungo la Via del Maestro?"
    Mago non era la definizione corretta, eretico era quella giusta, lo sapevano bene tutti e due – sebbene il biondo la rifiutasse per indole, considerandola una parola inventata dai Guardiani o chi per loro, per screditare i maghi liberi.
    « Si caccia nei guai. » fu la semplice enigmatica risposta di Geralt, che non era disposto a condividere pi informazioni del necessario, anche se aveva davanti l'uomo che gli aveva salvato la vita.
    "Io sono Kryston"
    Geralt lo fissò, incapace di non trovarlo un tipo davvero interessante.
    Era il primo Cacciatore con il quale si soffermava a parlare.
    Il primo cacciatore con il quale aveva combattuto.
    Il cavaliere, allungò una mano verso il rosso, aspettando che lui la stringesse.
    Dopotutto, era sempre un lord, certi modi e maniere d'eleganza facevano parte della sua educazione, ed erano difficili da dimenticare.
    « Geralt. » si presentò, per poi lanciare uno sguardo al profilo delle montagne del nord.
    « Non sei molto lontano dalla tua Fortezza, vero cacciatore? » domandò Geralt, andando a recuperare tutte le sue cose, appellando Kryston con quel cacciatore, che per lui non aveva valenza di scherno come invece ne avrebbe avuta per qualcun altro.
    Geralt era rispettoso di chi gli pareva e irrispettoso di chi lo indispettiva.
    I Cacciatori non lo avevano mai offeso in alcun modo, addirittura uno di loro gli aveva salvato la vita. Non aveva quindi nessun motivo di comportarsi in maniera fastidiosa con lui.
    « Date riparo ai viandanti? »
    Forse la sua domanda suonava un tantino arrogante, ma era sopravvissuto e sfuggito ai Guardiani – per tutto quel tempo – non solo per le sue strabilianti doti magiche, ma anche per il suo modo di cercare alleati, anche dei più improbabili, sui quali contare in caso di bisogno.
    Rifugiarsi tra i cacciatori, non sarebbe stata quindi la cosa più strana, se si pensava che l'Altissima, attualmente a capo del culto di Neph e Ivenar, era stata di enorme aiuto a Geralt, a suo tempo, una volta che fece ritorno dall'Egros, aiutandolo a nascondersi dai Guardiani, anche se invece avrebbe dovuto consegnarlo loro senza batter ciglio.
    I Cacciatori, invece, non erano obbligato a sottostare alle leggi degli uomini.
    Il loro codice d'onore gli richiedeva solo di essere cacciatori di mostri, non giudici né assassini.
    Era quindi certo che nessuno lo avrebbe consegnato ai Guardiani che gli davano la caccia.
    Anche se alcuni avrebbero potuto replicare, con fastidio, che i Cacciatori erano tutti mercenari, disposti a fare qualsiasi cosa per un sacco di monete d'oro.
    cavaliere incantatore
    50 anni
    capo dei maghi ribelli
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Lo sguardo di Kryston saettò fugacemente di lato, rivolto allo specchio d'acqua che si trovava alle spalle del mago. Nell'aria c'era odore di bruciato e sulla superficie del lago erano ancora ben visibili i resti dei drowners, ridotti quasi a un liquame.
    Poi le iridi azzurre del cacciatore tornarono a fissarsi sul volto dell'altro. I capelli lunghi fin sotto le orecchie e la barba incolta gocciolavano ancora. A quella distanza, e senza le interferenze causate da una battaglia in corso, Kryston studiò un volto maturo e segnato. Ma lo sguardo del mago eretico ebbe un guizzo di vitalità che per un attimo lo fece sembrare molto più giovane.
    "Si caccia nei guai" rispose enigmaticamente.
    Anche se quella frase poco aggiungeva al bagaglio di conoscenze del cacciatore, non avrebbe potuto contraddirlo. Il solo fatto di essere un mago che si aggirava lontano da un'Accademia costituiva una fonte di guai, e parecchi.
    Quando l'uomo disse di chiamarsi Geralt, Kryston gli strinse la mano che gli porgeva. Fu piuttosto bizzarro presentarsi in quel modo, quasi come se nulla fosse, a uno sconosciuto con il quale si aveva appena affrontato un branco di creature mostruose.
    Non c'erano altri nomi, né cognomi, né nel caso del cacciatore, né in quello del mago. Non fu necessario neanche chiarire all'altro cosa facevano per vivere, visto che da qualche minuto era diventato lampante.
    Solo un nome. Niente pezzi di storia, informazioni sulla famiglia, sulla terra di provenienza. Per quel che lo riguardava, Geralt poteva essere alternativamente egrosiano o originario di Aslya. Poteva essere un disperato o un nobile che aveva scelto una vita di cenci. Nulla importava, e nulla a dire il vero faceva differenza. D'altro canto Kryston non era un uomo che nutriva pregiudizi. Come poteva, visto che lui era un pregiudizio vivente? I cacciatori non erano visti di buon occhio, e lui non si sarebbe particolarmente stupito se Geralt lo avesse allontanato bruscamente, anche se gli doveva la vita. Aveva assistito a scene simili in passato, scene che gli avevano fatto desiderare di aver lasciato vivo almeno un'endriagha o un ghoul per ridargli in pasto il bastardo di turno. Ma Geralt non solo non lo aveva tenuto a distanza, gli aveva teso una mano per stringergliela.
    "Non sei molto lontano dalla tua Fortezza, vero cacciatore?" continuò il mago.
    Istintivamente, Kryston si voltò verso il punto cardinale dove si trovava il Forte della Chimera, pur non potendo vedere le sue guglie da quella distanza.
    Si trovavano in uno dei punti più estremi della Via del Maestro, una strada che percorreva Aslya, e che in quella zona si tingeva delle brine del nord. A sud del monte Ebas si trovava la fortezza in cui Kryston aveva trascorso la maggior parte della sua vita, quella in cui era cresciuto e si era addestrato, in cui aveva vissuto con la sua gemella e i suoi amici. Erano un gruppo piuttosto affiatato, anche se per lui alcune persone spiccavano sullo sfondo. Rhaenys, per esempio.
    Per un attimo, Kryston ebbe la visione nitida del marchio sul palmo della cacciatrice maledetta. Rhaenys aveva affrontato qualcosa che pochi cacciatori - o forse nessuno - avrebbero affrontato: un mago, proprio come Geralt, ma posseduto da un demone. La ragazza era evasiva sulla ferita riportata, ma l'amico non poteva non sentirsi preoccupato. Non sapevano niente su quella cicatrice, ed era proprio quell'ignoranza a farlo sentire inquieto.
    Il cacciatore era così immerso in quella serie di pensieri che, quando udì nuovamente la voce del mago eretico, ebbe un po' l'effetto di uno spruzzo d'acqua gelato sul volto.
    "Date riparo ai viandanti?" stava chiedendo l'uomo.
    Kryston lo fissò.
    "Sì. Certo" rispose.
    Non era sempre vero. Non di viandanti qualunque, almeno, ma Geralt non era un uomo comune.
    "Prendi la tua roba, ti faccio strada" completò il cacciatore con l'ombra di un sorriso.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Per un momento, il cacciatore parve assentarsi.
    Voltò lo sguardo verso un punto indefinito, sulle montagne, pensando al suo Forte e svelando – più o meno – la sua ubicazione a Geralt. Anche se sarebbe più preciso dire il suo punto cardinale.
    Non che il mago potesse raggiungerlo se non c’era il volere dei cacciatori di accoglierlo. Figuriamoci.
    Inoltre, conosceva già il luogo dove era situato. Alcuni dei suoi si erano avventurati fino alle sue mura per nascondersi dai Guardiani.
    Tuttavia, solo la sua seconda domanda, sembrò riportare il cacciatore con i piedi per terra.
    "Sì. Certo" gli rispose, una risposta gradita a Geralt, che l’accolse con un sorriso compiaciuto, che forse lasciava intravedere il temperamento spocchioso del lord che sarebbe stato, se non avesse avuto le sue abilità magiche.
    Comunque, aveva proprio bisogno di riposarsi da qualche parte che non fosse la scomoda terra, seppure per poco.
    Non era però certo che i cacciatori sarebbero stati ben disposti ad accogliere un mago, proprio per tenersi lontani da possibili guai, in vece della loro neutralità (anche se in verità, ultimamente stavano facendo cose che li ponevano al di sopra della tanto decantata neutralità).
    Se Kryston avesse tenuto la bocca chiusa, riguardo la sua inclinazione magica, Geralt non lo avrebbe svelato volontariamente.
    Ogni cosa, in lui, faceva inoltre presupporre che fosse un cavaliere errante e non un eretico. Meglio così.
    "Prendi la tua roba, ti faccio strada"
    « Ho un cavallo, arriveremo prima. » gli disse Geralt, andando a recuperare le sue cose e rimettendosi addosso la pesante armatura, con movimenti veloci e abili.
    Era nato per indossarla, anche se lo faceva in un modo che suo padre non approvava granché, brandendo una spada incantata e lottando per la libertà di quelli come lui.
    Individui che, sempre secondo la sua famiglia, andavano rinchiusi in alte torri protette da incantesimi e guardie, in modo che il mondo fosse al sicuro dalle loro distruttive capacità.
    Una visione ben chiara, che aveva fatto sì che Geralt fuggisse nell’Egros, dove si era nascosto, in attesa di tempi migliori per fare successivamente ritorno ad Aslya… e dopo aver incontrato la donna che in segreto aveva sposato, aveva ancor più motivi per portare avanti la sua ribellione: costruire un mondo migliore per i suoi figli.
    Una volta riprese tutte le sue cose e le briglie del cavallo, Geralt fece ritorno da Kryston, dandogli una bella occhiata curiosa, senza vergogna.
    « Sei un ammazza mostri niente male, cacciatore. » si complimentò, visto che non era scontato che tutti i cacciatori avessero una gran tecnica.
    Certo, avevano una notevole predisposizione fisica, resa tale da un composto che li plasmava fin dal grembo materno… ma il modo in cui sviluppavano certe abilità dipendeva da cacciatore a cacciatore, e quel Kryston aveva una tecnica davvero precisa e invidiabile.
    Forse, era nato proprio per diventare un cacciatore. Sarebbe stato sprecato se i suoi genitori non lo avessero venduto.
    Un pensiero amaro, ma concreto.
    « Personalmente, non credo che siate tutti degli individui riprovevoli che approfittano dei guai della povera gente. » lo rassicurò Geralt, procedendo al suo fianco, come se avesse chiesto il suo parere sulla questione. Ma nessuno lo chiedeva mai e lui lo dava sempre, gratuitamente.
    « Inoltre, mi piace la vostra neutralità in certe questioni. » azzardò, in chiaro riferimento alla sua, di questione.
    « Mi domando se sareste neutrali anche sotto lauto compenso da parte dei Guardiani. » rifletté, come a stuzzicarlo ma anche intenzionato a saggiare il terreno.
    cavaliere incantatore
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    Kryston il Cacciatore
    « THERE ARE NO MEN LIKE ME. ONLY ME. »
    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Il fuoco magico evocato da Geralt non aveva avuto solo il merito di scacciare e uccidere le creature mostruose che li avevano attaccati, ma anche quello di asciugare in parte gli abiti dei due uomini che si erano trovati così vicini a quella fonte arcana. Quanto meno, Kryston non grondava più a causa di quel tuffo nel lago. I suoi indumenti restavano umidi, cosa che con le temperature rigide non si sarebbe certo rivelata un toccasana. Ma la fibra del cacciatore era robusta e non sarebbe certo stato un po' di freddo a piegarlo. A quanto pareva, il discorso valeva anche per Geralt, perché questi andò subito a recuperare la sua roba, come gli aveva consigliato Kryston, senza porre altri indugi in mezzo.
    Mentre il mago si rivestiva, il cacciatore non poté non inviargli almeno un'occhiata in tralice. La sua armatura non era certo fatta di pezzi si ferraglia recuperati un po' a caso e ammonticchiati insieme. Sembrava di buona fattura e gli calzava a pennello, come se fosse stata forgiata proprio per lui. Di certo un equipaggiamento del genere, comprensivo anche di quella spada formidabile, non si doveva trovare a buon mercato. O Geralt era - o era stato - abbastanza ricco da poterselo permettere, o Kryston non riusciva a darsi una spiegazione.
    Se fosse stato abbastanza facoltoso avrebbe anche potuto chiedere un pagamento per averlo salvato. Non lo aveva formalmente incaricato di un contratto ma, date le circostanze e l'urgenza dell'intervento, si poteva dire che fosse stato implicito. Alla fine però Kryston rinunciò alla prospettiva di chiedere denaro, ma non al vantaggio che aveva su di lui da quando Geralt aveva contratto un debito nei suoi confronti. Se mai, per qualche motivo, il mago si fosse rifiutato di trovare una cura per il marchio di Rhaenys, ci avrebbe pensato Kryston a ricordargli che glielo doveva.
    Terminato di recuperare la sua roba, l'uomo recuperò le redini del suo cavallo. Allo stesso modo, il cacciatore prese quelle del proprio quadrupede e montò in sella: tanto valeva iniziare a dirigersi verso il Forte della Chimera.
    Geralt commentò che Kryston non era affatto male come ammazzamostri, e il cacciatore immaginò che fosse il suo modo per ringraziarlo.
    "Personalmente, non credo che siate tutti degli individui riprovevoli che approfittano dei guai della povera gente" tentò di rassicurarlo.
    "Posso dire lo stesso degli eretici" replicò l'altro con un sorrisetto.
    Era ben consapevole della scarsa fama di cui godeva la sua razza, ma era pur sempre meglio di un mago che si trovava illegalmente fuori da un'Accademia.
    Geralt proseguì, sostenendo anche che apprezzava la neutralità dei cacciatori in certe questioni. L'altro non ebbe neanche il tempo di chiedersi a cosa si riferisse che fu presto chiaro.
    "Mi domando se sareste neutrali anche sotto lauto compenso da parte dei Guardiani" disse infatti.
    Il sorriso non si era ancora cancellato dal volto di Kryston, né quella sottile ombra sul suo viso.
    "Non hai appena detto che non approfittiamo dei guai della povera gente?" chiese, "Adesso non ti fidi?"
    Da una certa prospettiva si poteva dire che anche quelli con i guardiani potevano essere considerati guai , almeno dagli eretici. Da un altro punto di vista invece denunciare un mago a piede libero sarebbe stato la cosa giusta da fare, l'unica possibile, che non poteva conoscere alternative. Questo Geralt lo sapeva, e lo sapeva anche Kryston.
    Personalmente, lui non si era mai schierato in quelle questioni, né lo avrebbe fatto adesso. Tutto ciò che gli interessava era aiutare Rhaenys e Geralt poteva esserle utile. Per il resto, non gli doveva niente, anzi semmai era il mago a essere in debito con lui. E, se Kryston non lo avesse denunciato, sarebbe stato in debito due volte.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Dopo essersi rivestito e aver raggiunto il proprio cavallo, Geralt si avvicinò a Kryston, in modo da proseguire assieme quel viaggio, fianco a fianco.
    Non avrebbe mai pensato di poter fare una così interessante conoscenza, nel suo girovagare alla ricerca della donna che, anni e anni prima aveva sposato e dalla quale aveva avuto due figli.
    Eppure, è proprio per caso che si fanno le conoscenze più interessanti.. e il cacciatore Kryston, interessante lo era di certo.
    Gli aveva anche salvato la vita, quindi oltre che riservargli un certo interesse, Geralt era anche profondamente in debito con lui.
    Un sorrisetto spontaneo nacque sulle labbra del mago, al sentire di nuovo quella parola uscire dalle labbra di Kryston: eretici.
    « Non trovi che, eretico, sia un termine davvero degradante? » domandò al cacciatore al suo fianco, osservando la strada davanti a sé, riflettendo ad alta voce.
    Nel suo gruppo di maghi ribelli, nessuno di loro si definiva in tale modo.
    Quella era la parola che usavano i Guardiani quando si riferivano a maghi liberi e forti, per denigrarli, per catalogarli come qualcosa di pericoloso.
    Quindi loro non la usavano.
    Geralt non aveva mai particolarmente amato sentirsi definire un eretico, perché lo trovava un appellativo decisamente fastidioso per catalogare delle persone libere di vivere ed esercitare la loro arte, senza essere chiuse in alte prigioni strettamente controllate, continuamente vessate dalla presenza opprimente dei loro carcerieri, i Guardiani.
    « Chi è che ha deciso di chiamarci così? Qualcuno che ha paura di definirci maghi. » spiegò quindi, come se gli fosse stato chiesto, gesticolando con una mano, dimostrando la sua spavalderia e convinzione in materia.
    Quando Geralt domandò a Kryston se volesse venderlo ai Guardiani, il cacciatore replicò: "Non hai appena detto che non approfittiamo dei guai della povera gente? Adesso non ti fidi?"
    Geralt fece spallucce, continuando a trottare tranquillamente al fianco del cacciatore.
    « Non ho detto che siete tutti dei paladini della giustizia. Ma solo che alcuni di voi non sono poi così male. » rispose prontamente, sempre ghignando e domandando, tacitamente, a quale categoria appartenesse Kryston, anche se un'idea se l'era fatta.
    « Fidarsi ciecamente di qualcuno, di questi tempi, è da idioti. Non pensi, Krys? » ammiccò in sua direzione, prendendosi la licenza creativa di chiamare il cacciatore con quell'abbreviativo, senza sapere se avrebbe gradito o meno, o se a Geralt sarebbe interessato che gradisse o meno.
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    Kryston il Cacciatore
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    25anni | cacciatore
    Cacciatore



    Gli zoccoli del cavallo del cacciatore affondavano leggermente nel terreno reso molle dalle ultime nevicate. Lui e il mago procedevano fianco a fianco, al passo per non far stancare gli animali. D'altro canto non avevano alcuna fretta.
    Kryston era un uomo a cui non piaceva perdere tempo, eppure viaggiando per Aslya sapeva che se ne sprecava molto. Quella dei cacciatori non era una magia così avanzata da consentire loro di aprire portali e spostarsi nello spazio in un battito di ciglia. Dovevano perciò accontentarsi dei comuni mezzi di trasporto, quelli adottati da chiunque altro. In fondo poteva dirsi già fortunato di avere quel cavallo, che gli era stato donato da uno stalliere come ringraziamento in seguito all'ultimo contratto svolto. Prima di quell'incarico, Kryston aveva potuto contare solo sulle sue gambe.
    Man mano che avanzavano, gettava di tanto in tanto un'occhiata in direzione di quell'inaspettato compagno di viaggio. Prima di incontrare Geralt, Kryston non aveva avuto un piano particolare per i giorni a venire. Quello che faceva negli ultimi tempi era sempre la stessa cosa: si muoveva per il continente, apparentemente senza meta, alla ricerca di qualche mostro da affrontare, nonché di qualche sacchetto di monete da incassare. Senza progetti a lungo termine: non ne aveva mai avuti. Non era poi così lungimirante: al contrario, era l'uomo del qui e ora.
    Geralt aveva in parte mutato quella prospettiva. Adesso Kryston un programma ce l'aveva, ed era quello di raggiungere Rhaenys per liberarla da quella maledizione misteriosa. Era più di quanto il cacciatore potesse aspettarsi da se stesso.
    Non gli piaceva fare programmi, anche perché ne vedeva l'assoluta inutilità. O meglio, la vita di ogni individuo della sua razza era tutta un programma già tracciato prima ancora della nascita, quando le loro madri assumevano quella pozione che avrebbe trasformato il feto che portavano in grembo in qualcosa di non completamente umano. In quello stava la differenza tra Kryston e la sua gemella: lui aveva accettato fin dall'inizio che la loro rotta fosse stata già tracciata, Alihana no.
    Ripensava spesso alla sua gemella negli ultimi tempi. Quante cose erano cambiate negli ultimi tempi? Avrebbe voluto incontrarla di nuovo, ma non sapeva da dove cominciare per cercarla. Separarsi da lei era stato un errore.
    Scacciò quel pensieri come avrebbe fatto con una mosca fastidiosa e tornò a concentrare la sua attenzione sul mago, che adesso stava parlando.
    "Non trovi che, eretico, sia un termine davvero degradante?" osservò con un sorrisetto.
    Kryston si strinse nelle spalle.
    "E' solo una parola." Non andava mai troppo per il sottile, non era politicamente corretto e, generalmente, se ne fregava dell'opinione altrui. Era in parte consapevole che il termine eretico fosse usato in modo offensivo, ma era talmente abituato a riempirsene la bocca che non ci badava più. Del resto anche quando qualcuno lo apostrofava come cacciatore di solito non lo faceva per fargli un complimento.
    Se l'argomento toccava poco il rosso, però, era chiaro che Geralt non ne fosse impermeabile allo stesso modo. Per lui il termine eretico derivava da un errore di fondo: loro erano maghi esattamente come gli altri, semplicemente si rifiutavano di sottostare alle regole delle Accademie.
    "Come vuoi" rispose il cacciatore serafico.
    In quel dibattito tra eretici ed estimatori dell'ordine tradizionale, Kryston non aveva assunto alcuna posizione. Non era qualcosa che lo aveva mai riguardato troppo da vicino.
    "Siamo quello che siamo" aggiunse, "a prescindere da come ci chiamano."
    Sottolineò quindi che i loro destini non erano poi troppo distanti.
    Geralt mise le mani avanti quando specificò che, quando aveva un'opinione positiva, non generalizzava mai. Poteva quindi essersi fatto un'idea positiva di Kryston, ma questo non significava che pensasse che tutti i cacciatori fossero dei paladini della giustizia.
    "Fidarsi ciecamente di qualcuno, di questi tempi, è da idioti. Non pensi, Krys?" aggiunse il mago con un sogghigno.
    Kryston sollevò contemporaneamente un sopracciglio e un angolo della bocca quando ascoltò mentre il suo nome veniva abbreviato in quel modo.
    "Già. Ma ci sono ancora delle persone che hanno una morale" osservò in modo ambiguo, così da non rendere chiaro se stava inserendo se stesso in quella categoria di individui oppure no.
    Quello che Kryston sapeva con certezza era che esistevano persone delle quali non avrebbe mai dubitato. Forse ciò faceva di lui uno stupido o un ingenuo, ma credeva di sapere di chi fidarsi, sebbene in generale gli piacesse fare tutto da solo.
    "La guerra tra i guardiani e gli eretici non ci riguarda" disse ancora, usando volutamente quel termine, senza tuttavia dargli la connotazione dispregiativa che assumeva di solito e che Geralt aveva rimarcato. "Anche se forse non ti conviene rimanere troppo a lungo nello stesso posto."
    Giusto il tempo di guarire Rhaenys, aggiunse mentalmente.

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    Geralt Shepard Rutherford
    « ERA UN UOMO RISERVATO E BENCHÉ VIVESSI DI RICORDI, NON PARLAVA MAI DEL PASSATO. »
    Era da tanto tempo che Geralt non aveva qualcuno con cui cavalcare.
    Non che il cacciatore fosse un grande passo in avanti rispetto alla sua solitudine.
    A conti fatti gli aveva sì salvato la vita, ma non lo conosceva e non sapeva proprio cosa aspettarsi da lui.
    Tagliagole, gli suggeriva una vocina sfrontata nella sua mente, come se quello fosse il giusto modo per appellare Kryston.
    Quella vocina serviva a Geralt per sopravvivere, visto che non si poteva dire che brillasse così tanto per intelletto e certe volte si lasciava raggirare dagli altri.
    Quella vocina sibilante riusciva però a dargli un certo equilibrio, così da tenerlo sempre all’erta, anche se certe volte non bastava.
    Non credeva, però, che il cacciatore lo avrebbe consegnato ai Guardiani.
    Non ci sarebbe riuscito, prima di tutto, Geralt era molto orgoglioso ma aveva anche innegabili qualità magiche e di combattimento che facevano in modo che potesse vantarsi di qualche effettiva qualità.
    "E' solo una parola."
    Ma eretico non era solo una parola. Non per Geralt almeno.
    « Sottovaluti il potere di una parola. » lo stuzzicò Geralt, ghignando divertito.
    Con una parola avrebbe potuto trasformarlo in un rospo, ecco cosa stava cercando di fargli capire con quella risposta, anche se ovviamente si trattava di una minaccia senza senso, visto che non voleva proprio trasformare il suo nuovo “amico” in un esserino gracidante.
    "Siamo quello che siamo, a prescindere da come ci chiamano."
    « Non abbastanza umani, dunque. Non che questo sia un difetto. »
    "Già. Ma ci sono ancora delle persone che hanno una morale" e chissà se Kryston faceva parte di quella categoria di persone.
    Geralt lo osservò.
    Parlare con lui, in quel modo, dando informazioni e non dandone al tempo stesso, era quasi divertente.
    « E’ una moneta che non vale più granché, la morale. » commentò con una stretta di spalle, dando qualche colpetto al fianco del proprio cavallo, per restare al passo con Kryston.
    Suo padre diceva sempre che il valore di una cosa non è quello che effettivamente ha, ma ciò che invece gli altri gli attribuiscono. Il valore cambia quindi di persona in persona, ed una cosa come la morale, in quei tempi pericolosi, non valeva il rischio del concedere la propria fiducia.
    Solo chi è confidente nelle proprie capacità, come lo era Geralt – o sciocco come lo era suo figlio Keenan – finisce con il fidarsi di qualcuno, pur consapevole che quel qualcuno potrebbe rappresentare un pericolo.
    Krys, come l’aveva appena chiamato Geralt, non sembrava però interessato al teso rapporto tra Guardiani ed Eretici, come un buon cacciatore, che non si scomoda finché non vede una bella ragazza o un terribile mostro.
    "Anche se forse non ti conviene rimanere troppo a lungo nello stesso posto."
    « Mi tratterrò poco. » lo rassicurò Geralt con una scrollata di spalle. Dopotutto aveva un obbiettivo da perseguire, persone da trovare.
    « Non voglio turbare la vostra quiete. O abusare della vostra gentile ospitalità. »
    cavaliere incantatore
    50 anni
    capo dei maghi ribelli
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